3 MAGGIO 2016
Una donna mi ha chiesto: “Voglio cambiare me stessa. Cosa
dovrei fare?”.
Le ho detto che la prima cosa da evitare era cambiare ciò
che si indossa; infatti, ogni volta che sopraggiunge un momento di rivoluzione
nella vita di una persona, la sua mente si intestardisce nel voler cambiare i
propri abiti.
La cosa è comoda per la mente, è lì che dimora ogni
sicurezza: cambiando gli abiti, la mente non muore; al contrario, indossando
abiti nuovi al posto di quelli vecchi, ormai usurati, prolunga la sua vita.
Cambiando i vestiti non si verifica alcun cambiamento
interiore; al contrario, si prova un senso di appagamento, e quella
soddisfazione di sé è suicida.
Quella donna mi chiese a quali abiti mi riferissi. Esistono
molti tipi di abiti e molte forme di autoinganno: si dovrebbe stare attenti a
tutto ciò che si indossa come una copertura. Qualsiasi cosa copra la realtà del
sé serve soltanto a ingannarlo; io do il nome di abiti a quelle cose! Se un
uomo è un peccatore, indossa gli abiti della virtù; se un uomo è violento,
indossa gli abiti della nonviolenza; se un uomo è ignorante, si rimpinza di parole e scritture, e
si riveste di quel sapere. È un vecchio trucco della mente irreligiosa
indossare gli abiti della religione, per poterne scappare via.
Chiesi a quella donna se non riusciva a vedere che quanto le
avevo detto stava accadendo proprio intorno a lei. Al che, lei ci pensò un
attimo e disse: “Voglio farmi suora”.
Le dissi che così aveva già segnato la sua sconfitta; quella
scelta rendeva già evidente che era iniziato il cambio degli abiti!
Ogni volta che una persona vuole essere qualcosa, la mente
ha già iniziato a tessere la sua trama. La mente brama ardentemente essere
qualcosa; questa ambizione aspira a scappare da ciò che è reale, per rifugiarsi
dietro a cose che non esistono: gli ideali sono i genitori di tutto ciò che
nasconde e maschera.
Chiunque voglia conoscere la verità – e nessuna religione
autentica è possibile senza conoscere la verità – deve comprendere ciò che di
fatto esiste. Una rivoluzione porta dei frutti non a causa di un’ambizione che
spinge a essere qualcosa che non esiste, ma solo quando rivela ciò che esiste
veramente.
Nel momento in cui una persona giunge a conoscere la piena
verità del proprio sé, proprio quella conoscenza diventa una rivoluzione. Nella
rivoluzione prodotta dalla conoscenza non esiste alcuna distanza temporale;
laddove esiste un qualsiasi lasso di tempo, non c’è alcuna rivoluzione. In quel
caso si sta solo cercando una maschera, un semplice cambio di abiti.
A quel punto le narrai questo episodio...
Un giorno qualcuno avvicinò Abu Hasan e gli disse: “O
sant’uomo, prediletto da Dio, mi vergogno della mia vita peccaminosa e sono
determinato a cambiare me stesso. Voglio diventare un santo, non avrai tu pietà
di me? Potresti darmi gli abiti intrisi di santità che hai indossato finora?
Indossandoli, voglio diventare anch’io santo”. Poi appoggiò la sua testa ai
piedi di Hasan e li inondò di lacrime. Il suo desiderio era indubbiamente
profondo: quelle lacrime non lo rivelavano?
Abu Hasan rise di lui e disse: “Amico, prima che io faccia
l’errore di darti i miei vestiti, potresti anche tu essere così gentile da
rispondere a una mia domanda? Una donna potrebbe forse diventare uomo,
indossando i suoi vestiti? Oppure è possibile che un uomo diventi donna, indossando
i suoi abiti?”.
Quell’uomo asciugò le sue lacrime. Forse era andato nel
posto sbagliato. E rispose: “No”.
Di nuovo Abu Hasan scoppiò a ridere e disse: “Eccoti dunque
i miei vestiti. Ma che differenza potranno mai fare, anche se li indossi?
Qualcuno è mai diventato un santo semplicemente indossando gli abiti di un
sant’uomo?”.
Se fossi stato al posto di Hasan, avrei detto: “Qualcuno è
mai diventato santo solo per essere stato ispirato o spinto a diventarlo?”.
La santità accade. È il frutto della comprensione, e ogni
volta che esiste un desiderio di essere qualcosa, non c’è alcuna conoscenza; e
questo perché una mente mossa dal desiderio diventa irrequieta, e quando mai
sarà possibile trovare conoscenza e comprensione nell’irrequietezza?
Ogni volta che esiste un desiderio di essere una qualsiasi
cosa, si ha una fuga dal proprio sé; dunque, in che modo una persona che scappa
dal proprio sé lo potrà mai conoscere? Ragion per cui ti dico: “Non correre, ma
svegliati; non cambiare, piuttosto vedi – infatti, chi è sveglio e vede se
stesso scopre che la religiosità si sta avvicinando alla sua porta”.
Un ricco diede una festa alla quale invitò tutti i suoi
amici per celebrare un’occasione speciale. Anche il re del Paese partecipava,
per cui la gioia del ricco era davvero stratosferica.
Ma proprio quando gli ospiti stavano iniziando a
banchettare, la sua felicità si trasformò in collera: uno degli schiavi lasciò
cadere un piatto pieno di cibo bollente sul suo piede, e lo ustionò. I suoi
occhi fumavano di collera; di certo quello schiavo non poteva sperare di vivere
a lungo! Si mise a tremare per la paura; d’altra parte, un uomo che sta
affogando si aggrappa anche al più esile filo d’erba, per cui cercò di
difendersi citando un detto preso dalle sacre scritture di quel Paese: “Colui
che riesce a dominare la propria ira andrà in paradiso”.
Il suo padrone le udì e, sebbene fosse davvero furibondo,
riuscì comunque a controllarsi e disse: “Non sono arrabbiato”.
Sentendo quelle parole, ovviamente gli ospiti iniziarono a
battere le mani e anche il re lo elogiò. La rabbia presente negli occhi del
ricco divenne orgoglio. Si sentì davvero esultare.
Al che lo schiavo tornò a parlare: “Il paradiso è per colui
che perdona...”.
E il suo padrone disse: “Io ti perdono”.
Negli occhi di qualcuno che è pieno di orgoglio può esserci
il perdono; l’orgoglio può essere nutrito anche dal perdono: le vie dell’ego
sono molto sottili.
A quel punto, quel ricco sembrava agli occhi dei suoi
invitati come un uomo profondamente religioso. Fino a quel momento l’avevano
conosciuto solo come un implacabile sfruttatore; vedendo in lui questa nuova
forma di alterigia, ne furono profondamente colpiti.
Anche il re, seduto in una posizione d’onore, lo guardò come
se vedesse una persona che gli era superiore. Il ricco non apparteneva più a
questa terra, la sua testa stava toccando il cielo!
E infine lo schiavo concluse quella sentenza presa dai testi
sacri: “... perché Dio ama coloro che sono compassionevoli”.
Il ricco girò lo sguardo tutt’intorno. Nei suoi occhi c’era
sempre stata un’avidità mondana; oggi era diventata una cosa trascendente.
Disse allo schiavo: “Va’, ti rendo libero. D’ora in poi non sei più un mio
schiavo” e gli diede anche una borsa piena di monete d’oro.
La rabbia nei suoi occhi era diventata orgoglio, e
quell’alterigia si era trasformata in avidità!
Rabbia, avidità, odio, paura – tutte queste non sono forse
manifestazioni che scaturiscono dalla stessa fonte? E se la religione è così a
buon mercato, quale ricco non la vorrebbe comprare? In questo caso, quella
religione non poggerebbe anch’essa sui pilastri della paura e dell’avidità?
Ebbene, ti chiedo: cosa dunque nutre l’irreligiosità? Se
l’ego è il culmine del tempio della religione, quale potrà mai essere il
culmine del tempio dell’irreligiosità?
Osho Crea il tuo destino
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