venerdì 15 marzo 2019

L’amore è il mezzo ed è il fine

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Per favore, potresti dire qualcosa su queste parole del poeta Kahlil Gibran:

Quando l’amore vi chiama, seguitelo. Anche se le sue vie sono dure e scoscese.

E quando le sue ali vi avvolgeranno, affidatevi a lui. Anche se la sua lama, nascosta tra le piume, vi può ferire.

E quando vi parla, abbiate fede in lui.

Anche se la sua voce può distruggere i vostri sogni come il vento del Nord devasta il giardino.

Poiché l’amore come vi incorona così vi crocifigge. E come vi fa fiorire così vi poterà. (...)

Tutto questo compie in voi l’amore, affinché possiate conoscere i segreti del vostro cuore e in questa conoscenza farvi frammento del cuore della vita. (...)

L’amore non dà nulla fuorché se stesso e non prende che da se stesso.

L’amore non possiede né vorrebbe essere posseduto;

poiché l’amore basta all’amore. (...)

L’amore non desidera altro che compiersi.

Kahlil Gibran è un poeta, ma non è un mistico. Un poeta è un sognatore, un mistico è un visionario, e la differenza è immensa. Non si tratta solo di una differenza di quantità, bensì di qualità. Il poeta non guarda la luna, ma il suo riflesso nelle acque agitate del lago; coglie alcuni bagliori qui e là, ma si tratta solo di bagliori, qualcosa di estremamente vago. La sua percezione non è limpida, non può esserlo, perché non è passato attraverso il processo alchemico della meditazione.

Tra lui e la realtà è presente la mente, e la mente interpreta sempre, è un perenne commentatore: non permette mai alla realtà di raggiungerti per ciò che è. La distorce, la raffina, la muta; la modifica in base alla propria gestalt, al proprio schema percettivo. Le dà una forma in base alle proprie idee, la colora; certo, qualcosa della realtà ancora vagola nell’aria, ma si tratta soltanto di qualcosa di frammentario, come se il poeta avesse visto un sogno meraviglioso.

Invece il mistico conosce la realtà direttamente, nella sua immediatezza; non esiste alcuna interpretazione. L’esistenza e il mistico sono in profonda comunione. Solo ogni tanto il poeta è in una sorta di comunicazione con l’esistenza, ma non è mai in comunione. Nella comunicazione resti separato, per un istante esiste un ponte, ma comunque sei separato. Nella comunione tu non esisti più, non sei unito soltanto per un istante; semplicemente, tu non sei presente. Non si tratta di creare un ponte: sei immerso, sei in sintonia profonda; sei all’unisono con la realtà.

Ricorda tutto questo, prima di iniziare a meditare su queste bellissime parole di Kahlil Gibran, sono stupende! Gibran è uno dei poeti più intuitivi della nostra epoca, ma è un poeta, non un mistico; non è un buddha, non è un Cristo. Non ha visto la realtà, ne ha soltanto sognato; i suoi sogni sono meravigliosi, ma i sogni restano sogni: anche se a volte riflettono la realtà, si limitano a rifletterla. Sono echi lontani, oppure addirittura echi di echi di echi.

Kahlil Gibran dice:

Quando l’amore vi chiama, seguitelo.

In questa affermazione è implicito che l’amore sia qualcosa di esterno a te, e che tu lo debba seguire. In realtà, quando l’amore è presente, tu non ci sei; non c’è nessuno che lo segua: l’amore è travolgente! L’amore è una dissoluzione dell’ego: chi sarà mai presente a seguirlo? E chi potrebbe non seguirlo? Se ancora esistesse qualcuno che lo segue, non sarebbe amore; in quel caso dovrebbe trattarsi di qualcos’altro: forse biologia, forse chimica, forse psicologia, ma non amore. Dev’essere qualcosa di istintivo: bramosia camuffata d’amore, che ostenta quell’immagine. Dev’essere qualcosa di animale.

Quando l’amore è presente, l’amante non esiste per nulla: non possono coesistere. È qualcosa di impossibile, non è nella natura delle cose: quella coesistenza è letteralmente impossibile. Se l’amante è presente, l’amore non esiste; se è presente l’amore, non troverai l’amante da nessuna parte. Ebbene, chi lo potrebbe mai seguire? Chi è presente a udire il richiamo dell’amore, e chi lo dovrebbe seguire? Se qualcuno fosse presente, allora mancherebbe qualcosa; mancherebbe qualcosa di essenziale, di fondamentale.

L’affermazione è splendida, ma non è frutto di uno spazio meditativo. È un’eco remota, Gibran ha sognato tutto questo.

Se lo chiedi a un buddha, dirà: “Quando l’amore è presente, tu non ci sei. E non c’è modo di non seguirlo, non è per nulla possibile contrastarlo. Tu sei amore!”. Ma in quel caso devi comprendere la multidimensionalità del fenomeno dell’amore.

La dimensione più bassa è animale; il novantanove per cento delle persone non va mai oltre questa dimensione. Pertanto, quando ascoltano parole come queste: Quando l’amore vi chiama, seguitelo, le interpretano in base alla propria realtà.

In tutti i linguaggi del mondo abbiamo questa espressione: “Cadere tra le braccia dell’amore”, è un modo di dire significativo. Come mai “cadere” in amore? Perché nel novantanove per cento dei casi si tratta davvero di una caduta: le persone precipitano nel mondo degli istinti, della biologia, della fisiologia; sono dominate dagli ormoni, dalle secrezioni di ghiandole, dalla loro chimica corporea. Accade negli animali, accade negli alberi; non è nulla di speciale, non è nulla di umano.

Io non direi mai: “Quando la tua biologia ti chiama, seguila”. Direi: “Osserva, sii consapevole, sii attento e presente”; infatti, se non sei consapevole, inevitabilmente ne verrai travolto, sarai dominato dalla parte più bassa del tuo essere, dall’elemento più periferico. Verrai dominato e diretto da forze naturali inconsce; ed è ciò che accade: in nome dell’amore le persone si comportano semplicemente come animali. È una caduta! Ma nell’amore esistono anche dimensioni più elevate...

Il primo tipo d’amore sembra venire dall’esterno. E di fatto è proprio così: viene dall’esterno perché scaturisce dalla circonferenza, e il centro si ritrova a seguire la circonferenza. Quella circonferenza è la cosa più esterna che ci sia in te, è al di fuori di te: tu sei lontanissimo da tutto ciò, nel ricettacolo più intimo del tuo essere... quando l’amore ti chiama, significa che proviene dalla periferia, da qualche parte all’esterno del tuo essere.

Un uomo si innamora di una donna, oppure una donna si innamora di un uomo, ma non è nulla di speciale che caratterizzi l’essere umano, non è parte della dignità umana: è una caduta, e ti porterà infelicità. Inoltre, ricorda che sarà possessivo... di più: se osservi con attenzione, vedrai che non solo è possessivo, in profondità sarà presente anche un desiderio di essere posseduto. Sei già posseduto dalla natura, adesso la cosa comporterà altre implicazioni: l’uomo sarà posseduto dalla donna, la donna sarà posseduta dall’uomo... e da qui l’insieme del conflitto dato dal cosiddetto amore.

Ogni volta che sei posseduto da qualcuno, in te esiste una dicotomia: vuoi essere posseduto e vuoi essere libero. In te è presente un conflitto: vuoi essere posseduto perché la cosa ti valorizza, sei qualcosa che può essere posseduto. Qualcuno ti mostra rispetto, qualcuno pensa a te come a un tesoro; pertanto l’idea di essere posseduto ti fa sentire bene.

D’altra parte, simultaneamente, hai la sensazione di essere ridotto a una merce, a un bene di consumo: potresti essere un tesoro, ma un tesoro non ha alcuna consapevolezza. Stai diventando una cosa, vieni declassato al mondo degli oggetti, diventi un oggetto di possesso: stai perdendo la tua soggettività e la libertà della tua soggettività, da qui il conflitto.

E vivrai nell’infelicità; infatti, qualsiasi cosa farai non farà che appagare parte del desiderio, l’altra metà rimarrà frustrata. Se permetti che qualcuno ti possieda, il tuo desiderio di essere libero rimarrà frustrato, lotterà. Se non permetti che qualcuno ti possieda, sarai libero; ma qualcosa in te continuerà a fremere all’idea che nessuno ti possieda: vuol forse dire che nessuno vede in te un valore? Vuol forse dire che nessuno è attratto da te, nessuno ti degna di attenzione, che sei del tutto inutile?

A questo livello d’amore l’infelicità è una conseguenza naturale. Osservalo, perché grazie all’osservazione ti puoi elevare al di sopra di tutto ciò. In quel caso puoi iniziare a elevarti in amore, anziché cadere. L’arte di osservare diventa qualcosa di simile a una scala: dal livello più basso a quello più elevato.

La seconda dimensione è più vicina a ciò che Kahlil Gibran dice più avanti:

L’amore non possiede né vorrebbe essere posseduto; poiché l’amore basta all’amore.

Ma di nuovo Gibran fornisce un ragionamento errato del perché l’amore non possiede e non vorrebbe essere posseduto.

Egli dice: ... poiché l’amore basta all’amore. Non è così! L’amore non basta a se stesso: l’amore ha bisogno di essere condiviso. Esiste un’energia immensa e straripante che ha bisogno di essere condivisa: il fiore non è sufficiente a se stesso; ha bisogno dei venti e del sole così da poter sprigionare il suo splendore nascosto, la sua fragranza, il suo profumo. Se non gli viene permesso di liberare la propria fragranza, in cuor suo ne soffrirà.

L’amore soffre maggiormente quando non c’è nessuno con cui condividerlo. La più grande sofferenza nell’amore si ha quando hai qualcosa da donare e non c’è nessuno che lo riceva.

Certo, è vero: L’amore non possiede né vorrebbe essere posseduto... è verissimo! Ma il motivo dato da Kahlil Gibran non è quello vero: è poetico, ma non ha alcuna intuizione nella realtà dell’amore.

L’amore è non possessivo perché l’essenza stessa dell’amore è la libertà: se ami una persona, vuoi che sia assolutamente libera. E se ami qualcuno, lo puoi amare solo se prima di tutto hai amato te stesso. Quella è la condizione di fondo: non puoi amare gli altri, se non sei in un profondo amore con te stesso. Il primo amore, ovvero l’amore principale, è per se stessi: quando questa fiamma inizia ad ardere in te, ovvero l’amore per te stesso...

Per secoli non ti è stato detto nulla di tutto ciò; anzi, ti è stato insegnato l’esatto opposto: “Non amare te stesso, altrimenti saresti egoista”. Tutti ti dicono: “Ama gli altri!”. Persino i cristiani che pensano di seguire il Cristo hanno frainteso la sua affermazione, la cui rilevanza è davvero rivoluzionaria.

Gesù dice: “Ama i tuoi nemici come te stesso”. E i cristiani hanno preso solo una metà di questa affermazione, essi dicono: “Ama i tuoi nemici”, ma così hanno dimenticato il presupposto essenziale.

Gesù dice: “Ama i tuoi nemici come te stesso”, ma se non ami te stesso, in che modo potrai mai amare i tuoi nemici? Quale potrà mai essere il criterio? Prima di tutto devi amare te stesso, solo allora potrai addirittura amare i tuoi nemici... e che dire degli amici? Che dire degli amanti?

Il primo amore deve accadere dentro di te, è qualcosa di interiore. Accade solo quando diventi silente, consapevole, meditativo, quando esci dalla mente. La mente è possessiva, è dittatoriale, è un despota: vuole dominare, perché il nucleo centrale della mente è formato dall’ego, e l’ego può cavalcare qualsiasi cosa... qualsiasi cavallo andrà bene! Andrà bene il denaro, il potere, il sapere, l’ascetismo, la virtù, l’amore... persino l’amore! Anche l’amore verrà convertito in un cavallo che l’ego potrà cavalcare.

L’amore è non possessivo solo quando non è frutto della mente, ma Kahlil Gibran non sa nulla della nonmente. La meditazione è lo stato di nonmente: l’amore dovrebbe nascere in uno stato di nonmente, e perché un simile amore accada devi preparare quello stato. Quell’amore non giungerà dall’esterno, non verrà da un altrove: quando sei silenzioso, zampilla dall’interno del tuo essere, scaturisce dentro di te.

La meditazione opera come una primavera, e i fiori che stavano aspettando quella primavera all’improvviso si schiudono. Il tuo essere interiore diventa così colmo di profumo, è così fragrante, straripa di una tale fragranza che lo devi condividere. E quella fragranza è talmente tanta che non puoi esserne avaro!

Un’antica storia tibetana narra di un Maestro che per tutta la vita negò a chiunque di diventare suo discepolo. Più si negava, più aumentava la sua fama; e un numero sempre più grande di persone si presentava per chiedere l’iniziazione, ma lui rifiutava sempre. Le sue condizioni erano tali per cui nessuno riusciva a soddisfarle.

Aveva solo un giovane che si prendeva cura di lui; neppure lui era un discepolo, perché quel Maestro non diede mai l’iniziazione a nessuno. Poiché stava invecchiando, aveva permesso a questo giovane... il ragazzo aveva manifestato il desiderio di servirlo. Aveva detto: “Se anche non mi vuoi dare l’iniziazione, va benissimo, non farlo; ma permettimi di stare qui al tuo servizio, lascia che mi prenda cura dei tuoi bisogni fisici, stai invecchiando...” e il Maestro glielo aveva concesso.

Il giorno in cui stava morendo, chiamò il giovane e gli disse: “Corri al villaggio e di’ alla gente che chiunque desidera essere iniziato può venire immediatamente”.

Il ragazzo non ci poteva credere. Disse: “Ma cosa mi dici delle tue regole di fondo? Le condizioni che imponi sono così impossibili che nessuno finora è riuscito ad adempierle”.

Il Maestro rise e disse: “Adesso ti posso dire la verità! Tutte quelle condizioni erano soltanto una strategia per non dire alla gente che ancora non mi ero realizzato, per cui non avevo nulla da donare, come avrei dunque potuto dare qualcosa a qualcun altro? Non ho mai voluto dire di non essermi ancora illuminato, per cui ho ideato questa strategia: ho sempre detto alle persone che ancora non erano degne di ricevere l’iniziazione. Ma adesso mi sono realizzato – è accaduto proprio stamattina! – e ne sono talmente gravido che voglio sprigionare tutta quella fragranza.

“Dunque, non esiste alcuna condizione. Va’ immediatamente e raccogli chiunque voglia ricevere l’iniziazione e di’ a tutti che questo è il mio ultimo giorno. Al tramonto del sole anch’io scomparirò da questo mondo, per cui restano solo poche ore. Raccogli quante più persone ti è possibile!”.

Il giovane non ci poteva credere, ma era il Maestro a ordinarlo, per cui corse. Gli abitanti del villaggio a loro volta stentavano a crederci, pensarono che si trattasse di uno scherzo: quell’uomo era stato talmente irremovibile rispetto alle condizioni da rispettare, e quelle regole erano talmente impossibili... solo un superuomo poteva rispettarle!

Per cui quella povera gente disse: “Ma noi non ne siamo degni!”.

E il giovane spiegò: “Adesso il Maestro non chiede alcuna preparazione da parte vostra. A chiunque voglia ricevere l’iniziazione, a chiunque voglia condividere la verità, egli è pronto a donarla”.

Alcune persone si incuriosirono: “Che cos’è questa novità?”, per cui, solo per pura curiosità, conoscendo benissimo quel vecchio da parecchi anni, senza crederci ma per curiosità, seguirono il giovane. Qualcun altro, al quale era appena morta la moglie, si sentiva davvero triste, per cui disse: “D’accordo, mi farà bene andare da quel vecchio per avere un po’ di consolazione, e se mi vuol dare qualche consiglio o un po’ di saggezza, perché non accettarlo?”. Un giovane era disoccupato, aveva perso il lavoro e se ne stava seduto senza nulla da fare, per cui disse: “Va bene, vengo anch’io”. Persino un bambino, vedendo quella folla che si incamminava verso l’eremitaggio, si accodò: non era andato a scuola quel giorno, e pensò fosse un’ottima scusa dire che era andato da quel sant’uomo; per cui si unì agli altri.

Il giovane guardò quella folla e stentava a crederci: aveva visto arrivare dal Maestro persone molto sagge, gente di incredibile purezza, individui innocenti, virtuosi, puritani, asceti... e tutti erano stati respinti. E questa folla variegata! Scoppiò a ridere: “Che cosa accadrà? Sembra tutto così pazzesco! E cosa potrà mai ricevere questo bambinello? E i motivi per cui costoro stanno andando dal Maestro sono così assurdi: a qualcuno è morta la moglie, qualcuno è disoccupato, qualcuno è in vacanza, il bambino non è andato a scuola...”.

Comunque tornò con questa folla, e il Maestro non chiese neppure: “Chi vuol essere iniziato?”, si limitò a chiamarli a uno a uno, e diede loro l’iniziazione. Il giovane commentò: “Non riesco a credere ai miei occhi! Non avrei mai immaginato che qualcosa di simile potesse mai accadere!”.

Il Maestro disse: “Tutto è molto semplice. Adesso possiedo qualcosa e lo devo donare; in passato non l’avevo, dunque non avevo nulla da dare. E che senso aveva mostrare il mio nulla alla gente? Per cui ho finto di avere qualcosa, ma dicevo a tutti che non erano pronti. Adesso, che queste persone siano pronte oppure no non fa alcuna differenza: io devo sgravare me stesso!”.

Questo è sempre stato il modo di agire dei Maestri. Quando una nuvola è carica di pioggia, non si preoccupa se si scaricherà sulle rocce o su un terreno coltivato, non le interessa sapere se quella terra è fertile o no: si limita a piovere! Si scioglie in pioggia senza porre alcuna condizione.

La stessa cosa è vera per ciò che riguarda l’amore: quando ami te stesso, quando il tuo amore è esploso, quando è diventato una realtà dentro di te, lo condividi! Non è affatto sufficiente a se stesso: ha bisogno della condivisione. Anche la verità ha bisogno della condivisione, l’essenza buddhica necessita della condivisione, la consapevolezza cristica la richiede: è qualcosa di irresistibile, dev’essere condivisa; non c’è modo di evitarlo.

Altrimenti, perché mai nella sua vecchiaia, quando il Buddha aveva ormai ottantadue anni, ancora viaggiava e parlava alla gente, condividendo il suo messaggio? Era malato, era vecchio, ogni giorno diventava sempre più debole, ma comunque viaggiava. I suoi discepoli gli dicevano: “Adesso, per favore, fermati!”. E lui rispondeva: “Non posso, devo donare. Fino al mio ultimo respiro devo condividere”. E di fatto fu così che accadde... Quando stava per morire, ormai era giunto il suo ultimo giorno, il Buddha annunciò che stava per lasciare il corpo e aggiunse: “Qualcuno ha qualcosa da chiedere?”.

Si erano riuniti diecimila discepoli, tutti i suoi sannyasin piangevano e dissero: “Hai risposto a ogni cosa! Da quarantadue anni non fai che rispondere, mattino, pomeriggio e sera. Hai risposto a qualsiasi cosa noi abbiamo potuto pensare, chiedere o su cui potevamo interrogarci; anzi, hai detto diecimila volte più di ciò che avremmo potuto domandare. Adesso non c’è più nulla da chiedere”.

Il Buddha era solito chiedere ogni cosa tre volte, per cui di nuovo domandò: “Avete delle domande?” e tutti negarono. E di nuovo lui chiese: “Forse qualcuno ha qualcosa da chiedere, ma non osa per non assillarmi in questo ultimo istante della mia vita. Non preoccupatevi, chiedete! Fino al mio ultimo respiro voglio condividere, devo condividere”.

Ma tutti negarono, dicendo: “Non abbiamo nessuna domanda”.

Al che lui disse: “Addio. Adesso posso chiudere gli occhi e iniziare a scomparire”.

E aggiunse: “Prima scomparirò dal corpo, poi dalla mente, poi dal cuore, e infine dall’anima. Come una candela che si spegne... la fiamma scompare: non la riesci a vedere da nessuna parte, perché adesso non è in nessun luogo”.

Proprio dopo aver chiuso gli occhi ed essere scomparso dal corpo e dalla mente, quando stava per raggiungere il terzo stadio, un uomo giunse di corsa. Per trent’anni aveva atteso il momento di porre una domanda, ma c’era sempre stata una cosa o l’altra che glielo aveva impedito. In realtà, per trent’anni non era riuscito a vedere il Buddha: aveva sempre voluto andare a trovarlo, a volte aveva dei clienti, altre volte degli ospiti, altre volte ancora la moglie era malata oppure c’erano altri impedimenti, per cui aveva sempre rimandato. È il comune modo di vivere del genere umano: rimandare a domani... “La prossima volta che il Buddha verrà, gli farò la mia domanda.”

All’improvviso aveva sentito nel villaggio la voce che quello era l’ultimo giorno del Buddha: “Domani non ci sarà più”, per cui aveva chiuso il suo negozio. Persino i clienti erano rimasti allibiti e gli avevano chiesto: “Cosa stai facendo?”.

E lui aveva detto: “Basta così! Adesso non posso aspettare!”.

La moglie gli disse: “Mi sento davvero male!” – le mogli stanno sempre male! – “Ho un terribile mal di testa!” – e di solito, quando tu vai da un Buddha, le mogli hanno sempre un mal di testa terribile! – “Dove stai andando?”.

L’uomo disse: “Lasciami in pace! Non ho neppure il tempo per risponderti!”.

Ed era accorso. La moglie lo seguì, i clienti lo seguirono: “Cosa succede? È forse impazzito all’improvviso? Un uomo così posato, un uomo d’affari così puntiglioso!”.

Arrivò  e  disse  ai  discepoli:  “Voglio  fare  una domanda!”.

Risposero: “È troppo tardi. Il Buddha ce l’ha chiesto tre volte, e noi abbiamo detto che non ci sono più domande da porre. E tu, dove sei stato? Per trent’anni è passato dal tuo villaggio, in pratica ci è passato ogni anno: dove sei stato?”.

L’uomo spiegò: “Mi dispiace, ma ho sempre rimandato, credendo che ci potesse sempre essere un domani. Adesso non posso più rimandare, e non so se in una mia vita futura incontrerò mai più un uomo come Gautama il Buddha. Chi può dirlo? Non posso perdere questa opportunità!”.

Prese vita un battibecco, l’uomo diceva: “Voglio chiederlo a lui!” e i discepoli replicavano: “Adesso non è possibile!”.

E il Buddha aprì gli occhi e disse: “Questo non è giusto. Io sono ancora vivo, lasciate che chieda! Fino al mio ultimo respiro, se sono vivo, non vorrò mai che si dica di me: ‘Il Buddha era vivo e un uomo era andato a interrogarlo, ma è stato respinto’. Lasciate che chieda”.

E si disse pronto a rispondere, e rispose...

Amore, verità, beatitudine... in essi esiste un’essenza intrinseca: hanno bisogno di essere condivisi, non sono mai sufficienti a se stessi. La condivisione è una parte essenziale, ma essi non sono possessivi. La motivazione è del tutto diversa, e questo perché l’amore fondamentalmente dona libertà: dona libertà a se stessi, dona libertà agli altri.

Un amore che diventa una schiavitù non è amore, è lussuria: è animale, non è umano. L’amore dona libertà, in questo caso diventa umano; ma ancora è una sorta di relazione.

Esiste un’ulteriore dimensione dell’amore. Nel primo caso, l’amore è un bisogno biologico; nel secondo è una condivisione psicologica; nel terzo tu sei amore! Nel primo caso è un rapporto, una possessività; nel secondo è una relazione, un’amicizia, un essere amichevoli; nel terzo tu sei l’amore in quanto tale: il tuo stesso essere è amore, irradi amore! Solo in quel caso l’amore è giunto a un crescendo: ha raggiunto l’Assoluto, il culmine, e lo si può chiamare Dio.

Gesù dice giustamente: “Dio è amore”, io vorrei mutare quell’affermazione solo di un pochino, le stesse parole, ma posizionate diversamente. Vorrei dire: “L’amore è Dio”; infatti, quando dici che Dio è amore, intendi semplicemente affermare uno degli attributi di Dio; potrebbero essercene molti altri. Io dico: “L’amore è Dio”, Dio stesso non è altro che un attributo dell’amore... è essenza divina!

E infine Kahlil Gibran fa una terza affermazione:

L’amore non desidera altro che compiersi.

È un’affermazione splendida, ma solo in apparenza. In profondità manca qualcosa: è inevitabile che qualcosa manchi! Non è un errore di Gibran: è solo un poeta, lo si può perdonare. Egli dice:

L’amore non desidera altro che compiersi.

No, neppure quel desiderio è presente, poiché l’amore in sé è un adempimento. Non si pone affatto il problema di un compimento in un futuro: in amore non esiste alcun futuro. L’amore conosce solo un tempo, cioè questo istante, l’adesso. L’amore è il mezzo ed è il fine: è appagamento, è adempimento, e da questo compiersi scaturisce la fragranza.

Dunque, fino a un certo punto Gibran ha ragione, quando dice: L’amore non desidera altro... ma nella seconda parte di questa affermazione – che compiersi – commette un errore.

Anche quello è un desiderio: compiersi. Neppure quel desiderio è presente: l’amore non ha alcun desiderio. In effetti l’amore accade solo quando hai raggiunto un punto di assenza di desiderio.

È ciò che io definisco “andare al di là della mente”. La mente ha desideri, quando scivoli fuori dalla mente, sei una nonmente. Lì non esiste alcun desiderio, nessun ricordo, nessuna immaginazione, nessuna fantasia, nessun futuro, nessun passato. Esisti quieora!

Proprio questo corpo è il Buddha. Proprio questo spazio è il paradiso del fiore di loto.

Osho, In amore vince chi ama.


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