5 MAGGIO 2016
Dopo aver studiato tutti i testi sacri, Kach, il figlio del
saggio Brihaspati, tornò alla casa del padre. Conosceva tutto ciò che era
possibile conoscere! Eppure la sua mente non riusciva a darsi pace; il
desiderio di piaceri lo agitava, il fuoco dell’orgoglio lo inquietava. Era
andato alla ricerca della conoscenza solo per liberarsi da tutto ciò, ma l’inquietudine
era comunque presente, e in più, proprio il peso del suo sapere l’aveva
ingigantita.
È proprio ciò che accade. Che connessione potrà mai esserci
tra conoscere i testi sacri e l’insorgere della pace interiore? Tra le due cose
non esiste alcun legame diretto; anzi, al contrario, quel tipo di sapere
amplifica l’ego e spalanca le porte dell’inquietudine, fino a quel momento
socchiuse.
D’altra parte, è giusto definire tutto ciò “conoscenza”, se
non è in grado di portare alcuna quiete? La vera conoscenza, il conoscere,
procura pace e leggerezza: può, dunque, essere chiamato conoscenza ciò che
genera inquietudine e pesantezza?
L’ignoranza è una sofferenza; ma se anche la conoscenza è una
sofferenza, dove mai si potrà trovare la felicità? Se la conoscenza non procura
alcuna quiete, forse sarà davvero impossibile trovarla. Se la pace non si può
trovare neppure sulla soglia della verità, dove mai la si potrà trovare? Ma
esiste una qualsiasi verità nei testi sacri?
Tutti questi interrogativi affioravano nella mente di Kach,
simili a una tempesta. Era davvero tormentato da quei dilemmi, e disse al
padre: “Ho letto tutte le scritture. Ho appreso dal mio insegnante tutto ciò
che è possibile imparare; ma in tutto questo non ho trovato pace alcuna: sono
preoccupato e inquieto. Adesso, per favore, mostrami la via verso la pace. Cosa
dovrei fare per trovare quiete?”.
Ciò che dice è esatto: la pace non si trova – né può essere
trovata – nelle sacre scritture; né può esserti data da un qualsiasi
insegnante. Non è qualcosa che si può trovare all’esterno; anzi, non c’è altro
modo di scoprirla che non sia tramite il proprio sé.
E cosa disse Brihaspati a Kach? Gli disse: “La pace può
essere trovata nella rinuncia”.
L’aspirazione alla verità di Kach non era semplice
curiosità: era il desiderio più profondo della sua vita. Per cui rinunciò a
ogni cosa, scelse la più assoluta rinuncia: per anni ridusse i suoi averi a un
semplice perizoma. Si dedicò a pratiche ascetiche e a digiuni, privando il
corpo di ogni cosa.
Gli anni passarono, ma Kach non riusciva a sentire il minimo
segno che la pace si stava avvicinando a lui. Alla fine rinunciò anche a quel
perizoma, e iniziò a vivere nudo: pensava che, forse, anche quell’attaccamento
a un perizoma ostacolava il suo cammino. Adesso la sua rinuncia era
indubbiamente completa, ma ancora la pace gli era ignota.
A un certo punto, si predispose alla risoluzione finale:
pensò che forse era il corpo stesso a essere l’ultimo ostacolo, che rappresentasse
un desiderio di restare aggrappato. In verità, tutte quelle penitenze e tutti
quei digiuni avevano letteralmente prosciugato il corpo che ora esisteva solo
di nome; d’altra parte, anche così era comunque presente.
Kach decise di mettervi fine. Accese un fuoco e si preparò a
rinunciare al suo corpo: qualsiasi fosse il prezzo, doveva trovare la pace! Per
conseguirla, era pronto ad abbracciare perfino la morte. E quando la pira
iniziò ad animarsi, Kach andò a cercare il padre per chiedergli il permesso di
gettarsi tra quelle fiamme. Ma il padre, ridendo, lo fermò e gli disse: “O
folle! Cosa otterrai mai, rinunciando al corpo? Fino a quando la mente è piena
di desideri, e vi è stata attaccata così a lungo, bruciando il corpo non si
ottiene nulla: i desideri continueranno sempre a cercare nuovi corpi, e l’ego
troverà sempre nuove dimore. Ragion per cui, la rinuncia al corpo non è affatto
una rinuncia. La vera rinuncia è la rinuncia della mente, ed è nella rinuncia
della mente che dimora la pace, perché la quiete è data dalla libertà dalla
mente”.
Per qualche istante Kach rimase senza parole. Simile a una
persona che non sa cosa fare, chiese: “Ma com’è possibile conseguire la
rinuncia della mente?”.
Forse anche tu mi stai facendo la stessa domanda: chiunque
sia alla ricerca della pace si confronta con questa difficoltà di fondo.
Chiunque sia impegnato nella ricerca della verità e della liberazione porta in
sé questo interrogativo. La mente in quanto tale è l’ostacolo, la mente in sé è
inquietudine!
In cosa consiste questa mente? La mente non è forse il
desiderio di essere qualcosa? Per un momento, per favore, esci dal tuo sonno e
osserva questa verità: la mente in quanto tale non è forse il desiderio di un’identità,
la corsa per essere qualcuno, la sete di essere qualcosa?
Se non esiste la sete di conquistare alcunché, dov’è la
mente? Se, anche solo per un istante, io sono presente, sono ciò che sono, e in
me non esiste alcun desiderio di essere alcunché, all’infuori di ciò che sono,
dov’è mai la mente? E se questo è vero, come può la mente in quanto tale
ricercare la pace e la verità? È proprio quella mente a ricercare la pace,
dunque anche il desiderio è presente; ebbene, chi vuole essere in pace? Chi
vuole trovare la verità? Chi è tanto desideroso di salvezza? Non è forse
proprio quella stessa mente? E se tutto questo è la mente, allora in che modo
ce ne potremo liberare?
In realtà, la rinuncia della mente non può essere conseguita
con tentativi o sforzi di sorta, fatti dalla mente stessa, perché qualsiasi
tentativo fatto dalla mente alla fine potrà solo rafforzarla e darle più
potere; ed è proprio ciò che accadrà. Qualsiasi azione portata avanti dalla
mente non è che una conseguenza e una ricerca di realizzare i propri desideri.
Come risultato, è del tutto naturale che venga nutrita dalle sue azioni e si
rafforzi.
Ecco perché è impossibile liberarsi dalla mente tramite azioni
compiute dalla mente stessa: come potrebbe mai la mente essere responsabile
della propria morte? Lotta e si dibatte nei desideri di questo mondo, ma si
anima anche grazie al desiderio della liberazione.
La stessa cosa che esiste nel mondo esiste nella religione:
proprio quella stessa mente che ricerca il mondo e i suoi piaceri, non
riuscendo ad aver successo nel mondo, frustrata e annoiata, inizia ad aspirare
alla pace e alla verità. La mente è la stessa, perché di fondo il desiderio è
lo stesso.
Là dove esiste il desiderio, esiste la mente. Il desiderio è
il mondo, e anche la rinuncia è desiderio: qualsiasi rinuncia, ogni volontà di
abbandonare il mondo, è frutto del desiderio. Si tratta soltanto di reazioni
all’indulgere nei piaceri del mondo – ma finché esiste una reazione, non c’è
alcuna libertà. Ogni volta che un’azione è di fatto una reazione a qualcosa, vi
è legata, ne è una diramazione; è soltanto una forma diversa, di fatto è quella
stessa cosa.
Anche la rinuncia è un indulgere. La rinuncia è di per sé
qualcosa di mondano: che si tratti di indulgere nei piaceri del mondo o di
rinuncia, di votarsi all’ascetismo, la forma originale della mente – l’essenza
di ciò che è la mente – resta in entrambi i casi del tutto indisturbata.
Il desiderio è la vita
della mente. La sete di essere qualcosa,
di ottenere qualcosa, di arrivare da qualche parte sono le sue stesse
fondamenta; ecco perché non si trova pace alcuna né nell’indulgere né nel
rinunciare.
La pace esiste, ed esiste soltanto allorché la mente non è
presente: la presenza della mente implica l’inquietudine; l’assenza della mente
è quiete. Là dove la mente non esiste, esiste ciò che è reale. D’altra parte,
tu chiederai: “Come può accadere?”.
Amico mio, non chiederlo, perché è proprio la mente a
chiederlo! La ricerca di un “come” appartiene alla mente. La ricerca di
strategie e mezzi sono proprietà della mente. La ricerca tesa a essere qualcosa
appartiene alla mente; è lei che non smette di chiedere: “Come?”.
No, non chiederlo, osserva invece quali sono le vie della
mente: con quali strategie si integra? Con quali metodi migliora? Con quali
metodologie si rafforza? Di certo, le sue strade sono molto sottili: svegliati
e riconosci queste vie! Non fare nulla, ma resta semplicemente sveglio: osserva
e sii attento e presente alle sue manifestazioni e alle sue
sottomanifestazioni.
Comprendi la mente; riconoscila nella sua totalità. Sii
sveglio alle sue azioni e alle sue reazioni, ai suoi attaccamenti e al suo
distaccarsi, a ciò che le piace e a ciò che non le piace: fa’ in modo di
ricordartelo in ogni istante; fa’ in modo di non dimenticartene. L’attenzione a
tutto ciò dev’essere naturale, i nostri occhi devono focalizzarsi
automaticamente su tutto ciò. Una rivoluzione accadrà solo tramite una
comprensione e una conoscenza libere da qualsiasi tensione o da qualsiasi
concentrazione. Di fatto, comprendere tutto questo è rivoluzione.
Conoscendo la mente, la mente di per sé scompare. Imparando
a riconoscerla, decade; e questo perché la conoscenza e l’essere consapevoli di
qualcosa non sono desideri: non implicano alcuna gara per arrivare a essere, o
non essere, qualcosa.
Questo non è altro che un semplice essere svegli, attenti e
presenti, rispetto a qualcosa che esiste e che sta accadendo. Il desiderio è
sempre proiettato nel futuro, la conoscenza è sempre nel presente. Ecco perché
l’avvento della conoscenza è un dire addio al desiderio: conoscere la mente è
libertà dalla mente.
Ricorda che questo non è libertà della mente, è libertà
dalla mente in quanto tale, ed è in questa luce sconfinata di libertà che si
conosce l’essenza divina.
Osho Crea il tuo destino
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