martedì 17 maggio 2016

Osho: Accetta te stesso

17 MAGGIO 2016


 
Un giorno ero in una foresta. Era la stagione delle piogge e gli alberi sprizzavano di gioia. Chiesi ai miei compagni di viaggio: “Vedete quanto sono felici gli alberi? E perché mai? Perché sono finalmente diventati ciò che dovevano essere. Se il seme è una cosa e l’albero aspira a diventare qualcos’altro, nella foresta non ci sarebbe così tanta felicità; ma, poiché gli alberi non conoscono altri ideali, sono diventati ciò che la loro natura voleva che diventassero. L’appagamento esiste là dove lo sviluppo è in sintonia con la propria essenza e con il proprio essere. L’uomo è infelice perché lotta contro se stesso. Combatte contro le proprie radici ed è costantemente in lotta per essere diverso da ciò che è. In questo modo perde se stesso e perde anche quel paradiso che è un suo diritto naturale”.

Amici, non è forse desiderabile voler essere ciò che si può essere? Non è forse desiderabile che voi lasciaste andare ogni sforzo per evitare di essere il vostro sé? In quello stesso desiderio non si trova forse la fonte principale di tutte le vostre miserie esistenziali? Quale sforzo potrebbe essere più impossibile e perdente del desiderio di essere diversi da ciò che si è?

Ciascuno di voi può essere soltanto ciò che è: nel seme è nascosto l’intero sviluppo di un albero. Il desiderio di essere qualcos’altro può solo portare a un fallimento. Si può solo fallire; infatti, com’è possibile che quanto non sia nascosto nel sé fin dall’inizio si manifesti alla fine?

La vita è una manifestazione di ciò che è velato e nascosto alla nascita: sviluppo e crescita sono soltanto il suo disvelarsi; e là dove ciò che è nascosto non si manifesta, si ha infelicità. Nello stesso modo in cui una madre si ritroverebbe preda di sofferenze insopportabili e indicibili se portasse in grembo suo figlio per tutta la vita, allo stesso modo le persone che non diventano ciò che era destino diventassero si ritrovano infelici.

D’altra parte, mi rendo conto che ogni persona sta partecipando a quella stessa gara: tutti vogliono essere ciò che non sono, ragion per cui nessuno potrà mai avere successo. E qual è il risultato finale? Il risultato è che quella gente non diventa ciò che avrebbe potuto diventare; e, non diventando ciò che non potranno mai essere, quelle persone sono altresì deprivate di ciò che sognavano di poter diventare.

Il re di una tribù andò in una grande città per la prima volta. Voleva farsi fotografare, e fu portato in uno studio fotografico. Il fotografo sulla porta aveva messo un cartello che spiegava: “Fatti fotografare come meglio credi! In posa semplice, così come sei: 10 rupie. Come pensi di essere: 15 rupie. Come vorresti presentarti agli altri: 20 rupie. Come avresti desiderato essere: 25 rupie”.

Quel re, nella sua semplicità fu profondamente colpito da tutto questo e chiese chi altri poteva farsi fotografare, fatta eccezione per persone che volevano fotografie del primo tipo.

Gli fu risposto che una persona che voleva il primo tipo di fotografia ancora non si era presentata!

Posso chiedere a te che tipo di fotografia vorresti che ti venisse fatta? Cosa dice la tua mente? In cuor tuo non vorresti forse avere un’immagine dell’ultimo tipo? La cosa cambia, se non hai abbastanza soldi con te; forse il peso delle circostanze potrebbe fare una differenza, altrimenti, chi mai vorrebbe una foto del primo tipo?

D’altra parte, quel re sempliciotto si fece fare una foto del primo tipo, dicendo: “Sono venuto qui per avere una fotografia di me stesso, non di qualcun altro”.

Un cartello simile è appeso da sempre sulla porta della vita: Dio l’ha appeso, ben prima di creare l’uomo.

Tutta l’ipocrisia di questo mondo è nata dal desiderio di essere diversi da ciò che si è. Quando qualcuno fallisce nel tentativo di essere qualsiasi altra cosa che non sia se stesso, si tiene occupato n e l sembrare di essere diverso. E questo non è forse ciò che viene chiamato ipocrisia? E se una persona fallisce anche in questo, si altera. A quel punto si sente libero di immaginarsi qualsiasi cosa voglia essere. Ma che si tratti di ipocrisia o di pazzia, l’origine di entrambe le cose sta nel rifiuto di accettare se stessi.

Il primo sintomo di una persona sana è la propria accettazione di ciò che è. È venuta al mondo per poter fare una foto di se stessa, e non per avere la fotografia di qualcuno che non è. Ogni sforzo per modellare se stessi all’interno di cornici altrui è il segnale di una mente malata. I cosiddetti ideali insegnati all’uomo, e le ispirazioni che gli sono state date per seguire qualcun altro non gli permettono di accettarsi; in questo modo il suo viaggio prenderà una svolta sbagliata fin dall’inizio.

Purtroppo questo  tipo  di  “civilizzazione”  ha afferrato l’uomo come farebbe una malattia cronica... a che punto la gente può diventare brutta e deforme! In loro non esiste nulla di sano o di naturale, come mai? Perché in nome della cultura, della civiltà e dell’educazione la loro stessa natura è stata metodicamente massacrata. Se non si diventa consapevoli di questa cospirazione, si verrà annientati fino alle radici stesse del proprio essere!

La cultura non è opposta alla natura, ne è lo sviluppo. Il futuro dell’uomo non può essere determinato da alcun ideale esteriore, ma unicamente dalla sua natura intrinseca. In questo modo nasce una disciplina interiore che è del tutto naturale e che apre e rivela il volto del proprio sé a tal punto da poter percepire la verità suprema.

Ecco perché dico di prediligere ciò che si è, di accettare se stessi, di ricercare e sviluppare il proprio essere. Fatta eccezione per l’essere il proprio sé, non esiste alcun ideale per nessuno; né potrebbe mai essercene alcuno. L’imitazione è un suicidio; e ricorda che l’essenza divina non potrà mai essere trovata se si dipende dagli altri.

Osho: Crea il tuo destino

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