giovedì 14 aprile 2016

Ambizione e senso di inferiorità

14 APRILE 2016


Definisco “inferno” la ruota della vita: girare continuamente in tondo lungo l’asse dell’ambizione. È la febbre dell’ambizione che avvelena la vita; tra le malattie più serie e i disordini mentali che l’uomo ha conosciuto non esiste malattia più grave dell’ambizione. Infatti, una mente disturbata dai venti dell’ambizione è destinata a non avere pace, armonia e beatitudine. Una persona simile non è a casa dentro di sé; e la pace, l’armonia e la beatitudine sono frutti dell’essere a casa in se stessi.

Una persona che non è a casa nel proprio essere è malata; tornerà a essere sana solo quando si sentirà a casa in se stessa.

Una giovane donna mi ha chiesto: “Qual è la causa primaria di questa ambizione?”.

Le ho risposto: “Un complesso di inferiorità, una sensazione di miseria”.

Di certo, un complesso di inferiorità e l’ambizione sembrano qualcosa di opposto... ma queste cose sono davvero in contraddizione? Niente affatto! Non sono in contraddizione; anzi, sono due estremi dello stesso sentire: ciò che da un lato è un complesso d’inferiorità è ambizione all’altro estremo. L’inferiorità diventa ambizione nel suo tentativo di liberarsi dal sentirsi inferiore: è inferiorità vestita a festa! Ma anche dopo aver indossato i suoi abiti migliori, non è eliminata, né tantomeno distrutta; forse, potrà non essere più visibile agli altri, ma il sé non smette mai di percepirla. Quando una persona è rivestita di indumenti, non è nuda agli occhi altrui, ma lo resta sempre al proprio sguardo.

Ecco il motivo per cui coloro le cui conquiste ambiziose abbagliano gli occhi della gente rimarranno comunque preoccupati dentro di sé e continueranno a progettare successi sempre più grandi: il successo non ha affatto distrutto il loro complesso d’inferiorità interiore. In verità, ogni nuovo successo giunge a loro come un’altra sfida a ottenere successi ulteriori. In questo modo, i successi che pensavano essere risolutivi si rivelano soltanto forieri di nuovi problemi.

Questo accade sempre, ogni volta che i problemi della vita vengono gestiti nel modo sbagliato: le soluzioni a quei problemi diventano, di per sé, problemi più grandi.

È importante ricordare che occultare una malattia non è il modo per sfuggirla; così i malanni non se ne vanno, vengono semplicemente alimentati. La mente, nel suo tentativo di nascondere un complesso d’inferiorità che inquieta, si riempie di ambizione e se ne dimentica.

È davvero facile dimenticarsi di sé nell’impeto dell’ambizione; ragion per cui, non fa alcuna differenza che l’ambizione sia per cose di questo mondo o per l’illuminazione: comunque l’ambizione è qualcosa che intossica e ubriaca; quell’eccitazione porta a un profondo dimenticarsi di se stessi.

D’altra parte, quando una persona è assuefatta a quell’eccitazione, o a una certa dose di quella droga, non si esalta più altrettanto facilmente; e la mente avrà bisogno di dosi sempre più forti di eccitazione oltre che di nuovi stimolanti. Ragion per cui le ambizioni continueranno ad aumentare: non ci sarà mai una fine a quell’orizzonte. Le ambizioni hanno un inizio, ma non hanno alcuna fine!

E quando una persona si annoia con le ambizioni di questo mondo, o quando la sua morte si avvicina, ecco che inizieranno ad animarsi le cosiddette ambizioni religiose. Anche queste sono illusorie, e la realtà è che quelle persone saranno ancor più profondamente inebriate, perché non è così facile vedere quando si è conseguita una meta religiosa, ragion per cui si ridurrà anche la paura di fallire.

Finché una persona cerca di tenere se stessa separata dal suo sé autentico, soffrirà a causa della febbre dell’ambizione in un modo o nell’altro. Nel suo lottare per essere qualcosa di diverso dal proprio sé autentico, cercherà di coprirlo e di dimenticarlo; ma questo occultarlo potrà mai essere un modo per liberarsene? Dimenticare qualcosa e lasciarlo perdere sono forse la stessa cosa? No! Dimenticare un complesso d’inferiorità ed esserne liberi non sono la stessa cosa. Dunque, questa attitudine è una risposta poco saggia; infatti, via via che si continuerà a curare la malattia in questo modo, il male continuerà a crescere.

Qualsiasi successo della mente ambiziosa è autodistruttivo, perché serve come combustibile che alimenta il fuoco dell’ambizione. Si consegue il successo, ma l’inferiorità non diminuisce; ragion per cui diventano necessari e inevitabili successi sempre più grandi. Di fondo, questo è l’equivalente dell’aumentare il proprio complesso d’inferiorità.

L’intera storia del genere umano è piena di simili menti malate. Cos’altro hanno fatto Tamerlano, Alessandro Magno e Adolf Hitler? E per favore, non sorridete a questo accenno; perché non è gentile ridere di chi è malato. Inoltre, è sconsigliato ridere anche per un altro motivo; ovvero, perché i germi della loro malattia sono presenti in ciascuno di noi. Noi siamo i loro eredi: non solo gli individui, ma l’intero genere umano è malato di ambizione; ecco perché questa malattia pandemica di proporzioni colossali sfugge alla nostra attenzione.

Secondo me, una caratteristica imprescindibile di una buona salute mentale è una vita libera dall’ambizione. L’ambizione è una malattia e, pertanto, è distruttiva: le malattie si accompagnano sempre alla morte; e l’ambizione è distruzione, è violenza, è odio che scaturisce da una mente malata; è gelosia, è una lotta perenne che mette tutti contro tutti, è una guerra.

Perfino l’ambizione per l’illuminazione è distruttiva: è violenza nei confronti del sé. Implica diventare nemici rispetto al proprio stesso sé: le ambizioni mondane sono violenza contro gli altri, l’ambizione per l’illuminazione è violenza contro se stessi. E là dove c’è ambizione, c’è violenza; il fatto che sia estroversa o introversa è un’altra cosa. La violenza, in qualsiasi forma o stato si presenti, è sempre distruttiva. Ecco perché solo coloro, la cui comprensione ha origine in uno stato della mente sano e quieto, possono essere creativi.

Una mente sana è centrata nel sé: l’impulso a essere qualcosa di diverso non sarà presente. Nello sforzo di essere qualcosa di diverso, l’individuo non potrà mai conoscere se stesso; e non conoscere il proprio sé è la debolezza di fondo ed essenziale da cui nascono tutti i complessi d’inferiorità.

Non esiste alcuna salvezza da questa debolezza, fatta eccezione per la conoscenza di sé. E non è tramite l’ambizione, ma soltanto attraverso la conoscenza del sé che si è liberi da questo desiderio; e perché ciò accada, è assolutamente necessario eliminare qualsiasi ambizione dalla mente.

Ricordo un aneddoto riferito a Tamerlano e Baizad...

Il re Baizad fu sconfitto in una battaglia e condotto di fronte al conquistatore, Tamerlano. Vedendolo, Tamerlano scoppiò a ridere fragorosamente; al che Baizad si sentì insultato, e con orgoglio sollevò la testa e disse: “Tamerlano, non essere così arrogante solo perché hai vinto questa battaglia. Ricorda: chi ride di fronte alla sconfitta altrui un giorno dovrà piangere lacrime amare di fronte alla propria disfatta”.

Baizad aveva un solo occhio e Tamerlano aveva una sola gamba. A quelle parole, dette da un uomo con un occhio solo, Tamerlano lo zoppo rise di nuovo e con maggior fragore, dicendo: “Non sono così sciocco da ridere di questa piccola vittoria. Rido delle nostre condizioni: la tua e la mia! Non lo vedi: tu hai un occhio solo e io sono zoppo. Ridevo pensando a come mai Dio ha concesso dei regni a te, che hai un occhio solo, e a me che ho solo una gamba”.

Ebbene, vorrei dire a Tamerlano, che dorme nella sua tomba, che quello non è un errore di Dio. In realtà nessuno, fatta eccezione per chi ha un occhio solo o una sola gamba, brama tanto ardentemente un regno. E non è forse vero che il giorno in cui la mente dell’uomo rinsavisce, non ci sono più regni di sorta? Non è forse vero che quanti sono rinsaviti hanno sempre rinunciato ai loro regni?

Ogni volta che l’uomo scorge dentro di sé il senso d’inferiorità vuole scapparne via. Inizia a correre nell’esatta direzione opposta, ed è qui che sta l’errore; infatti, quell’inferiorità non è altro che un segno di povertà interiore.

In profondità, dentro di sé, tutti soffrono di povertà interiore: quello stesso senso di vuoto è avvertito da chiunque. Vengono fatti sforzi per riempire questo senso di vuoto con conquiste nel mondo esterno; ma come si potrà mai riempire l’abisso del vuoto interiore con qualcosa accumulato all’esterno? Ciò che è esteriore non ha la capacità di fare una cosa simile, per la semplice ragione che si tratta di un vuoto interiore: l’esteriorità non potrà mai colmare l’interiorità!

In fondo, tutto è all’esterno: la ricchezza, il prestigio, la personalità, il potere, la religione, la carità, la rinuncia, il sapere, Dio, la salvezza – ebbene, cosa c’è all’interno? All’infuori della povertà, del vuoto e del nulla, all’interno non c’è niente. Dunque, se scappiamo per rifuggire da quel nulla, non facciamo altro che correre lontano dal sé reale: fuggire è scappare dall’essere essenziale, ovvero il sé.

La via non è correrne lontano, ma vivere con quel nulla. Infatti, la persona che ha il coraggio di vivere ed essere attenta e presente vede quel nulla colmarsi. Per costui, proprio quel vuoto si rivela un’incredibile salvezza. In quel nulla essenziale tutto esiste. In quel vuoto dimora l’esistenza, e quell’esistenza è divina.

Osho: Crea il tuo destino

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