domenica 15 novembre 2020

Il destino è strano

Meditation woman Sticker by Heike Maria - White - 3"x3"

 

Guardavo delle fotografie del corteo del matrimonio della principessa Anna e, stranamente, la sola cosa che mi ha impressionato in quella sequenza di assurdità sono quegli splendidi cavalli, la loro danza gioiosa. Guardandoli, mi sono ricordato del mio cavallo. Non ne ho mai parlato, neppure a Gudia, che ama i cavalli. Ma ora che non mantengo più segreti, posso parlare anche di questo.

In realtà avevo quattro cavalli. Uno era mio – e voi sapete quanto sono pignolo… anche adesso nessun altro può guidare la Rolls. È semplice pignoleria. Anche allora era la stessa cosa. A nessuno, neppure a mio nonno, permettevo di cavalcare il mio cavallo. Ovviamente, a me era permesso cavalcare i cavalli di tutti. Sia mio nonno che mia nonna ne avevano uno. Era strano, in un villaggio indiano, che una donna cavalcasse un cavallo, ma era una donna strana, cosa si poteva farci? Il quarto cavallo era per Bhoora, il servo che mi seguiva in continuazione, a distanza ovviamente, armato di fucile.

Il destino è strano. Non ho mai fatto del male a nessuno in tutta la mia vita, neppure nei miei sogni. Sono assolutamente vegetariano… ma il mio destino è stato di essere sempre seguito da una guardia, fin dall’infanzia: non so perché. Dai tempi di Bhoora, ho sempre avuto una guardia. Ancor oggi mi seguono o mi precedono, ma le mie guardie sono sempre presenti: Bhoora iniziò questo gioco.

Vi ho già detto che sembrava un europeo. Per questo fu chiamato Bhoora, che significa “il bianco”. Neppure io conosco il suo vero nome. Sembrava un europeo, ed era strano in quel villaggio dove nessun europeo era mai arrivato…

Perfino da bambino capii che la presenza di Bhoora aveva un senso: due volte tentarono di rapirmi. Non sapevo perché mai qualcuno dovesse essere interessato a me. Ma ora lo posso capire: mio nonno, sebbene non fosse ricco dal punto di vista occidentale, in quel villaggio era molto ricco. E i dacoit… adesso Geet Bharti sarà in difficoltà nel sillabare questa parola…

Non è inglese, viene dall’hindi dacu, ma l’inglese è una lingua molto elastica: ogni anno assorbe ottomila parole di altre lingue, per questo si espande sempre di più. È inevitabile che diventi la lingua del mondo intero, nessuno potrà impedirlo. Da parte loro, tutte le altre lingue del mondo tendono a restringersi, sono molto timide. Credono nella purezza, nell’impedire l’ingresso ad altri linguaggi: è inevitabile che restino piccole e primitive. Dacoit è una traslitterazione di dacu, che significa “ladro”, non nel senso comune: indica una banda armata e organizzata, in questo caso è una “dacoitria”.

Fin dalla mia infanzia, in India era cosa normale rapire i figli dei ricchi e minacciare di tagliare loro le mani, se non veniva pagato un riscatto.. A volte si minacciava di accecare il bambino, oppure, se i genitori erano molto ricchi, di ucciderlo. E i poveri genitori, per salvare il bambino, erano disposti a fare qualsiasi cosa.

Due volte tentarono di rapirmi. Due cose mi hanno salvato: il mio cavallo, uno stallone arabo fortissimo, e Bhoora, il servo. Gli era stato ordinato di sparare in aria, non sulla gente che tentava di rapirmi, perché era contro le norme giainiste. Ovviamente, mia nonna aveva sussurrato nell’orecchio di Bhoora: “Non preoccuparti degli ordini di mio marito: prima spara pure in aria, ma se non funziona, ricorda, se non spari ai rapitori, io sparerò a te!” Ed era molto abile con le armi. L’avevo vista sparare, e centrava sempre il bersaglio. Assomigliava a Gudia, non le manca quasi nulla.

In molti versi Nani assomigliava a Gudia, persino nei dettagli: colpiva sempre il segno, senza girarci intorno. Ci sono persone che girano intorno all’infinito, e si deve scoprire cosa vogliano realmente. Non lei: era precisa, matematica! Disse a Bhoora: “Ricorda, se torni senza di lui, dicendo che è stato rapito, ti sparerò immediatamente!”. Io, Bhoora, mio nonno lo sapevamo, perché quel bisbiglio era stato fatto a voce così alta che l’intero villaggio l’aveva sentito. Era determinata, lo era sempre!

Mio nonno guardò da un’altra parte. Io non potei trattenermi, scoppiai a ridere e chiesi: “Perché ti volti? L’hai sentita. Se sei un vero giainista di’ a Bhoora di non sparare a nessuno!”

Ma prima che mio nonno potesse dire qualcosa, la mia Nani disse: “Ho parlato a Bhhora anche a nome tuo, per cui stai tranquillo”. Quella donna sarebbe stata capace di sparare anche a mio nonno. La conoscevo: non l’avrebbe fatto letteralmente, ma metaforicamente, cosa ancora peggiore. Per cui mio nonno non disse nulla.

Per due volte tentarono di rapirmi. Una volta il mio cavallo mi riportò a casa, e una volta Bhoora dovette sparare, ovviamente in aria. Forse se fosse stato necessario avrebbe sparato al mio rapitore, ma non fu necessario, per cui salvò se stesso e la religione di mio nonno.

Da allora, cosa strana, cosa che mi sembra stranissima, visto che io non ho mai fatto del male a nessuno, mi sono trovato molte volte in pericolo: la mia vita è stata minacciata parecchie volte. E io mi sono sempre chiesto , visto che la vita prima o poi finisce da sola, perché mai a qualcuno interessi tanto finirla a metà… a che scopo? Se ci fosse uno scopo convincente, potrei smettere di respirare in questo stesso istante.

Una volta lo chiesi ad un uomo che cercò di uccidermi. Ho avuto la possibilità di chiederglielo, perché alla fine divenne un sannyasin: “Ora che siamo soli, dimmi perché volevi uccidermi”. A quei tempi, al Woodland di Bombay, davo il sannyas a singole persone nella mia stanza. Gli dissi: “Siamo soli. Posso darti il sannyas, non ci sono problemi. Ma prima di diventare sannyasin, dimmi perché volevi uccidermi. Se mi convinci, posso smettere di respirare adesso, qui di fronte a te!”

Si mise a piangere e a singhiozzare, tenendomi i piedi. Gli dissi: “Questo non serve, devi convincermi dello scopo”.

Rispose: “Ero solo un idiota. Non posso dirti altro”. Forse questo è il motivo per cui persone assolutamente inermi come me vengono minacciate in tutti i modi. Sono stato avvelenato…

Proprio l’altro giorno Sheela si è preoccupata perché Gudia, parlando con lei, ha detto in senso metaforico: “Se Bhagwan morisse, mi sentirei sollevata…”.

Ovviamente Sheela è rimasta sconvolta. Mi ha detto: “Adesso non riesco più a dormire, perché Vivek si prende cura di te, e mi ha detto che sarebbe sollevata se morissi! È pericoloso, ti potrebbe avvelenare!”

Ho riso e ho risposto: “Sheela torna in te! Di certo parlava in senso metaforico. Dopo dieci anni vissuti vicino a me, chiunque diventerebbe un filosofo: non è altro che metafisica e metafora… non ti preoccupare. È l’ultima persona nell’universo intero che potrebbe farmi del male. Io posso farmi del male, non lei… non ti preoccupare”.

Ma posso capire la sua preoccupazione. Sheela ha assunto una responsabilità enorme, diventando la mia segretaria. È naturale che si preoccupi. Ha sempre paura che mi possa accadere qualcosa, poiché in quel caso dovrebbe rispondere a milioni di persone che nel mondo intero mi amano. Anche voi potete capire la sua responsabilità e la sua preoccupazione.

Le ho detto: “Posso capirti, ma non preoccuparti. Ogni tanto Gudia dà in escandescenze, ma anche in quel caso non mi ha mai fatto del male. Non può, le è impossibile…”.

Ogni tanto chiunque può dare in escandescenze, in particolare una donna; soprattutto se deve vivere ventiquattr’ore, o forse di più, ogni giorno, con un uomo come me, che non è affatto gentile, è sempre duro, cerca in continuazione di spingerti fino al limite estremo, e non ti permette di tornare indietro. Non fa che spingerti e dirti: “Buttati, prima di pensarci su!”

La mia Nani era di certo simile a Gudia, in particolare quando dava in escandescenze. L’ho vista, ma non mi ha mai preoccupato. La vedevo afferrare il fucile e correre verso la stanza di mio nonno. Ma io continuavo a fare le mie cose. Lei mi chiedeva: “Non hai paura?”

Le rispondevo: “Fa’ ciò che vuoi, e lasciami fare i fatti miei!”

Rideva: “Sei un ragazzo strano. Io voglio uccidere tuo nonno, e tu cerchi di fare un castello di carte… sei matto?”

Ripetevo: “Vai e uccidi quel vecchio. Io ho sempre sognato di farlo, perché dovrei preoccuparmi? Non mi disturbare!”

Si sedeva vicino a me e iniziava ad aiutarmi a costruire il castello di carte.

Eppure ricordo quando disse a Bhoora: “Se qualcuno tocca il mio bambino, non devi sparare in aria solo perché crediamo nel giainismo… questo è un ottimo credo, ma nel tempio. Nel mondo dobbiamo comportarci secondo le regole del mondo, e il mondo non è giainista. Perché mai dovremmo comportarci secondo la nostra filosofia?”

La sua logica era ferrea, lampante! Se parli con un uomo che non sa l’inglese, non gli puoi parlare in inglese! Se gli parli nella sua lingua, è più probabile che sorga una comunicazione. Le filosofie sono linguaggi, sia chiaro: non hanno altro significato, sono linguaggi. Quando sentii che mia nonna diceva a Bhoora: “Quando un dacoit cerca di rapire il mio bambino, parla la lingua che lui conosce, lascia perdere il giainismo”, in quel momento compresi, anche se non con la chiarezza che acquisii con gli anni. Ma a Bhoora deve essere stato chiarissimo! E di certo mio nonno capì, perché chiuse gli occhi e iniziò a ripetere il suo mantra: “Namo arihantanam namo… namo siddhanam namo…”

Io risi e mia nonna sogghignò; Bhoora, ovviamente, si limitò a sorridere, ma tutti capimmo la situazione, e come sempre mia nonna aveva ragione.

Vi parlerò di un’altra somiglianza tra Gudia e mia nonna: ha quasi sempre ragione, persino con me. Se dice qualcosa, posso non essere d’accordo, ma so che alla fine avrà ragione lei. Io non sarò d’accordo, questo è vero, perché sono testardo. Ve l’ho ripetuto in continuazione: mi impunto su ciò che sono, giusto o sbagliato. Il mio essere sbagliato è mio, e lo amo per questo; ma per ciò che concerne l’essere giusto o sbagliato… ogni volta che sorge un conflitto, so che Gudia alla fine avrà ragione… per il momento decido io… e sono testardo!

Mia nonna aveva la stessa qualità: aveva sempre ragione. Disse a Bhoora: “Pensi che quei dacoit credano nel giainismo? E questo vecchio…”, e indicò mio nonno che stava ripetendo il suo mantra… “Questo vecchio pretende che tu spari in aria, solo perché noi non uccidiamo nessuno. Lascialo perdere. Chi dice che lui debba uccidere? Tu sei giainista?”

Per istinto sapevo che se Bhoora lo fosse stato, avrebbe perso il lavoro. Fino a quel momento non me l’ero chiesto: per la prima volta mi preoccupai di Bhoora, e mi misi a pregare. Non so a chi, perché i giainisti non credono in un Dio. Dissi a me stesso: “Dio, se ci sei, salva il lavoro di questo poveretto”. Capite? Persino allora dissi: “’Se’ ci sei…”, neppure in quella situazione potei mentire… ma grazie a Dio, Bhoora non era un giainista. Rispose: “Non sono giainista, per cui posso fregarmene…”

E la mia Nani concluse: “Allora ricorda cosa ti ho detto io e non cosa ti ha detto questo sciocco”.

Dava sempre del “vecchio sciocco” a mio nonno, un termine che io riservo a Geet Bharti, ma quel “vecchio sciocco” è morto. Mia madre… mia nonna è morta – scusatemi, di nuovo ho detto “mia madre. Davvero non posso credere che non fosse mia madre, ma solo mia nonna.

A proposito, vi stupirà sapere che tutti i miei fratelli e le mie sorelle – saranno una dozzina, escluso me – chiamano mia madre Ma, tranne me: io la chiamo Babi. In India tutti si chiedevano come mai, perché questo nome indica la moglie del fratello più anziano, che in India è chiamato bahaiyya. I miei zii chiamavano mia madre Babi, ed era giusto. Ma perché io la chiamo anche oggi , così? Perché ho conosciuto un’altra donna come mia madre: la madre di mia madre.

Dopo aver conosciuto Nani come mia madre in quei primi anni, mi fu impossibile chiamare Ma, madre, un’altra donna. L’ho sempre chiamata la mia Nani, sapevo che non era veramente mia madre, ma mi fece da madre.

Mia madre rimase un po’ distante, un po’ estranea. E anche se è morta, la mia Nani mi è più vicina. E anche se mia madre  ora è illuminata, ancora la chiamerò Babi, e non Ma. Se lo facessi sarebbe come tradire una morta e io non posso farlo. Spesso mia nonna mi ha chiesto: “Come mai chiami Babi tua madre? Chiamala mamma! ”Ma io evitavo sempre di rispondere… questa è la prima volta che ne ho parlato, con voi.

In un certo senso la mia Nani è diventata parte del mio essere. Mi amava immensamente. Una volta, quando un ladro entrò in casa, lottò contro di lui a mani nude,, e io vidi quanto può essere feroce una donna… un vero pericolo! Se non fossi intervenuto, avrebbe ucciso quel poveretto! Dissi: ”Nani! Cosa fai! Per favore, lascialo andare!” Solo perché io lo chiesi, lo lasciò andare… il poveretto non poteva credere che quella donna fosse seduta su di lui, con le mani sul suo collo… di certo lo avrebbe ucciso: bastava una piccola pressione sulla gola e l’uomo sarebbe morto.

Quando parlò a Bhoora, sapevo che non parlava a vanvera, e lo sapeva anche Bhoora, e quando mio nonno iniziò a recitare il suo mantra sapevo che anche lui aveva capito.

Venni assalito due volte. Per me era una gioia, un’avventura. Di fatto, in cuor mio, avevo sempre desiderato sapere cosa fosse un rapimento. È sempre stata una mia caratteristica: potete chiamarlo il mio carattere. È una qualità che mi rende felice. Andavo sempre, col mio cavallo, nei boschi che ci appartenevano. Mio nonno aveva promesso che tutti i suoi averi sarebbero stati miei, e mantenne la parola: non diede mai cinque lire a nessun altro.

Possedeva migliaia di acri di terreno. Certo, a quell’epoca non avevano nessun valore, ma a me non interessava il valore. Erano così belli: quegli alberi svettanti, e quel lago maestoso; e quando d’estate i manghi erano maturi, l’aria era fragrante… andavo in quella direzione così spesso che il cavallo imparò la strada.

Sono ancora lo stesso… se un posto non mi piace, non ci torno.

Sono stato a Madras solo una volta, solo perché non mi era piaciuta, in particolare non mi è piaciuta la lingua: suona come se tu stessi litigando col mondo intero, è una cosa che odio. E odio quel tipo di linguaggio, per cui dissi al mio ospite: “Questa è la prima e l’ultima volta che ti vengo a trovare”.

Mi chiese: “Perché è l’ultima?”

Dissi: “Odio questa lingua. Tutti sembrano litigare. So che non è vero, è un modo di parlare…” comunque sia, detesto Madras, non mi piace per niente.

Krishnamurti ama Madras, ma sono affari suoi. Ci va ogni anno. È un Tamil, ed è nato vicino a Madras: per lui è logico andarci. Perché mai io ci dovrei andare?

Ho visitato molti luoghi. Come mai? Senza motivo. Mi piaceva. Mi piace essere in viaggio. Lo capite?... in cammino. Non sono un uomo che ha affari qui o là, o da qualche parte. Sono semplicemente in cammino. Lasciate che lo dica in altre parole: sono una giostra! Ora penso che abbiate capito!

Andavo sempre a cavallo, e guardando i cavalli al corteo del matrimonio della principessa Anna, non riuscivo a credere che l’Inghilterra potesse avere cavalli così belli. La regina è bruttina, non voglio dire orribile per educazione. E il principe Carlo di certo non è un principe: guardatelo in faccia! Lo direste un volto principesco? Forse in Inghilterra… e gli ospiti! Le personalità? Soprattutto il sommo sacerdote: come lo chiamate in Inghilterra?

“L’arcivescovo di Canterbury, Bhagwan”.

Arcivescovo, un nome perfetto per un tal puntini puntini puntini. Altrimenti, qualcuno direbbe che a causa del mio frasario non posso essere illuminato. Ma penso che tutti nel mondo capiranno cosa intendo dire con puntini puntini puntini, perfino l’arcivescovo!

Tanta gente, ma a me sono piaciuti solo i cavalli! Quelli erano veramente grandi! Che gioia! E che passi! Che danza! Pura e semplice celebrazione. Subito ho ricordato il mio cavallo, e quei giorni… quella fragranza esiste ancora. Posso vedere il lago, e me stesso, bambino, seduto sul cavallo, nei boschi. È strano, sebbene il mio naso sia coperto dalla maschera dell’anestesia, posso sentire il profumo dei manghi, degli alberi del nim, dei pini, e l’odore del mio cavallo.

È un bene che in quei giorni non fossi allergico agli odori, oppure, chi può dirlo, forse ero allergico ma non ne ero consapevole. È una strana coincidenza che l’anno della mia illuminazione fosse anche l’anno in cui iniziò la mia allergia. Forse ero già allergico senza esserne consapevole. E con l’illuminazione, venne la consapevolezza.

Ora abbandono anche l’illuminazione e dico all’esistenza: “Per favore, cancella anche l’allergia, così posso tornare a cavalcare un cavallo”. Quello sarà un gran giorno, non solo per me, ma per tutti i miei sannyasin.

Esiste una sola fotografia che viene continuamente stampata in tutto il mondo, mentre cavalco un cavallo del Kashmir. È solo una foto, in realtà non lo cavalcavo: fu il fotografo a volermi riprendere sul cavallo, e io lo amavo – mi riferisco al fotografo – per cui non potei rifiutarmi. Aveva portato il cavallo e i finimenti, per cui accettai… mi sedetti sul cavallo, e dalla foto si può vedere che anche il mio sorriso non è vero. È il sorriso che si fa quando il fotografo lo chiede: ma se posso trascendere l’illuminazione, chi può dirlo, forse posso trascendere per lo meno la mia allergia per i cavalli. In questo caso potrei avere intorno a me lo stesso mondo:

il lago…

i monti,

il fiume…

mi mancherà solo mia nonna.

Geet Bharti, non sei il solo ebreo qui dentro. Ricordalo, tu non hai fretta, io sì: mi fa male la vescica! Per cui, ti prego… voglio sempre avere l’ultima parola. Geet Bharti, saresti stata una perfetta moglie bisbetica! È vero! Trovati un bel ragazzo e vai in luna di miele… guarda, già pensi che ti abbia lasciato andare. Non avere troppa fretta. La tua vescica non ti fa male… adesso… Bene.

È “favoloso”! Uso questa parola per la prima volta nella mia vita… è semplicemente favoloso! Non so cosa significhi, ma quando la vescica ti fa male, che importanza ha?

 

Osho: Bagliori di un'infanzia dorata

 

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