domenica 10 marzo 2019

LAVORO E SALUTE

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Il lavoro fisico è diventato qualcosa di cui vergognarsi.

Un pensatore occidentale, Albert Camus, ha scritto scherzando, in una delle sue lettere, che arriverà un momento in cui la gente inizierà a chiedere ai propri domestici di fare l’amore al posto suo. Se qualcuno s’innamora, dirà al domestico di andare a fare l‘amore al suo posto !

Un giorno questo potrebbe accadere. Abbiamo già iniziato a far fare tutto dagli altri; l’amore è l’unica cosa che facciamo ancora direttamente. Affidiamo a qualcuno il compito di pregare per noi, di compiere i riti al posto nostro. Persino cose come la preghiera e il culto vengono fatte dai domestici. Ma se lasciamo che i domestici preghino per noi, non è impensabile che un giorno qualche saggio dica al suo domestico di far l’amore con la persona amata al suo posto. Dov’è il problema? E chi non si potrà permettere di impiegare i domestici a questo scopo, proverà vergogna: è così povero che deve fare l’amore in prima persona.

Un giorno potrebbe accadere, ci sono tante cose importanti nella vita ma che facciamo fare ai domestici! E non ci rendiamo affatto conto che abbiamo perso qualcosa affidando ad altri le cose importanti.

In questo modo tutta la forza e l’energia della vita vanno perse, perché il corpo e l’essere dell’uomo sono stati creati per una certa quantità di fatica fisica, e ora invece tutto quel lavoro viene risparmiato.

Un ‘giusto lavoro fisico’  fa parte essenziale della possibilità di risveglio della consapevolezza e dell’energia umana.

Un giorno Abraham Lincoln stava lucidandosi le scarpe a casa sua. Uno dei suoi amici, che era lì in visita, gli chiese: “Lincoln! Cosa fai? Ti lucidi le scarpe da solo?”

Lincoln rispose: “Mi sorprendi! Tu lucidi forse le scarpe degli altri? Io lucido le mie; tu lucidi quelle degli altri?”

L’amico replicò: “No, no, io me le faccio lucidare dagli altri!”.

E Lincoln affermò allora: “È peggio farsi lucidare le scarpe dagli altri che lucidare le proprie”.

Cosa voleva dire? Voleva dire che stiamo perdendo il contatto diretto con la vita, contatti diretti che avvengono tramite il lavoro fisico.

Confucio, circa tremila anni fa, andò una volta a visitare un villaggio. Vide in un giardino un vecchio giardiniere e suo figlio che attingevano acqua da un pozzo. Per il vecchio il lavoro di prendere acqua dal pozzo era molto pesante, persino con l’aiuto del figlio: era molto vecchio.

Confucio si chiese se il vecchio fosse a conoscenza del fatto che tori e cavalli venivano usati in quel tempo per attingere acqua dai pozzi. Invece lui lo faceva di persona, usava un metodo antiquato!

Andò dal vecchio e gli disse: “Amico mio, non sai che c’è ora una nuova invenzione? La gente attinge acqua dai pozzi con l’aiuto di cavalli e tori. Perché tu fai in questo modo?”.

Il vecchio replicò: “Parla piano, parla piano! A me non importa ciò che dici, ma ho paura che il mio giovane figlio ti ascolti”.

Confucio chiese: “Cosa vuoi dire?”

Il vecchio rispose: “Sono al corrente di queste invenzioni, ma invenzioni di questo tipo allontanano l’uomo dal lavoro fisico. Non voglio che mio figlio perda il contatto con la fatica fisica, il giorno in cui ciò avverrà, perderà anche il contatto con la vita”.

Vita e lavoro fisico sono sinonimi, hanno lo stesso significato. Ma noi a poco a poco abbiamo iniziato a chiamare fortunati coloro che non devono fare alcuna fatica fisica, e sfortunati coloro che devono farla. In un certo senso è proprio così, perché molte persone hanno abbandonato il lavoro fisico, e quindi tutto il lavoro resta da fare a poche persone. Troppa fatica fisica può uccidere, ma anche troppo poca uccide.

Per questo ho affermato: “Giusto lavoro fisico; equa ripartizione del lavoro fisico”. Ognuno dovrebbe fare un po’ di lavoro fisico. Più intensità, estasi e gratitudine metti nella parte di lavoro fisico che devi fare nella tua vita, più scopri che la tua energia vitale ha iniziato a spostarsi verso il basso, dal cervello verso l’ombelico. Per il lavoro fisico non servono né il cervello né il cuore. L’energia per il lavoro fisico viene direttamente dall’ombelico - quella è la sua sorgente.

Insieme a una dieta giusta, un po’ di lavoro fisico è essenziale. Non che tu debba farlo nell’interesse di altri – non è che se servi i poveri questi ne traggono un beneficio, o se vai in un villaggio a coltivare i campi i contadini ne godono, non è che se fai del lavoro fisico stai rendendo un grande servizio alla società. Queste sono tutte falsità. È per il tuo bene, non per quello di qualcun altro. Qualcuno potrebbe usufruirne, ma tu lo fai soprattutto per il tuo bene.

Quando Churchill andò in pensione, uno dei miei amici andò a trovarlo a casa sua. Churchill quando era anziano coltivava il suo giardino. Il mio amico gli fece alcune domande sulla politica. Ma Churchill gli disse: “Lascia perdere! È finita. Se vuoi farmi domande, puoi farlo solo su due argomenti: la Bibbia, perché la leggo a casa, e il giardinaggio che faccio qui in giardino. Ora non m’interessa la politica. La gara è finita; ora lavoro e prego”.

Al suo ritorno, il mio amico mi disse: “Non capisco che tipo d’uomo sia questo Churchill. Pensavo che mi avrebbe dato delle risposte, e invece mi ha detto solo che lavora e prega”.

Risposi: “Dire ‘lavoro e preghiera’ è una ripetizione. Lavoro e preghiera sono la stessa cosa, sono sinonimi. Il giorno in cui il lavoro diventa preghiera e la preghiera diventa lavoro, è il giorno in cui raggiungi il ‘giusto lavoro’”.

Un po’ di lavoro fisico è essenziale, ma noi non abbiamo prestato attenzione a questo tipo di lavoro. Nemmeno il sannyasin tradizionale in India ha prestato attenzione al lavoro; semplicemente ha evitato di farlo. Non pensava neppure a farlo; andava in un’altra direzione. I ricchi smettevano di faticare perché avevano soldi e potevano pagare per il lavoro degli altri, e i sannyasin smettevano di farlo perché non volevano avere nulla a che fare con il mondo. Non dovevano creare nulla, né guadagnare denaro, quindi che senso aveva lavorare? Il risultato è stato che due classi rispettate della società si sono allontanate dal lavoro fisico.

E coloro i quali si sono dedicati al lavoro fisico, hanno gradatamente perso il rispetto degli altri.

Per un ricercatore la fatica fisica ha grande significato e utilità… non perché produci qualcosa ma perché più sei coinvolto in qualche tipo di lavoro, più la tua consapevolezza diventa centrata – dal cervello inizia a spostarsi verso il basso. Non è necessario che il lavoro sia produttivo; può anche essere non produttivo, un semplice esercizio. Ma un po’ di fatica fisica è essenziale per mantenere il corpo agile, la mente consapevole e l’essere completamente sveglio. Questa è la seconda parte.

Puoi commettere degli sbagli anche in questa parte. Proprio come puoi fare un errore con la dieta – mangi troppo o troppo poco – un errore può accadere anche in questo campo. O non lavori affatto o fai troppo. I lottatori fanno troppa fatica fisica, sono malati. Un lottatore non è una persona sana; sta mettendo un carico troppo grande sul corpo, sta violentando il suo corpo. Quando il corpo viene violentato, accade che alcune parti, alcuni muscoli, si sviluppano di più. Ma nessun lottatore vive a lungo! Nessun lottatore muore sano.

Lo sapevi? Tutti i lottatori — anche un Gama o un Sandow, o chiunque altro abbia un corpo fantastico, persino il migliore del mondo — muoiono malati. Muoiono prima del dovuto, e di malattie violente. Violentare il corpo può gonfiare i muscoli e rendere il corpo bello da guardarsi, da esibire, ma c’è un’enorme differenza tra esibizione e vita. C’è un’enorme differenza tra vivere, vivere sani, ed essere esibizionisti.

Ognuno dovrebbe scoprire a seconda di chi è, di com’è il suo corpo, quanto lavoro fisico debba fare per vivere più sano e giovane. Più aria fresca arriva nel corpo, più estatico è ogni singolo respiro, e più vitalità avrai per esplorare la tua interiorità.

Simonbel, una donna filosofo francese, ha scritto una cosa meravigliosa nella sua autobiografia. Ha affermato: “Fino ai trent’anni ero sempre malata e avevo sempre mal di testa. Ma solo a quaranta ho realizzato che fino ai trent’anni ero stata atea. Sono diventata sana quando sono diventata teista. Solo dopo ho visto come il mio essere malaticcia, poco sana, fosse in relazione con il mio ateismo”.

Una persona malaticcia non può essere colma di gratitudine verso l’esistenza. In lei non può esserci riconoscenza verso l’esistenza. C’è solo rabbia. È impossibile per una persona del genere accettare una cosa verso la quale prova tanta rabbia. La rifiuta. Se la tua vita non arriva a un certo equilibrio e alla salute grazie al giusto lavoro e al giusto esercizio, è naturale che tu abbia della negatività, della resistenza, una certa rabbia verso la vita.

Il giusto lavoro fisico è un gradino essenziale nella scala del teismo supremo.

Osho, The Inner Journey # 3

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