20 MAGGIO 2016
Mi ero appena svegliato dal mio sonno quando mi è stato
detto che qualcuno nel vicinato era stato assassinato. Tutti erano impegnati a
parlarne; nell’aria c’era eccitazione, e gli occhi della gente, di solito
spenti, brillavano. Nessuno provava dolore o compassione, nell’aria c’era solo
una sensazione perversa e malata: anche la morte e l’omicidio possono dare
piacere? Può la distruttività dare felicità? Forse è così, altrimenti la mente
della gente comune non potrebbe provare tanto entusiasmo per le guerre.
Quando la corrente della vita non può scorrere sul sentiero
della creatività, ecco che all’improvviso si coinvolge nella distruzione; in
questo caso, per manifestare se stessa, l’unica alternativa è distruggere.
Chiunque non sia creativo cambia la direzione della sua vita, optando per la
distruzione, suo malgrado. Negli individui, nella società, nelle nazioni,
ovunque si vede una brama spasmodica di distruggere.
In ultima analisi, l’orientamento dell’uomo verso la
distruzione diventa suicida: se quel gusto viene alimentato, alla fine
distrugge l’essere stesso. Non esiste una grande differenza tra l’assassino e
chi uccide se stesso; portata al suo estremo, la violenza si muta in
aggressività contro il proprio essere.
Conoscevo la persona che quella notte era stata uccisa, e
conoscevo anche il suo assassino. Erano nemici di vecchia data, e per anni avevano
cercato l’occasione di ammazzarsi a vicenda. Forse, nella vita non avevano
altra ambizione, tranne questo che era diventato il loro scopo primario. E
forse, proprio per questa ragione, dopo aver ucciso, l’assassino si consegnò
alla legge: adesso, che senso aveva continuare a vivere? La persona per la
quale aveva vissuto non esisteva più!
Non è sorprendente che la maggior parte di noi vive
unicamente in funzione del suoi nemici? Coloro che vivono e muoiono per gli
amici sono pochissimi. Non è l’amore ma l’odio a essere diventato il fondamento
della vita. Se è così, è semplicemente naturale trovare un piacere nascosto
nella morte; in questo caso, le nostre vite trovano un’attrazione vorace e
incontrollabile verso la distruzione. Non è senza ragione che gli individui
sono attratti dalla violenza, e le nazioni dalle guerre.
Cos’è l’odio? Non è forse un vendicare sugli altri la nostra
incapacità di portare le nostre vite sulle vette della felicità? Di certo è
così; infatti, noi rendiamo responsabili gli altri di ciò che non riusciamo a
conseguire in prima persona, ragion per cui troviamo un modo facile e semplice
per liberarci dal rimorso che proviamo per la nostra esistenza.
In cosa consiste questa inimicizia? Non rivela forse la
nostra incapacità di essere amici? E finirà forse, eliminando il nemico? È
l’inimicizia a creare il nemico; ecco perché il nemico può essere distrutto, ma
comunque l’inimicizia rimarrà. E può l’amicizia essere distrutta dalla morte di
un amico? Se non è possibile, come può l’inimicizia essere annientata dalla
morte del nemico? L’amico e il nemico sono visti all’esterno, ma la loro
origine è dentro di noi.
Il Gange della vita è all’esterno, ma Gangotri, la sorgente
del Gange, è sempre all’interno. Io, per esempio, trovo in chiunque l’eco di me
stesso. Qualsiasi cosa sono è riflessa negli altri.
Mi viene in mente un episodio...
Era una notte senza luna. Un uomo stava entrando in una
casa, per uccidere. Intorno non c’era nessun altro, ma in cuor suo quell’uomo
era molto spaventato. Tutt’intorno c’era silenzio, ma dentro di lui c’era un
gran clamore e un gran subbuglio. Pieno di paura, e con mani tremanti, aprì la
porta: cosa sorprendente, non era chiusa a chiave; era soltanto accostata. Ma
le sorprese non erano finite: non appena aprì la porta, si trovò di fronte un
omone enorme con in mano una pistola. Era forse un guardiano? Ma a quel punto
non era più possibile scappare: era faccia a faccia con la morte! Non c’era più
neppure il tempo di pensare... per istinto di autoconservazione, sparò con la
sua pistola.
Tutto accadde in un attimo. L’intera casa echeggiò per quel
colpo, e qualcosa andò in frantumi: che cos’era? L’uomo che aveva sparato era
allibito: di fronte a lui non c’era nessuno... vide soltanto il fumo dello
sparo e uno specchio andato in mille pezzi!
La stessa cosa accade anche nella vita. Nel nostro bisogno
immaginario di autodifesa, iniziamo a lottare contro gli specchi. Poiché in noi
c’è paura, all’esterno inizia a comparire il nemico. Poiché in noi è presente
la morte, all’esterno l’assassino inizia a spaventarci. Ma sarà mai possibile
eliminare i nemici, rompendo degli specchi? Un nemico può essere distrutto
grazie all’amicizia, non con la sua morte; tranne l’amore, ogni altra cosa
risulterà una sconfitta.
Il nemico vive dentro di noi: nel nostro odio per noi
stessi, nella nostra paura, nell’inimicizia e nell’invidia per noi stessi.
D’altra parte, inizia a comparire all’esterno: gli occhi di una persona
invidiosa si tingono di giallo, ma poi quella persona vede il mondo intero come
fosse giallo. Qual è la cosa giusta da fare con una simile malattia? Dovremo
eliminare il giallo dal mondo intero, oppure curare i nostri occhi?
Il mondo è come i nostri occhi lo vedono: nei nostri occhi
sono nascosti tutti i colori dell’inimicizia e dell’amicizia. Nessuno vuole un
nemico, eppure continuiamo a nutrire e accudire l’inimicizia. Perfino il
desiderio stesso di eliminare un nemico è la prova evidente che non vogliamo
avere nemici, ma solo amici; eppure nel nostro sangue nutriamo l’odio. È
un’assoluta follia: vogliamo amici, ma non vogliamo dar vita all’amore;
vogliamo amici, eppure nascono solo nemici. Assassiniamo i nostri nemici ma,
facendolo, vengono assassinati amici potenziali. Seminiamo veleno e poi
vogliamo nettare come frutto: questo non è possibile!
Sia gli amici che i nemici sono ombre del nostro stesso sé.
Se io sono amore, il mondo intero è un amico. Se io sono
odio, perfino l’esistenza stessa è un nemico.
Osho: Crea il tuo destino
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