sabato 31 gennaio 2015

Osho: Il mantra del "Sì"




 Io ti insegno a dire sì alla vita, all'amore, alla gente.
È vero, esistono le spine, ma non è il caso di contarle.

Ignorale, medita sulla rosa. E se la tua meditazione
scende in profondità in quella rosa, e la rosa
scende in profondità dentro di te, le spine diventeranno
sempre più piccole, rispetto a ciò che sono ora.
  
Verrà un momento in cui la rosa ti possiederà totalmente,
e nel mondo intero non esisterà più spina alcuna.
 Inizia a riversare tutta la tua energia nel sì: rendilo
un mantra. Ogni notte, prima di andare a dormire, ripeti: "Sì, sì, sì..." ed entra in sintonia con questo sì.

 Ondeggia, accompagnandoti a quel suono, e lascia
che ti avvolga totalmente, lascia che emani da
tutto il tuo essere: dalle dita dei piedi alla testa. Lascia
che ti penetri. Continua a ripetere: "Sì, sì, sì...".

 Per dieci minuti, ogni sera, lascia che sia la tua preghiera; poi va' a dormire.
 Al mattino, all'alba, prima di alzarti, di nuovo, per
almeno tre minuti, siedi sul letto e torna a ripetere
questo mantra. La prima cosa da fare, appena svegli,
è ripetere questo "Sì", cogliendone la sensazione.

 Poi, durante il giorno, ogni volta che ti senti negativo,
fermati immediatamente, anche in mezzo alla
strada, fermati ovunque ti trovi. Se puoi ripetere a
voce alta: "Sì, sì, sì" benissimo; altrimenti ripetilo in
silenzio: "Sì, sì, sì" per almeno tre minuti.

Esercitati con questo metodo per tre settimane.

venerdì 30 gennaio 2015

Il Sistema degli Endocannabinoidi: Cannabis e Appetito

Semplicemente: Canapa
Di in Conoscere la Cannabis
Uno dei clichè più diffusi del consumo di cannabis è un appetito apparentemente insaziabile.
Il fenomeno , conosciuto da anni come “the munchies” , è talmente penetrato nella nostra cultura che anche chi non fa uso di cannabis conosce questo effetto; prima di poter spiegare  che cos’è che vi porta a mangiare tanto continuamente, ci sono alcune cose da sapere.
Prima di tutto cosa realmente è un cannabinoide e perché sono presenti nel nostro sistema anche se non si è mai fatto uso di cannabis.
I cannabinoidi sono diverse miscele chimiche che si trovano nel corpo umano e che funzionano come crossover tra alcuni recettori ed il Sistema Endocannabinoide ( ECS ) .
L’ECS regola processi nel corpo come l’assunzione di energia , il trasporto di nutrienti e la funzione magazzino del metabolismo ; prima di capire il ruolo della cannabis in tutto questo , si deve conoscere la funzione del Sistema Endocannabinoidale ECS .
Tre sono le parti importanti del sistema ; gli endocannabinoidi , i recettori che individuano la presenza dei cannabinoidi e due enzimi che aiutano la loro sintetizzazione e la degradazione.
Ci sono 3 tipi di di cannabinoidi conosciuti dagli scienziati ; gli endocannabinoidi ( che si trovano nel corpo umano ) , i fitocannabinoidi ( che si trovano in piante come la cannabis ) ed altri creati in laboratorio che chiameremo “cannabinoidi sintetici” .
Il cannabinoide più popolare  , è conosciuto con il nome di Tetraidrocannabinoide o THC, il fattore psicoattivo primario ; il Cannabinoide o CBD lo segue.

Considerando che ci sono già Endocannabinoidi prodotti dal corpo umano che funzionano da crossover per recettori di cannabinoidi , la assunzione di THC o CBD può servire a normalizzare eventuali deficenze di uno o dell’altro nel corpo umano .

“ Il CBD lavora sui recettori che abbiamo degli endocannabinoidi nei nostri corpi , i cannabinoidi endogeni che sono molto utili nelle funzioni immunitarie , funzioni nervose e per le ossa . “
Dichiarazione del Dr. Ethan Russo consulente della compagnia Inglese che produce lo spray orale conosciuto come SATIVEX.

C’è una tendenza nel denigrare qualcosa quando sembra utile per tutto , aggiunge il Dr. Ethan Russo , ma in questo caso ci sono le ragioni . Il Sistema endogeno Cannabinoide lavora come un fine crossover per molti sistemi ; e se per qualche motivo dovesse esistere una naturale deficienza in alcuni di essi , sostanze come il THC e il CBD possono riportare il corpo ad una situazione bilanciata .

La cosa più importante da capire è che i cannabinoidi sono miscele a base di grassi che innescano il prossimo passo nel Sistema Endocannabinoide – i recettori di cannabinoidi – che sono molto simili nella struttura ai cannabinoidi prodotti dalla cannabis .
I recettori di cannabinoidi sono divisi in 2 categorie principali , CB1 e CB2 , e si trovano nel cervello , nell’intestino e nel sistema immunitario .

Quando un ricettore di cannabinoidi è attivato dagli endocannabinoidi , aiutati dagli enzimi sopracitati , diverse funzioni fisiologiche in diversi sistemi del corpo vengono attivate , come la memoria , i dolori , l’umore ed un persistente appetito .

L’attività ECS nel sistema centrale nervoso controlla lo stimolo dell’ appetito ; questo è il perché del fatto che , anche se non abbiamo appetito, il nostro sistema nervoso manda segnali all’ippotalamo comunicando la nostra fame . L’ippotalamo è la parte del cervello che innesca la fame e che fa sapere al sistema limbico che sei pronto a mangiare.

Gli endocannabinoidi lavorano per rallentare il transito ed il processo di svuotamento dei liquidi gastrointestinali e sembra stimolino la secrezione di Ghrelin , un ormone che aumenta la fame ed il bisogno di mangiare .

Dopo aver mangiato il cervello riceve segnali di sazietà dall’intestino piccolo ( duodeno ) che riduce l’attività ECS dicendo al nostro corpo che abbiamo mangiato abbastanza .
Studi su donne con disturbi alimentari hanno rivelato la bassa presenza di endocannabinoidi nel corpo e di recettori di cannabinoidi ; l’uso nel trattamento di questi disturbi , come l’anoressia , ha dato risultati positivi .
Come quelli condotti su pazienti con cancro sottoposti a chemioterapia HIV o AIDS nei quali l’appetito era molto basso .

La ricerca sugli effetti dei cannabinoidi procede .

http://freeweed.it/sistema-endocannabinoidi-cannabis-appetito/

mercoledì 28 gennaio 2015

Breve storia di tutto









di Matteo Tassinari
A differenza dell'Inghilterra, dove i giovani iniziarono a identificarsi con gruppi di riferimento dai codici e stili propri, ma privi di una visione politica, in America tutto si muoveva in sintonia con la scoperta delle religioni orientali, viste come alternativa politica al modello occidentale. Cominciò tutto con l’impegno politico vero nel rifiuto della guerra in Vietnam, questa era la causa principale che animava migliaia di giovani non solo in America ma in tutto il mondo.

Nel 1965 il regista Premio Oscar David Miller, bruciò per protesta la sua cartolina di richiamo alle armi, gesto simbolico che da quel giorno fu ripetuto migliaia di volte da altrettanti giovani fino a farlo diventare un atto dovuto per chi voleva cambiare il mondo con un piccolo ma reale gesto e personale che coinvolgesse milioni di giovani per dare un segnale di movimento, di voglia di cambiare musica. Il segnale venne dato, ma non fu ascoltato. Addirittura in grandi falò pubblici organizzati vennero ripetuti in vari punti degli Stati Uniti, di pari passo con il rifiuto dello stile di vita di una società che agli occhi dei giovani non produceva altro che inquinamento, distruzione, perbenismo, silenzio, morte.
New  Lelt
Amer ica

Attraverso il Movimento pacifista giovanile, nel quale un'anima antimilitarista conviveva a fianco di settori più decisi, all'erta per la guerriglia urbana. La protesta entrò nella più tradizionale arena politica dando spazio agli intellettuali della New Lelt, ma pagando più tardi un dazio salatissimo. Un clima sociale surriscaldato spinse gruppi come i Doors, Jefferson Airplane, Country Joe & The Fish, oltre l'utopia, l'avanguardia della svolta politica a ritmo di musica, mutando il linguaggio, il vestire, il vedere la vita e l'incontrarla.
L'onda poi
non è arrivata
In clima surriscaldato spinse numerosi gruppi di artisti, dalla pittura alla Graffit-Wall, dalla musica alla letteratura, dalla poesia alle manifestazioni creative., il mondo pare muoversi sotto i propri piedi. Penso che nessuna gioventù su questo mondo non abbia vissuto un momento così alto e insicuro, come ambiguo e perverso. Le prime band musicali a cavalcare l’onda della protesta a San Francisco, furono i Doors, Jefferson Airplane con la formazione fissa del Matrix del 1965, Country Joe, The Fish, Bob Dylan e Leonard Cohen nella maniera più anarchica possibile, con molte attenzioni a non mettere i piedi troppo nella furiosa lotta. Sull'onda del Movimento californiano in tutti gli Stati Uniti si moltiplicarono le manifestazioni in tutto lo stato e poi in tutto il mondo. "Esterina, i ventanni ti minacciano, grigiorosea nube, che a poco a poco in sé ti chiude. Ciò intendi e non paventi". (Eugenio Montale). La dolce lisergia di una ballata che ti fotte e ti fa male, ti può andare bene una volta, ma arriva quella che può essere fatale e non è terrorismo, è la verità da me stesso sperimentata. Voglio che qualcuno salti su e mi dia torio, se ci riesce! Ho perso troppi amici e amiche in questi pastrocchi chimici e molti non sono tornati più indietro per eccesso di volare. Qui sotto, l'Iguanone.

Quietismo
Hippies
Negli anni tra il 1965 e il 1967, si sviluppò il più grande movimento giovanile di massa che la storia avesse mai visto, movimento che legava sotto i simboli dei Movimenti Hippies, dei poeti della Beat generation e dei musicisti di quell’area culturale. In quel momento, il quietismo degli hippies è all'improvviso soppiantato dalla volontà rivoluzionaria degli yippies. Inziano scontri a san Francisco, Tim Leary vuole riempire di Lsd l'acquedotto di Los Angeles, I Jefferson che creano, forse anche senza volerlo, un movimento di allucinati che si sbrandellano il cervello con potenti misture lisergiche.



Un loominaccioso
Un’intera generazione che pretendeva un mondo diverso, per arrivare al punk. Un po’ misero come risultato, fatto che fino a quel momento le nuove mode musicali non avevano intaccato il fondamentale meccanismo del consumismo. Avevano casomai sostituito vecchi meccanismi con dei nuovi. I giovani avevano scoperto una propria zona esclusiva in cui coltivare stili di vita, abbigliamento, tempo libero, divertimento, ma sempre all'interno di un ben radicato meccanismo di consumo. Per la prima volta, invece, gli hippies mettono in discussione la logica stessa del consumismo. Il look "straccione", diventato poi fatua espressione di moda, era all'inizio il segno di una minacciosa rivolta contro i valori della società capitalista. La povertà, la semplicità, la vita fuori dalle metropoli, o addirittura la vita in comune, ispirata a una sorta di primitivo e radicale socialismo, erano una lacerante ferita inferta all'America dell'espansione imperialista. La potenza di questo messaggio fu amplificata dal fatto che, come mai era successo prima, analoghi desideri circolavano più o meno in tutto il mondo, in una nuova sintonia che superava distinzioni geografiche e culturali.
Il dio azteco Xochipilli, Principe dei fiori.
Divenne l'ispiratore degli hippies
di tutto il mondo

E il Movimento?
di protesta non era solo hippismo. C'era un'altra anima, importantissima quanto profonda, anzi spesso decisiva, nei momenti più intensi della rivolta. A Berkeley si sviluppò l'ala "politica" del movimento, dapprima con il Free Speech Movement, che adottò la tattica della disobbedienza civile per lottare contro i metodi d'istruzione delle scuole e delle università, contro l'asservimento delle stesse università all'industria militare e, soprattutto, contro la guerra in Vietnam, predicando una "lotta politica emotiva", fantasia poetica e fratellanza. Esibivano il loro stile di vita alternativo, per molti versi simile a quello degli hippies, nella quotidianità della vita urbana, con l'intenzione di fare della propria esistenza personale una testimonianza politica. L'obiettivo era quello di porre l'intera America "in acido", ovvero deridere la società, per così dire, "normale" con surreali dimostrazioni pubbliche (famosa la distribuzione gratuita di denaro nella Borsa di New York) con lo scopo d'innescare una vera e propria rivoluzione permanente. Jerry Rubin fu l'elemento di spicco del movimento "politico" californiano, l'organizzatore del Vietnam Day Committee, guida del movimento.










Cervelli      soffiati
Come     cantava Jim Morrison: “Vogliamo il mondo” e lo volevano veramente. E subito! Da qui si possono notare le sfasature chiare dovute all’assunzione soprattutto di effetto droghe allucinogene, che sul momento dell’azione ti porta sulle ali di Icaro, ma quando l’effetto finisce la fatica è trovare un aeroporto aperto con la pista d’atterraggio sicura e illuminata, in quanto l'atterraggio poteva avvenire anche di notte. Vorrei sapere a quanta gente l'Lsd ha soffiato i cervelli, sicuramente migliaia!
Avendole fatte   
tutte le    droghe
in circolazione posso dare un giudizio certo, Lsd è tra le droghe più devastanti della terra. E' un dolore inspiegabile, metafisico, perché quel che vedi e senti, lo vedi e lo senti solo te e questo scombussola la psiche di chiunque. Un'autentica bomba ad orologeria, può andar bene, come può andar male e cadere in stati di paranoia più o meno potenti. 
Giovani     alchimisti
e le        droghe

Sul mercato illegale, l'Lsd era estremamente economico e la diffusione fra i giovani fu dilagante e veloce, come le droghe di sintesi oggi e le discoteche che contengono sballi e cervelli fusi. Da considerare che lo sballo garantito dal "trip" è molto lungo quindi con poche lire eri fuori tutto il giorno, ma i danni che ha creato l'Lsd chi potrà stabilirli? Per questo viene chiamata la droga dei poveri e spesso sono gli adolescenti a consumarla. Intanto il Movimento procedeva a passi da gigante, spinto e sospinto non solo perché i giovani conobbero la droga, ma perché gli stessi giovani implicavano motivazioni più che oneste e sincere alle loro lotta, senza interessarsi di quei periodi e problemi causati da queste sostanze spesso alterate da altre sostanze: il crack è sempre all'erta. Ma erano esausti della cosiddetta cultura conservatrice, tant’è che i giovani che si misero alla ricerca di altre culture o religioni, divenne un fenomeno e spesso con conseguenze anche drammatiche.
Salvador Dalì
Produsse influssi molto
penetranti in tutto il mondo giovanile e nella musica pop rock di ogni latitudine compresi i lembi estremi della periferia dell’ “impero” come l'Italia, dove il messaggio arrivò già trasformato in moda, spesso superficiale o banale, ma anche amorfo come gli anni '80, dove le spalline delle giacche che sembravano divise da generale di guerra con spalle larghe e rinforzi. Il risultato? La mia generazione ha perso, per dirla con Gaber. E' proprio vero: la giovinezza non è un’età felice, mi disse una ragazza di 20 anni. Certo, è così, peccato che dopo sia peggio. 
 

martedì 27 gennaio 2015

Cosa ci insegnano i templi erotici di Khajuraho



Amplesso tantrico su un tempio di Khajuraho. foto di Marco Restelli.
Amplesso tantrico su un tempio di Khajuraho. Foto di Marco Restelli.
Morbide, sensuali, eleganti e provocanti insieme: le sculture erotiche dei templi di Khajuraho, in India, suscitano stupore e un innegabile brivido erotico in chi le guarda. Si resta ammirati perché osservando quelle coppie allacciate in vari amplessi ci si dimentica che sono statue di pietra: i corpi degli amanti sono così flessuosi, i loro abbracci così appassionati, da sembrare vivi e veri. Merito dell’abilità degli artisti che li scolpirono, negli anni fra il 950 e il 1050 dopo Cristo.

Khajuraho è un villaggio dell’India settentrionale ormai diventato una famosa meta turistica, proprio grazie a questi templi (perfettamente conservati) che hanno portato fino a noi l’essenza dell’arte erotica indiana. Perciò passeggiare nel bel giardino che circonda i templi e soffermarsi davanti alle loro sculture è un po’ come vedere “dal vivo” gli antichi trattati indiani sull’amore e il sesso, quali il celebre Kamasutra. La parola Kama, nelle lingue dell’India settentrionale, significa contemporaneamente “amore” e “desiderio sessuale” e già il fatto che gli indiani usassero una sola parola per i due concetti ci fa capire come li considerassero inscindibili, e quale importanza attribuissero al sesso, vera e propria arte da non trascurare mai per avere una felice vita di coppia.
Le sculture erotiche di Khajuraho raffigurano amanti in ogni genere di atto sessuale – anche con più partner, con al centro una donna o un uomo – e lasciano libero spazio alle fantasie sessuali. Fantasie che gli antichi indù consideravano del tutto legittime, proprio perché la sessualità era vissuta come fonte di estasi e anche di illuminazione interiore, priva di ogni nesso col peccato. In un antico testo il dio Shiva si rivolge così alla sua sposa Parvati: «Amata mia Signora, le fantasie erotiche stimolano le emozioni e aiutano a elevare i sentimenti al di sopra della mondanità. Sono d’aiuto per coloro che si sentono incatenati dalle cose del mondo. Esplorando la coscienza, la fantasia erotica può diventare un mezzo di Liberazione dai vincoli».
Le sculture di Khajuraho ci possono dunque insegnare a vedere le cose da un punto di vista indù: la sensualità intesa come base dell’amore, fonte di piacere ma anche di risveglio spirituale per la coppia, perché il corpo del partner è come un tempio, degno di adorazione. I libri tantrici indù insegnano che l’amplesso è uno strumento per superare la separatezza fra il principio cosmico femminile e quello maschile e raggiungere così, al culmine del piacere, l’Unità suprema. In sostanza, una via che conduce a un’esperienza  di estasi che è anche mistica. Un punto di vista piuttosto difficile per noi occidentali spesso animati da pregiudizi, come dimostra la reazione che ebbero i primi esploratori inglesi quando nell’Ottocento scoprirono i templi di Khajuraho: influenzati dalla propria morale puritana, gli inglesi scrissero rapporti scandalizzatissimi, in cui bollarono come “oscena” e “animalesca” quell’arte erotica.
Un’arte di cui è protagonista assoluta la donna, che a Khajuraho è raffigurata ovunque e in mille modi anche al di là della vita sessuale: ci sono sculture di donne che scrivono, che danzano, che si mettono il kajal sugli occhi o l’henné sui piedi, si specchiano, cantano, ecc. La donna è protagonista di una sensualità naturale, esibita con grazia e con malizia, ma sempre è “soggetto”, mai “oggetto” sessuale. L’uguaglianza fra uomo e donna, nel mondo del kama, era un fatto assodato; benché discriminata in altri aspetti della vita sociale, nel campo della sessualità e dell’amore la donna indù aveva i medesimi diritti dell’uomo, e dunque lo stesso diritto al piacere. Scrive infatti il Kamasutra: «Poiché la specie non è diversa, lo sposo e la sposa chiedono piacere uguale. Perciò la donna è da vezzeggiare in modo che raggiunga il piacere per prima».

Alcuni templi a Khajuraho, India. Foto di Marco Restelli
Alcuni templi a Khajuraho, India. Foto di Marco Restelli
Quindi dal punto di vista dell’antico induismo – così bene espresso nei templi di Khajuraho – l’atto sessuale non deve mai essere una cosa superficiale o affrettata (come invece accade troppo spesso in Occidente, con un atteggiamento “consumista”).  Nel Tantra l’unione sessuale è vista come un’esperienza totale, finalizzata all’espansione della coscienza degli amanti. L’eccitazione dei due partner, intrecciata alla forza emotiva dell’ amore, genera un’enorme energia che cancella dalla coscienza degli amanti ogni attività mentale estranea. L’unione fra uomo e donna insomma può essere uno strumento evolutivo della coscienza dei partner: può portarci a un punto dove maschile e femminile non sono più separati ma fusi in una unità più alta, dove l’ego individuale si dissolve. L’atto sessuale tantrico diventa così una forma di meditazione, come lo yoga. Ed è anche una celebrazione del Femminile. Perché – come dice il dio Shiva in un altro testo indù – «nemmeno noi Dei esisteremmo senza la Shakti, l’energia femminile che muove e sorregge il mondo».
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I baci che risvegliano il desiderio
Un antico testo d’amore indù, lo Ananga Ranga, enumera dieci tipi di baci, ciascuno con una funzione diversa. Il bacio Ghatika, per esempio, è consigliato alle donne per suscitare la passione maschile: «La donna, eccitata dal desiderio, ad occhi chiusi, coprendo con le mani gli occhi del marito gli introduce in bocca la lingua e la muove sinuosamente, in modo così dolce e cadenzato da dare subito l’idea di un altro e più completo godimento». Il bacio Pratibodha invece è consigliato all’uomo: «Quando il marito dopo un’assenza torna a casa e trova la moglie addormentata su un tappeto in una camera solitaria, appoggi le labbra sulla sua bocca aumentando a poco a poco la pressione fino a risvegliarla. E’ questo il bacio più gradito e che lascia il più dolce ricordo».
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Avvolta come una liana all’albero
Una posizione erotica raffigurata sui templi indiani di Khajuraho è la Vrikshadhirudha, l’abbraccio che imita il gesto di chi si arrampica su un albero. Si pratica così: l’uomo è in piedi e la donna pone un piede sul piede di lui, poi alza e preme l’altra gamba sulla coscia di lui e circondandogli la vita con le braccia lo stringe con forza, quindi lo bacia appassionatamente e poi lo conduce all’atto amoroso.

http://www.milleorienti.com/2013/07/31/cosa-ci-insegnano-i-templi-erotici-di-khajuraho/

lunedì 26 gennaio 2015

La luce... e le lacrime – PARTE SECONDA –



L’emozionante racconto di uno dei primi occidentali a un campo di meditazione organizzato da Osho nei primi anni ‘70: il forte impatto non solo con la presenza di Osho e con la meditazione, ma anche con la particolare bellezza dell’India
Articolo apparso su Osho Times n. 213

Prima di stabilirsi a Pune, nel 1974, Osho organizzava campi di meditazione, in varie località, in cui si sperimentavano le tecniche che stava mettendo a punto proprio in quegli anni. Uno dei suoi posti preferiti era Mount Abu, sulle colline del Rajasthan.

SECONDA PARTE (la prima parte è sulla newsletter precedente)

L’inizio
E all’improvviso, lui arriva. Qualcuno irrompe nella festa, ci chiede di far silenzio, dicendo che Osho è a Mount Abu, che stasera starà anche qui a dormire. E per consenso unanime, anche se non espresso, la musica e le danze semplicemente smettono. Tranquillamente, andiamo ognuno per la sua strada, come se il lavoro interiore che siamo venuti a fare qui fosse, per la sua stessa presenza in mezzo a noi, già iniziato.
Osho terrà un discorso sui Vedanta ogni mattina e nella serata risponderà a domande scritte. Ogni giorno si terranno due meditazioni in sua presenza: la Dinamica, subito dopo il discorso mattutino, e una nuova tecnica dopo la sessione serale.
La prima mattina la sala si riempie velocemente. Gruppi di occidentali si dispongono goffamente sul parquet, come cespugli arruffati di teste bionde, brune e rosse tra la foresta nera dei capelli ben pettinati e lucidi d’olio degli indiani. Nella parte anteriore della sala c’è il palco per Osho e proprio davanti al palco è stata delimitata un’area per i musicisti che suoneranno dal vivo per le meditazioni. Sopra la poltrona di Osho, un enorme striscione sospeso al soffitto recita: “Non vengo per insegnare, ma per risvegliare. Arrendetevi e io vi trasformerò. Questa è la mia promessa”. Quelle parole mi commuovono profondamente.
Ma un attimo dopo, quando Osho in persona è lì, sotto lo striscione, e parla, le sue parole non mi commuovono, ma mi gettano nel panico. Sono troppe e troppo in fretta: non c’è spazio per afferrarle, non c’è tempo per pesarle, per pensarci su. Digerire una frase significa perdere quella dopo. E come scegliere? Quale preferire? Ho troppa paura di perdermi qualcosa e, nel terrore, è proprio quello che faccio.
Inadeguato. Al suo cospetto sono assolutamente un incapace, non riesco nemmeno a capire quello che sta dicendo, eppure ho l’ardire di aspirare a essere come lui. L’immensità della mia audacia mi fa vergognare fin nel profondo. Ma ammetterlo porta con sé una sorta di pace. C’è un assestamento, come quando una grande onda che si infrange sulla sabbia, la lascia di nuovo liscia, rinfrescata e pulita. E alzo la testa a guardare Osho con un’umiltà che per me è nuova, con l’apertura e la volontà di chi ha realizzato di non sapere e vuole imparare. E poi le sue parole cominciano a penetrare in me e vedo che ora sto davvero ascoltando, non con la mente, non aggredendo le parole nervosamente come un cane attaccato a un osso, ma piuttosto bevendole, permettendo che si riversino in me, incurante del significato. E sento che mi riempiono, mi nutrono in qualche luogo interiore profondo e intimo. Mi rendo conto che Osho sta cantando la sua canzone e, rilassato, io semplicemente l’ascolto.
Le sue parole si diffondono sopra di me, scendono fino a me, mi toccano, mi accarezzano, portando con loro il profumo della sua promessa. “Io vi tra­sformerò”, dice lo striscione. E sen­to che il mio cuore si apre a Osho, co­me delle braccia che si allargano, chiedendogli di darmi tutto quello che sa.

Una fragranza ultraterrena
Un turbinio di movimento intorno a me mi richiama all’improvviso da un qualche luogo interiore e solo allora mi accorgo che Osho ha smesso di parlare.
La folla si sta disperdendo e le persone si spostano verso le pareti della sala,  mentre si spogliano, tenendo solo l’essenziale, per la Dinamica.
“Tutti devono avere una benda sugli occhi” sento Osho dire dal podio.
Mi bendo gli occhi. C’è un attimo di pausa, un delizioso momento di attesa e poi Osho grida: “Adesso! Respirazione profonda, veloce, caotica”. E in un’esplosione di musica che inizia   in un crescendo, sono tutto nella respirazione.
“Più profonda. Più veloce. Più pro­fonda. Più veloce”. Sento Osho che ci incita, spingendoci con le sue parole e io gli rispondo, buttandomi completamente nella respirazione. Poi accade una cosa straordinaria: una fragranza riempie improvvisamente la stanza, come se fosse stata spruzzata su di noi da un grande atomizzatore cosmico. È allo stesso tempo dolce e pungente, morbida e graffiante, ma più di tutto è fresca, in modo esilarante e stimolante. Io la respiro profondamente, sapendo, in qualche modo, che proviene da lui. Nel retro della mia mente si muove un ricordo, qualcosa che riguarda Padmagandha, il profumo del loto, la fragranza ultraterrena che sembra emani dalle persone illuminate. Ma prima che la mia testa possa afferrare il pensiero e, con i suoi come e i perché, distruggere quella magia, mi riempio i polmoni di quella fragranza e continuo a respirare. Più profondo e più veloce, più profondo e più veloce è il mio respiro... e poi arriva un punto in cui non riesco più a trovare me stesso, dove il respiro è tutto ciò che accade, tutto ciò che sono.
Quando Osho grida: “Ora esplodete nella seconda fase” comincio subito a piangere. Il mio corpo cade a terra, fra grandi singhiozzi che mi scuotono e lacrime che scorrono lungo le mie guance da sotto la benda. Stranamente, non ho alcuna identificazione con il pianto. Le lacrime sono totalmente scollegate da qualsiasi cosa: la respirazione di prima ha semplicemente provocato un diluvio. Ma mi sento così bene solo a piangere, è un’incredibile pulizia, mi sento così alleggerito.
Quando inizia la terza fase, ancora singhiozzando, mi tiro in piedi con difficoltà. “HU! HU! “gridiamo, con la sala che trema sotto i nostri piedi. Cerco di lasciare che il suono colpisca il centro sessuale, in un punto della mia pancia appena sopra i genitali. Sperimento un po’, spostando il bacino in un modo o nell’altro, fino a quando tutto in una volta trovo il punto giusto. Non ci sono dubbi: ho colpito il bersaglio! E parto: su e su e su, “ HU! HU! HU!”. Posso sentire l’energia che cresce, che si muove sempre più in su, più in alto, e diventa sempre più dirompente, sempre più esplosiva.
E poi, dal podio, un singolo comando: “Stop!”. E, come se il filo di un aquilone fosse stato tagliato bruscamente, d’un tratto non c’è alcun movimento, nessun suono, niente di niente. All’interno, l’energia va verso l’alto per alcuni secondi e poi anche lei si dissolve, assorbita. Poi c’è solo la vastità dello spazio e in quello spazio, l’osservare.
Qualcosa di completamente folle
Quando finalmente mi tolgo la benda, Osho se n’è andato, ma, ricordando la sua fragranza, lo porto con me fuori dalla sala e nell’intenso sole del mattino.
La meditazione che ci è stato detto di fare al pomeriggio durante i dieci giorni di campo non mi pone alcun problema: è il Gibberish. Ma, nonostante il fresco, chiaro, limpido azzurro sopra Mount Abu, non c’è ancora nessun cielo aperto dentro di me. Mi chiedo se ci sarà mai.
C’è un’altra tecnica da fare prima di andare a dormire. Dobbiamo riempirci i polmoni di aria e poi svuotarli facendo il suono “O”; riempirli, svuotarli, riempirli, svuotarli... e così via per 20 minuti.
Ma sulla meditazione nuova nessuno sembra sapere nulla, tranne che si tiene dopo la sessione serale, in presenza di Osho. Quando la spiega resto inorridito: mi sembra non solo impossibile, ma anche qualcosa di completamente folle. Dobbiamo saltare su e giù, con le braccia in aria, gridando “HU!” mentre guardiamo Osho negli occhi senza batter ciglio, per quaranta minuti!
Quaranta minuti! A parte un paio di risatine nervose e incredule che arrivano da un gruppetto di veterani, il resto di noi rimane in silenzio, storditi nel nostro stupore.
E quando la meditazione inizia, quella sera, sono letteralmente sbalordito: alzo le braccia, trovo gli occhi di Osho al di là del mare di teste e, quando inizia la musica, comincio a saltare. Due o tre salti e un dolore paralizzante nella sua improvvisa intensità, come un lampo nella mia testa, mi mette al tappeto e a terra rimango, contorcendomi in agonia per un periodo di tempo che non riesco a calcolare, fino a quando, finalmente, riesco a rimettermi in piedi e ricominciare. Ma il fulmine colpisce ancora, più acuto, più feroce di prima. Questa volta rimango sul pavimento: stare in piedi, anche solo stare in piedi, mi è impossibile.
Sdraiato lì, rannicchiato nel dolore, mi tengo la testa fra le mani dondolando un po’ ed evitando i piedi che saltano in continuazione intorno a me, con lo stesso senso di inadeguatezza che ho provato stamattina. Quella stessa paura mostruosa di perdermi qualcosa, di aver fallito... e, insieme alla tortura nel mio cervello, diventa un cieco, bruciante panico. Voglio scappare dalla stanza, scappare nella notte, lontano da tutta questa frenesia, lontano da tutto questo rumore. Ma alzarmi in piedi è fuori questione. Le braccia degli altri che si agitano mi mandano per due volte a schiantarmi per terra. Carponi, come se strisciassi fra i pistoni in movimento di un motore da corsa, riesco ad arrivare alla porta. Ma non posso andarmene. Oltre la porta aperta c’è la notte del Rajasthan, buia e desolata. Dietro di me c’è vitalità, c’è vita. Sento il freddo sul viso, il fuoco alle mie spalle... e mi giro! Attraverso la massa aggrovigliata di corpi che saltano e ruotano, attraverso una mi­schia serpeggiante di braccia alzate che si spingono ancora più in alto, vedo Osho, bianco e splendente, in piedi sul bordo del palco, le braccia alzate in aria. La sua testa è inclinata indietro, i suoi occhi sono chiusi e, a incorniciare il suo volto, c’è una luce dorata e luccicante che avevo già visto prima, una luce che arriva da dentro di lui, da qualche fonte interiore...
Andarmene? Rido per la mia stupidità e, lasciandomi cadere a terra ancora una volta, mi appoggio al muro. E di nuovo le lacrime... non sono lacrime di dolore questa volta, ma lacrime di stupore e meraviglia che arrivano da un cuore che non può né comprendere né contenere tutto questo.

Tratto dal libro di Jack Allanach (Swami Krishna Prem) Osho, India and Me, A Tale of Sexual and Spiritual Transformation (disponibile, in inglese, www.lulu.com)


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