Per favore, potresti dire qualcosa su queste parole del
poeta Kahlil Gibran:
Quando l’amore vi chiama, seguitelo. Anche se le sue vie
sono dure e scoscese.
E quando le sue ali vi avvolgeranno, affidatevi a lui. Anche
se la sua lama, nascosta tra le piume, vi può ferire.
E quando vi parla, abbiate fede in lui.
Anche se la sua voce può distruggere i vostri sogni come il
vento del Nord devasta il giardino.
Poiché l’amore come vi incorona così vi crocifigge. E come
vi fa fiorire così vi poterà. (...)
Tutto questo compie in voi l’amore, affinché possiate
conoscere i segreti del vostro cuore e in questa conoscenza farvi frammento del
cuore della vita. (...)
L’amore non dà nulla fuorché se stesso e non prende che da
se stesso.
L’amore non possiede né vorrebbe essere posseduto;
poiché l’amore basta all’amore. (...)
L’amore non desidera altro che compiersi.
Kahlil Gibran è un poeta, ma non è un mistico. Un poeta è un
sognatore, un mistico è un visionario, e la differenza è immensa. Non si tratta
solo di una differenza di quantità, bensì di qualità. Il poeta non guarda la
luna, ma il suo riflesso nelle acque agitate del lago; coglie alcuni bagliori
qui e là, ma si tratta solo di bagliori, qualcosa di estremamente vago. La sua
percezione non è limpida, non può esserlo, perché non è passato attraverso il
processo alchemico della meditazione.
Tra lui e la realtà è presente la mente, e la mente
interpreta sempre, è un perenne commentatore: non permette mai alla realtà di
raggiungerti per ciò che è. La distorce, la raffina, la muta; la modifica in
base alla propria gestalt, al proprio schema percettivo. Le dà una forma in
base alle proprie idee, la colora; certo, qualcosa della realtà ancora vagola
nell’aria, ma si tratta soltanto di qualcosa di frammentario, come se il poeta avesse
visto un sogno meraviglioso.
Invece il mistico conosce la realtà direttamente, nella sua
immediatezza; non esiste alcuna interpretazione. L’esistenza e il mistico sono
in profonda comunione. Solo ogni tanto il poeta è in una sorta di comunicazione
con l’esistenza, ma non è mai in comunione. Nella comunicazione resti separato,
per un istante esiste un ponte, ma comunque sei separato. Nella comunione tu
non esisti più, non sei unito soltanto per un istante; semplicemente, tu non
sei presente. Non si tratta di creare un ponte: sei immerso, sei in sintonia
profonda; sei all’unisono con la realtà.
Ricorda tutto questo, prima di iniziare a meditare su queste
bellissime parole di Kahlil Gibran, sono stupende! Gibran è uno dei poeti più
intuitivi della nostra epoca, ma è un poeta, non un mistico; non è un buddha,
non è un Cristo. Non ha visto la realtà, ne ha soltanto sognato; i suoi sogni
sono meravigliosi, ma i sogni restano sogni: anche se a volte riflettono la
realtà, si limitano a rifletterla. Sono echi lontani, oppure addirittura echi
di echi di echi.
Kahlil Gibran dice:
Quando l’amore vi chiama, seguitelo.
In questa affermazione è implicito che l’amore sia qualcosa
di esterno a te, e che tu lo debba seguire. In realtà, quando l’amore è
presente, tu non ci sei; non c’è nessuno che lo segua: l’amore è travolgente!
L’amore è una dissoluzione dell’ego: chi sarà mai presente a seguirlo? E chi
potrebbe non seguirlo? Se ancora esistesse qualcuno che lo segue, non sarebbe
amore; in quel caso dovrebbe trattarsi di qualcos’altro: forse biologia, forse
chimica, forse psicologia, ma non amore. Dev’essere qualcosa di istintivo:
bramosia camuffata d’amore, che ostenta quell’immagine. Dev’essere qualcosa di
animale.
Quando l’amore è presente, l’amante non esiste per nulla:
non possono coesistere. È qualcosa di impossibile, non è nella natura delle
cose: quella coesistenza è letteralmente impossibile. Se l’amante è presente,
l’amore non esiste; se è presente l’amore, non troverai l’amante da nessuna
parte. Ebbene, chi lo potrebbe mai seguire? Chi è presente a udire il richiamo
dell’amore, e chi lo dovrebbe seguire? Se qualcuno fosse presente, allora
mancherebbe qualcosa; mancherebbe qualcosa di essenziale, di fondamentale.
L’affermazione è splendida, ma non è frutto di uno spazio
meditativo. È un’eco remota, Gibran ha sognato tutto questo.
Se lo chiedi a un buddha, dirà: “Quando l’amore è presente,
tu non ci sei. E non c’è modo di non seguirlo, non è per nulla possibile
contrastarlo. Tu sei amore!”. Ma in quel caso devi comprendere la
multidimensionalità del fenomeno dell’amore.
La dimensione più bassa è animale; il novantanove per cento
delle persone non va mai oltre questa dimensione. Pertanto, quando ascoltano
parole come queste: Quando l’amore vi chiama, seguitelo, le interpretano in
base alla propria realtà.
In tutti i linguaggi del mondo abbiamo questa espressione:
“Cadere tra le braccia dell’amore”, è un modo di dire significativo. Come mai
“cadere” in amore? Perché nel novantanove per cento dei casi si tratta davvero
di una caduta: le persone precipitano nel mondo degli istinti, della biologia,
della fisiologia; sono dominate dagli ormoni, dalle secrezioni di ghiandole,
dalla loro chimica corporea. Accade negli animali, accade negli alberi; non è
nulla di speciale, non è nulla di umano.
Io non direi mai: “Quando la tua biologia ti chiama,
seguila”. Direi: “Osserva, sii consapevole, sii attento e presente”; infatti,
se non sei consapevole, inevitabilmente ne verrai travolto, sarai dominato
dalla parte più bassa del tuo essere, dall’elemento più periferico. Verrai
dominato e diretto da forze naturali inconsce; ed è ciò che accade: in nome
dell’amore le persone si comportano semplicemente come animali. È una caduta!
Ma nell’amore esistono anche dimensioni più elevate...
Il primo tipo d’amore sembra venire dall’esterno. E di fatto
è proprio così: viene dall’esterno perché scaturisce dalla circonferenza, e il
centro si ritrova a seguire la circonferenza. Quella circonferenza è la cosa
più esterna che ci sia in te, è al di fuori di te: tu sei lontanissimo da tutto
ciò, nel ricettacolo più intimo del tuo essere... quando l’amore ti chiama,
significa che proviene dalla periferia, da qualche parte all’esterno del tuo
essere.
Un uomo si innamora di una donna, oppure una donna si
innamora di un uomo, ma non è nulla di speciale che caratterizzi l’essere
umano, non è parte della dignità umana: è una caduta, e ti porterà infelicità.
Inoltre, ricorda che sarà possessivo... di più: se osservi con attenzione,
vedrai che non solo è possessivo, in profondità sarà presente anche un
desiderio di essere posseduto. Sei già posseduto dalla natura, adesso la cosa
comporterà altre implicazioni: l’uomo sarà posseduto dalla donna, la donna sarà
posseduta dall’uomo... e da qui l’insieme del conflitto dato dal cosiddetto
amore.
Ogni volta che sei posseduto da qualcuno, in te esiste una
dicotomia: vuoi essere posseduto e vuoi essere libero. In te è presente un
conflitto: vuoi essere posseduto perché la cosa ti valorizza, sei qualcosa che
può essere posseduto. Qualcuno ti mostra rispetto, qualcuno pensa a te come a
un tesoro; pertanto l’idea di essere posseduto ti fa sentire bene.
D’altra parte, simultaneamente, hai la sensazione di essere
ridotto a una merce, a un bene di consumo: potresti essere un tesoro, ma un
tesoro non ha alcuna consapevolezza. Stai diventando una cosa, vieni declassato
al mondo degli oggetti, diventi un oggetto di possesso: stai perdendo la tua
soggettività e la libertà della tua soggettività, da qui il conflitto.
E vivrai nell’infelicità; infatti, qualsiasi cosa farai non
farà che appagare parte del desiderio, l’altra metà rimarrà frustrata. Se
permetti che qualcuno ti possieda, il tuo desiderio di essere libero rimarrà
frustrato, lotterà. Se non permetti che qualcuno ti possieda, sarai libero; ma
qualcosa in te continuerà a fremere all’idea che nessuno ti possieda: vuol
forse dire che nessuno vede in te un valore? Vuol forse dire che nessuno è
attratto da te, nessuno ti degna di attenzione, che sei del tutto inutile?
A questo livello d’amore l’infelicità è una conseguenza
naturale. Osservalo, perché grazie all’osservazione ti puoi elevare al di sopra
di tutto ciò. In quel caso puoi iniziare a elevarti in amore, anziché cadere.
L’arte di osservare diventa qualcosa di simile a una scala: dal livello più
basso a quello più elevato.
La seconda dimensione è più vicina a ciò che Kahlil Gibran
dice più avanti:
L’amore non possiede né vorrebbe essere posseduto; poiché
l’amore basta all’amore.
Ma di nuovo Gibran fornisce un ragionamento errato del
perché l’amore non possiede e non vorrebbe essere posseduto.
Egli dice: ... poiché l’amore basta all’amore. Non è così!
L’amore non basta a se stesso: l’amore ha bisogno di essere condiviso. Esiste
un’energia immensa e straripante che ha bisogno di essere condivisa: il fiore
non è sufficiente a se stesso; ha bisogno dei venti e del sole così da poter
sprigionare il suo splendore nascosto, la sua fragranza, il suo profumo. Se non
gli viene permesso di liberare la propria fragranza, in cuor suo ne soffrirà.
L’amore soffre maggiormente quando non c’è nessuno con cui
condividerlo. La più grande sofferenza nell’amore si ha quando hai qualcosa da
donare e non c’è nessuno che lo riceva.
Certo, è vero: L’amore non possiede né vorrebbe essere posseduto...
è verissimo! Ma il motivo dato da Kahlil Gibran non è quello vero: è poetico,
ma non ha alcuna intuizione nella realtà dell’amore.
L’amore è non possessivo perché l’essenza stessa dell’amore
è la libertà: se ami una persona, vuoi che sia assolutamente libera. E se ami
qualcuno, lo puoi amare solo se prima di tutto hai amato te stesso. Quella è la
condizione di fondo: non puoi amare gli altri, se non sei in un profondo amore
con te stesso. Il primo amore, ovvero l’amore principale, è per se stessi:
quando questa fiamma inizia ad ardere in te, ovvero l’amore per te stesso...
Per secoli non ti è stato detto nulla di tutto ciò; anzi, ti
è stato insegnato l’esatto opposto: “Non amare te stesso, altrimenti saresti
egoista”. Tutti ti dicono: “Ama gli altri!”. Persino i cristiani che pensano di
seguire il Cristo hanno frainteso la sua affermazione, la cui rilevanza è
davvero rivoluzionaria.
Gesù dice: “Ama i tuoi nemici come te stesso”. E i cristiani
hanno preso solo una metà di questa affermazione, essi dicono: “Ama i tuoi
nemici”, ma così hanno dimenticato il presupposto essenziale.
Gesù dice: “Ama i tuoi nemici come te stesso”, ma se non ami
te stesso, in che modo potrai mai amare i tuoi nemici? Quale potrà mai essere
il criterio? Prima di tutto devi amare te stesso, solo allora potrai
addirittura amare i tuoi nemici... e che dire degli amici? Che dire degli
amanti?
Il primo amore deve accadere dentro di te, è qualcosa di
interiore. Accade solo quando diventi silente, consapevole, meditativo, quando
esci dalla mente. La mente è possessiva, è dittatoriale, è un despota: vuole
dominare, perché il nucleo centrale della mente è formato dall’ego, e l’ego può
cavalcare qualsiasi cosa... qualsiasi cavallo andrà bene! Andrà bene il denaro,
il potere, il sapere, l’ascetismo, la virtù, l’amore... persino l’amore! Anche
l’amore verrà convertito in un cavallo che l’ego potrà cavalcare.
L’amore è non possessivo solo quando non è frutto della
mente, ma Kahlil Gibran non sa nulla della nonmente. La meditazione è lo stato
di nonmente: l’amore dovrebbe nascere in uno stato di nonmente, e perché un
simile amore accada devi preparare quello stato. Quell’amore non giungerà
dall’esterno, non verrà da un altrove: quando sei silenzioso, zampilla
dall’interno del tuo essere, scaturisce dentro di te.
La meditazione opera come una primavera, e i fiori che
stavano aspettando quella primavera all’improvviso si schiudono. Il tuo essere
interiore diventa così colmo di profumo, è così fragrante, straripa di una tale
fragranza che lo devi condividere. E quella fragranza è talmente tanta che non
puoi esserne avaro!
Un’antica storia tibetana narra di un Maestro che per tutta
la vita negò a chiunque di diventare suo discepolo. Più si negava, più
aumentava la sua fama; e un numero sempre più grande di persone si presentava
per chiedere l’iniziazione, ma lui rifiutava sempre. Le sue condizioni erano
tali per cui nessuno riusciva a soddisfarle.
Aveva solo un giovane che si prendeva cura di lui; neppure
lui era un discepolo, perché quel Maestro non diede mai l’iniziazione a
nessuno. Poiché stava invecchiando, aveva permesso a questo giovane... il ragazzo aveva manifestato il desiderio
di servirlo. Aveva detto: “Se anche non mi vuoi dare l’iniziazione, va
benissimo, non farlo; ma permettimi di stare qui al tuo servizio, lascia che mi
prenda cura dei tuoi bisogni fisici, stai invecchiando...” e il Maestro glielo
aveva concesso.
Il giorno in cui stava morendo, chiamò il giovane e gli
disse: “Corri al villaggio e di’ alla gente che chiunque desidera essere
iniziato può venire immediatamente”.
Il ragazzo non ci poteva credere. Disse: “Ma cosa mi dici
delle tue regole di fondo? Le condizioni che imponi sono così impossibili che
nessuno finora è riuscito ad adempierle”.
Il Maestro rise e disse: “Adesso ti posso dire la verità!
Tutte quelle condizioni erano soltanto una strategia per non dire alla gente
che ancora non mi ero realizzato, per cui non avevo nulla da donare, come avrei
dunque potuto dare qualcosa a qualcun altro? Non ho mai voluto dire di non
essermi ancora illuminato, per cui ho ideato questa strategia: ho sempre detto
alle persone che ancora non erano degne di ricevere l’iniziazione. Ma adesso mi
sono realizzato – è accaduto proprio stamattina! – e ne sono talmente gravido
che voglio sprigionare tutta quella fragranza.
“Dunque, non esiste alcuna condizione. Va’ immediatamente e
raccogli chiunque voglia ricevere l’iniziazione e di’ a tutti che questo è il
mio ultimo giorno. Al tramonto del sole anch’io scomparirò da questo mondo, per
cui restano solo poche ore. Raccogli quante più persone ti è possibile!”.
Il giovane non ci poteva credere, ma era il Maestro a
ordinarlo, per cui corse. Gli abitanti del villaggio a loro volta stentavano a
crederci, pensarono che si trattasse di uno scherzo: quell’uomo era stato
talmente irremovibile rispetto alle condizioni da rispettare, e quelle regole
erano talmente impossibili... solo un superuomo poteva rispettarle!
Per cui quella povera gente disse: “Ma noi non ne siamo
degni!”.
E il giovane spiegò: “Adesso il Maestro non chiede alcuna
preparazione da parte vostra. A chiunque voglia ricevere l’iniziazione, a
chiunque voglia condividere la verità, egli è pronto a donarla”.
Alcune persone si incuriosirono: “Che cos’è questa novità?”,
per cui, solo per pura curiosità, conoscendo benissimo quel vecchio da parecchi
anni, senza crederci ma per curiosità, seguirono il giovane. Qualcun altro, al
quale era appena morta la moglie, si sentiva davvero triste, per cui disse:
“D’accordo, mi farà bene andare da quel vecchio per avere un po’ di
consolazione, e se mi vuol dare qualche consiglio o un po’ di saggezza, perché
non accettarlo?”. Un giovane era disoccupato, aveva perso il lavoro e se ne
stava seduto senza nulla da fare, per cui disse: “Va bene, vengo anch’io”.
Persino un bambino, vedendo quella folla che si incamminava verso
l’eremitaggio, si accodò: non era andato a scuola quel giorno, e pensò fosse
un’ottima scusa dire che era andato da quel sant’uomo; per cui si unì agli
altri.
Il giovane guardò quella folla e stentava a crederci: aveva
visto arrivare dal Maestro persone molto sagge, gente di incredibile purezza,
individui innocenti, virtuosi, puritani, asceti... e tutti erano stati
respinti. E questa folla variegata! Scoppiò a ridere: “Che cosa accadrà? Sembra
tutto così pazzesco! E cosa potrà mai ricevere questo bambinello? E i motivi
per cui costoro stanno andando dal Maestro sono così assurdi: a qualcuno è
morta la moglie, qualcuno è disoccupato, qualcuno è in vacanza, il bambino non
è andato a scuola...”.
Comunque tornò con questa folla, e il Maestro non chiese
neppure: “Chi vuol essere iniziato?”, si limitò a chiamarli a uno a uno, e
diede loro l’iniziazione. Il giovane commentò: “Non riesco a credere ai miei
occhi! Non avrei mai immaginato che qualcosa di simile potesse mai accadere!”.
Il Maestro disse: “Tutto è molto semplice. Adesso possiedo
qualcosa e lo devo donare; in passato non l’avevo, dunque non avevo nulla da
dare. E che senso aveva mostrare il mio nulla alla gente? Per cui ho finto di
avere qualcosa, ma dicevo a tutti che non erano pronti. Adesso, che queste
persone siano pronte oppure no non fa alcuna differenza: io devo sgravare me
stesso!”.
Questo è sempre stato il modo di agire dei Maestri. Quando
una nuvola è carica di pioggia, non si preoccupa se si scaricherà sulle rocce o
su un terreno coltivato, non le interessa sapere se quella terra è fertile o
no: si limita a piovere! Si scioglie in pioggia senza porre alcuna condizione.
La stessa cosa è vera per ciò che riguarda l’amore: quando
ami te stesso, quando il tuo amore è esploso, quando è diventato una realtà
dentro di te, lo condividi! Non è affatto sufficiente a se stesso: ha bisogno
della condivisione. Anche la verità ha bisogno della condivisione, l’essenza
buddhica necessita della condivisione, la consapevolezza cristica la richiede:
è qualcosa di irresistibile, dev’essere condivisa; non c’è modo di evitarlo.
Altrimenti, perché mai nella sua vecchiaia, quando il Buddha
aveva ormai ottantadue anni, ancora viaggiava e parlava alla gente,
condividendo il suo messaggio? Era malato, era vecchio, ogni giorno diventava
sempre più debole, ma comunque viaggiava. I suoi discepoli gli dicevano:
“Adesso, per favore, fermati!”. E lui rispondeva: “Non posso, devo donare. Fino
al mio ultimo respiro devo condividere”. E di fatto fu così che accadde...
Quando stava per morire, ormai era giunto il suo ultimo giorno, il Buddha
annunciò che stava per lasciare il corpo e aggiunse: “Qualcuno ha qualcosa da
chiedere?”.
Si erano riuniti diecimila discepoli, tutti i suoi sannyasin
piangevano e dissero: “Hai risposto a ogni cosa! Da quarantadue anni non fai
che rispondere, mattino, pomeriggio e sera. Hai risposto a qualsiasi cosa noi
abbiamo potuto pensare, chiedere o su cui potevamo interrogarci; anzi, hai
detto diecimila volte più di ciò che avremmo potuto domandare. Adesso non c’è
più nulla da chiedere”.
Il Buddha era solito chiedere ogni cosa tre volte, per cui
di nuovo domandò: “Avete delle domande?” e tutti negarono. E di nuovo lui
chiese: “Forse qualcuno ha qualcosa da chiedere, ma non osa per non assillarmi
in questo ultimo istante della mia vita. Non preoccupatevi, chiedete! Fino al
mio ultimo respiro voglio condividere, devo condividere”.
Ma tutti negarono, dicendo: “Non abbiamo nessuna domanda”.
Al che lui disse: “Addio. Adesso posso chiudere gli occhi e
iniziare a scomparire”.
E aggiunse: “Prima scomparirò dal corpo, poi dalla mente,
poi dal cuore, e infine dall’anima. Come una candela che si spegne... la fiamma
scompare: non la riesci a vedere da nessuna parte, perché adesso non è in
nessun luogo”.
Proprio dopo aver chiuso gli occhi ed essere scomparso dal
corpo e dalla mente, quando stava per raggiungere il terzo stadio, un uomo
giunse di corsa. Per trent’anni aveva atteso il momento di porre una domanda,
ma c’era sempre stata una cosa o l’altra che glielo aveva impedito. In realtà,
per trent’anni non era riuscito a vedere il Buddha: aveva sempre voluto andare
a trovarlo, a volte aveva dei clienti, altre volte degli ospiti, altre volte ancora
la moglie era malata oppure c’erano altri impedimenti, per cui aveva sempre
rimandato. È il comune modo di vivere del genere umano: rimandare a domani...
“La prossima volta che il Buddha verrà, gli farò la mia domanda.”
All’improvviso aveva sentito nel villaggio la voce che
quello era l’ultimo giorno del Buddha: “Domani non ci sarà più”, per cui aveva
chiuso il suo negozio. Persino i clienti erano rimasti allibiti e gli avevano
chiesto: “Cosa stai facendo?”.
E lui aveva detto: “Basta così! Adesso non posso
aspettare!”.
La moglie gli disse: “Mi sento davvero male!” – le mogli
stanno sempre male! – “Ho un terribile mal di testa!” – e di solito, quando tu
vai da un Buddha, le mogli hanno sempre un mal di testa terribile! – “Dove stai
andando?”.
L’uomo disse: “Lasciami in pace! Non ho neppure il tempo per
risponderti!”.
Ed era accorso. La moglie lo seguì, i clienti lo seguirono:
“Cosa succede? È forse impazzito all’improvviso? Un uomo così posato, un uomo
d’affari così puntiglioso!”.
Arrivò e disse
ai discepoli: “Voglio
fare una domanda!”.
Risposero: “È troppo tardi. Il Buddha ce l’ha chiesto tre
volte, e noi abbiamo detto che non ci sono più domande da porre. E tu, dove sei
stato? Per trent’anni è passato dal tuo villaggio, in pratica ci è passato ogni
anno: dove sei stato?”.
L’uomo spiegò: “Mi dispiace, ma ho sempre rimandato,
credendo che ci potesse sempre essere un domani. Adesso non posso più
rimandare, e non so se in una mia vita futura incontrerò mai più un uomo come
Gautama il Buddha. Chi può dirlo? Non posso perdere questa opportunità!”.
Prese vita un battibecco, l’uomo diceva: “Voglio chiederlo a
lui!” e i discepoli replicavano: “Adesso non è possibile!”.
E il Buddha aprì gli occhi e disse: “Questo non è giusto. Io
sono ancora vivo, lasciate che chieda! Fino al mio ultimo respiro, se sono
vivo, non vorrò mai che si dica di me: ‘Il Buddha era vivo e un uomo era andato
a interrogarlo, ma è stato respinto’. Lasciate che chieda”.
E si disse pronto a rispondere, e rispose...
Amore, verità, beatitudine... in essi esiste un’essenza
intrinseca: hanno bisogno di essere condivisi, non sono mai sufficienti a se
stessi. La condivisione è una parte essenziale, ma essi non sono possessivi. La
motivazione è del tutto diversa, e questo perché l’amore fondamentalmente dona
libertà: dona libertà a se stessi, dona libertà agli altri.
Un amore che diventa una schiavitù non è amore, è lussuria:
è animale, non è umano. L’amore dona libertà, in questo caso diventa umano; ma
ancora è una sorta di relazione.
Esiste un’ulteriore dimensione dell’amore. Nel primo caso,
l’amore è un bisogno biologico; nel secondo è una condivisione psicologica; nel
terzo tu sei amore! Nel primo caso è un rapporto, una possessività; nel secondo
è una relazione, un’amicizia, un essere amichevoli; nel terzo tu sei l’amore in
quanto tale: il tuo stesso essere è amore, irradi amore! Solo in quel caso
l’amore è giunto a un crescendo: ha raggiunto l’Assoluto, il culmine, e lo si
può chiamare Dio.
Gesù dice giustamente: “Dio è amore”, io vorrei mutare
quell’affermazione solo di un pochino, le stesse parole, ma posizionate
diversamente. Vorrei dire: “L’amore è Dio”; infatti, quando dici che Dio è
amore, intendi semplicemente affermare uno degli attributi di Dio; potrebbero
essercene molti altri. Io dico: “L’amore è Dio”, Dio stesso non è altro che un
attributo dell’amore... è essenza divina!
E infine Kahlil Gibran fa una terza affermazione:
L’amore non desidera altro che compiersi.
È un’affermazione splendida, ma solo in apparenza. In profondità
manca qualcosa: è inevitabile che qualcosa manchi! Non è un errore di Gibran: è
solo un poeta, lo si può perdonare. Egli dice:
L’amore non desidera altro che compiersi.
No, neppure quel desiderio è presente, poiché l’amore in sé
è un adempimento. Non si pone affatto il problema di un compimento in un
futuro: in amore non esiste alcun futuro. L’amore conosce solo un tempo, cioè
questo istante, l’adesso. L’amore è il mezzo ed è il fine: è appagamento, è
adempimento, e da questo compiersi scaturisce la fragranza.
Dunque, fino a un certo punto Gibran ha ragione, quando
dice: L’amore non desidera altro... ma nella seconda parte di questa
affermazione – che compiersi – commette un errore.
Anche quello è un desiderio: compiersi. Neppure quel
desiderio è presente: l’amore non ha alcun desiderio. In effetti l’amore accade
solo quando hai raggiunto un punto di assenza di desiderio.
È ciò che io definisco “andare al di là della mente”. La
mente ha desideri, quando scivoli fuori dalla mente, sei una nonmente. Lì non
esiste alcun desiderio, nessun ricordo, nessuna immaginazione, nessuna
fantasia, nessun futuro, nessun passato. Esisti quieora!
Proprio questo corpo è il Buddha. Proprio questo spazio è il
paradiso del fiore di loto.
Osho, In amore vince chi ama.
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