06/08/2018
“Celebra, qualunque sia la situazione.
Se sei triste, celebra la tua tristezza.
Prova! Fai un tentativo e rimarrai sorpreso.
Sei triste? Mettiti a ballare, perché la tristezza ha una
sua
bellezza, è uno squisito fiore silente dell’essere.”
Amato Osho,
è possibile celebrare anche l’infelicità, il dolore, la
tristezza?
Èpossibile, perché celebrare è un’attitudine, quindi vi si
può includere
anche la tristezza; in questo stato dell’essere, anche la
tristezza può essere
accettata.
Se sei triste, non identificarti con la tristezza. Osservala
invece, diventane
testimone e gioisci di quei momenti di tristezza perché
anch’essa ha la sua
bellezza. Non te ne sei mai accorto perché ti identifichi
così totalmente con la
tristezza che non hai mai pensato di penetrare le meraviglie
che un istante di
afflizione nasconde.
Se la osservi, rimarrai sorpreso nel vedere quali tesori ti
sei lasciato
sfuggire. Quando sei felice, allegro, non sei mai così
profondo come quando
sei triste; la tristezza possiede profondità, la felicità è
più in superficie. La
felicità assomiglia a un’onda sulla superficie dell’acqua:
la sua vita è in
superficie. La tristezza, invece, vive nelle profondità:
quando sei triste non ti
senti un’onda, ti senti cadere in un abisso profondo
chilometri.
Vivi quell’abisso, osservalo. La felicità è rumorosa, la
tristezza ha il suo
silenzio. La felicità può essere paragonata al giorno, la
tristezza alla notte. La
felicità è simile alla luce, la tristezza all’oscurità. La
luce va e viene,
l’oscurità permane. È eterna. La luce è occasionale,
l’oscurità è sempre
presente.
Se entri nella tristezza, sentirai tutte queste cose.
All’improvviso, ti
accorgerai che la tristezza è presente, simile a un oggetto,
e tu la stai
osservando, ne sei il testimone… E all’improvviso inizierai
a sentirti felice. È
una tristezza meravigliosa! È un fiore dell’oscurità, un
fiore dell’abisso
eterno.
Assomiglia a un abisso senza fondo, assolutamente
silenzioso,
musicale… non esiste alcun rumore, alcun disturbo. Ci si può
sprofondare
all’infinito, uscendone totalmente ringiovaniti. È un
riposo.
Dipende dall’attitudine che si ha: quando diventi triste,
pensi che sia
qualcosa di male. Giudichi negativamente ciò che ti è
accaduto, cerchi di
evitarlo perché lo interpreti in maniera sfavorevole: non ne
fai mai una
meditazione. Scegli invece di andare a trovare qualcuno, vai
a una festa, in un
locale; oppure accendi la televisione, la radio, ti metti a
leggere il giornale…
fai qualcosa che ti aiuti a dimenticare.
Si tratta di un’attitudine sbagliata, che ti è stata
inculcata: non c’è nulla di
male nella tristezza, si tratta dell’altra polarità della
vita.
La felicità è un polo, la tristezza è l’altro polo. La
beatitudine è una
polarità, la sofferenza è l’altra; la vita è formata da
entrambi: una vita di sola
beatitudine si estenderebbe soltanto in superficie, non
avrebbe profondità.
Una vita di sola tristezza avrebbe profondità, ma nessuna
ampiezza. Una vita
composta da entrambe le cose, è multidimensionale: si muove
contemporaneamente in tutte le dimensioni.
Osserva la statua del Buddha, oppure, ogni tanto, guarda nei
miei occhi, e
troverai le due cose unite: beatitudine, pace, ma anche
tristezza. Troverai una
beatitudine che contiene in sé anche la tristezza, perché
quella tristezza dà
profondità alla beatitudine.
Osserva le statue del Buddha: è beato e anche triste. Per
te, la parola triste
ha connotazioni sbagliate: senti che qualcosa non va, ma è
soltanto una tua
interpretazione.
Per me, la vita è bella nella sua totalità, e ne puoi gioire
soltanto quando
la comprendi nella sua totalità. Gioirne, celebrarla,
significa godere di
qualunque cosa accada.
Gioire non è condizionato dall’umore del momento: “Quando
sono felice,
gioisco; se sono triste, non gioisco”. Gioire, celebrare,
non ha riserve, non
pone condizioni: io celebro la vita! Se mi porta infelicità,
va benissimo:
gioisco di questo. Se porta felicità, va benissimo: gioisco
di quello. Gioire è il
mio atteggiamento, la mia attitudine, indipendentemente da
ciò che la vita mi
porta.
Il problema nasce perché, ogni volta che io uso le parole,
esse hanno,
nelle vostre menti, una particolare rispondenza. Quando dico
di gioire, di
celebrare, tu pensi che si debba essere felici. Come si può
celebrare quando si
è tristi? Ma io non sto dicendo che si deve essere felici
per gioire, per
celebrare: la celebrazione è gratitudine per tutto ciò che
la vita ti dona, per
qualsiasi cosa l’esistenza ti mandi. La celebrazione è
riconoscenza, è un
ringraziamento.
Celebra, qualunque sia la situazione. Se sei triste, celebra
la tua tristezza.
Prova! Fai un tentativo, e rimarrai sorpreso. Sei triste?
Mettiti a ballare,
perché la tristezza ha una sua bellezza, è uno squisito
fiore silente dell’essere.
Danza, gioiscine, e all’improvviso, sentirai che la
tristezza scompare: si è
creata una distanza. Piano piano, ti dimenticherai della
tristezza e ti ritroverai
a celebrare, a gioire: la danza ha trasformato
quell’energia.
Quando sei triste, gioisci; e in questo modo darai una
composizione
nuova alla tristezza. Introduci nella tristezza qualcosa che
la trasformerà; le
aggiungi la celebrazione. Sei in collera? Danza fino
all’abbandono. All’inizio
sarà un ballo un po’ rabbioso, aggressivo, ma, piano piano,
diventerà sempre
più dolce, sempre più morbido e, all’improvviso, ti sarai
dimenticato della tua
collera. L’energia si è trasformata in danza.
Tu, invece, quando sei arrabbiato, non riesci neppure a
pensare alla
danza. Quando sei triste, come puoi pensare a cantare? Ma
perché non
trasformare la tua tristezza in una canzone? Canta, suona il
flauto! All’inizio
le note saranno tristi, ma non c’è nulla di male se le note
sono tristi.
Sei triste? Inizia a cantare, a pregare, a ballare.
Qualsiasi cosa tu sia in
grado di fare, falla. E una volta che conosci questa chiave,
la tua vita non sarà
mai più la stessa: potrai aprire tutte le porte.
E questa è la chiave universale: celebrare ogni cosa!
E quando riesci a lasciare questa vita celebrando, la morte
non ti può
uccidere. Al contrario, sarai tu a uccidere la morte
Ma inizia subito, prova… non hai nulla da perdere!
Osho: Yoga: the
Alpha and the Omega, VOL. IV CAP. 10
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