martedì 18 febbraio 2020

Dove sono io


Raman dava ai suoi discepoli una tecnica; dovevano chiedere: "Chi sono io?". In Tibet usano una tecnica simile, migliore di quella di Raman. Non chiedono: "Chi sono io?", ma: "Dove sono io?", perché il chi può creare un problema. Quando chiedi: "Chi sono io?" dai per scontato che sei; la domanda è solo per capire chi sei. Parti dal presupposto che sei; questo essere non viene contestato. Si dà per scontato che sei. Adesso l'unica domanda è chi sei. Devi solo arrivare a conoscere la tua identità, il tuo volto; ma è già lì, presente, anche se non riconosciuto.

Il metodo tibetano è più profondo. Esso dice di essere silenzioso e andare alla ricerca di dove sei. Vai nello spazio interiore, in ognuno dei suoi angoli, e chiedi: "Dove sono io?". Non riuscirai a trovare questo io da nessuna parte; anzi, più lo cerchi e più non riuscirai a trovarlo. Chiedendo: "Chi sono io?" oppure: "Dove sono io?", arriva il momento in cui sei, ma non come "io", piuttosto come puro esistere. Questo è un regno più profondo, il regno del sentire.

Di solito non lo sentiamo mai. Continuiamo a dire "io". Usiamo questa parola in continuazione - è la parola più usata in assoluto. Ma cosa intendi con "io"? Quando dici "io", cosa vuoi dire? Che cosa esprime questa parola? Posso fare un gesto e poi dire: "Voglio dire questo". Posso indicare il mio corpo e dire: "Voglio dire questo". Ma poi ti posso chiedere: "Vuoi dire la mano, o la gamba, o lo stomaco?". Allora dovrai dire di no. Ma allora cosa vuoi dire quando dici "io"? Intendi forse la testa? Il fatto è che, quando dici "io", è una sensazione molto vaga, e persino questa vaga sensazione deriva dai pensieri.

Ben consolidato nelle sensazioni, separato dai pensieri, guarda in faccia questo "io" e scoprirai che non esiste. È solo una parola utile, un simbolo linguistico, necessario, ma non reale. Persino Buddha ha dovuto usarlo, anche dopo essersi illuminato. È un espediente linguistico. Ma quando Buddha dice "io", non intende mai "io", perché non c'è nessuno.

Quando affronti questo "io", esso scompare. A questo punto puoi spaventarti; accade a molti che entrano in profondità in una tecnica del genere: si spaventano tanto da dover scappare via. Ricorda questo: quando senti e affronti il tuo "io" sarai nella stessa identica situazione del momento della tua morte. Senti l'"io" che scompare, e senti che sta arrivando la morte. Hai la sensazione di affondare, sempre di più. E se ti spaventi, cercherai di tornare a galla, ti attaccherai ai tuoi pensieri perché possono aiutarti. Ci saranno le nuvole: ti puoi attaccare ad esse e la paura scomparirà.

Ma ricorda che questa paura è un ottimo segno, perché mostra che stai andando in profondità - e la morte è il punto più profondo. Se riesci ad andare dentro la morte, scoprirai l'assenza della morte, perché chi va dentro la morte non può morire. Allora la morte ti circonda, non è al centro, ma alla periferia. Quando l"io" scompare, sei allo stesso livello della morte. Il vecchio non esiste più, ed è nato qualcosa di nuovo.

Osho: The Book of Secrets


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