Per anni ho riflettuto su quello che mi sembra il messaggio
essenziale per essere veramente sani: ama te stesso.
Mi piace immensamente sentirti dire che non esiste alcun sé,
mi sembra così liberatorio. Puoi parlarne più in modo più approfondito?
L’intero mondo della terapia ha perso la propria rotta su
quest’unico punto: ama te stesso.
Socrate diceva: “Conosci te stesso”. E ci sono stati
Maestri, in particolare nella tradizione Sufi, che hanno detto: “Sii te
stesso”, ma è esistita solo una persona, in tutta la storia dell’umanità,
Gautama il Buddha, che ha detto: “Non esiste alcun sé. Voi siete un vuoto,
assoluto silenzio, un non essere”.
Il suo messaggio è stato fermamente contrastato da tutte le
tradizioni, poiché tutte dipendevano, in un modo o nell’altro, dall’idea del
sé. Forse differivano in alcuni punti, ma su uno erano tutte concordi, e cioè
l’esistenza del sé.
Perfino persone come George Gurdjieff, che introdusse
un’idea del tutto nuova, e cioè che tu non nasci con un sé, ma te lo devi
guadagnare – “Merita te stesso” –, alla fine si arenò con l’idea del sé.
Gautama il Buddha non fa alcuna differenza tra il sé e
l’ego, e di fatto non ce ne sono. Fare simili distinzioni è puro sofisma,
semplice ginnastica verbale; in questo modo, puoi scaricare l’ego e salvare il
sé. Ma il sé è soltanto un altro nome per definire l’ego: stai solo cambiando
nomi, e questo non implica alcuna trasformazione dell’essere.
Il messaggio del Buddha è incredibilmente significativo: tu
sei un vuoto, non esiste alcunché in te che possa definirsi un io!
Guardando questa verità nella prospettiva della mia visione,
quando vi dico: “Fondetevi, dissolvetevi nell’esistenza”, dico semplicemente la
stessa cosa in termini più positivi.
Il Buddha ne parlava in maniera così negativa da frenare
molte persone, perché, ovviamente, sorse l’interrogativo: “Se non esiste alcun
sé, perché preoccuparsi? Cosa c’è da realizzare? Tanti sforzi per arrivare
semplicemente a sapere di non essere?”.
Un’intera vita di disciplina, uno sforzo immane per
meditare, e il solo risultato che si consegue è la conoscenza di non esistere?
Non sembra ne valga la pena! Quantomeno, senza meditazione, senza disciplina,
hai un minimo senso di esistere. Può essere falso, ma almeno non ti senti vano
e vuoto. Sapendo di non essere, come vivrai? Da quel nulla non potrà sgorgare
alcun amore, nessuna compassione, nessuna possibilità di alcun tipo! Dal nulla
scaturisce soltanto il nulla.
Pertanto, chi criticava il Buddha descrisse il suo metodo
come una forma sottile di suicidio spirituale; di gran lunga più pericoloso del
comune suicidio, perché in esso tu sopravvivi, prenderai solo una nuova forma,
rinascerai semplicemente. Con il Buddha commetterai un suicidio totale, un
assoluto annullamento: di te non resterà più nulla, di te non si saprà più
nulla, non verrai mai più ritrovato.
Di fatto, non sei mai esistito!
Il buddhismo morì in India, e una delle ragioni fondamentali
fu il modo in cui il Buddha espose la sua filosofia. Posso capire il motivo per
cui insistesse tanto sulla negazione: infatti, tutte le altre filosofie erano
del tutto positive, e la loro positività si trasformava in ego sempre più forti
e solidi. Vedendo che quella positività dava idee tanto egoiche, e che quel
fatto diventava un ostacolo frapposto tra voi e l’esistenza, il Buddha andò
all’altro estremo.
Per fermare questa idea, divenne totalmente negativo. Né lo
si può biasimare, perché le ideologie positive si trovavano in un dilemma
strano: devi lasciar cadere l’ego per trovare il sé, devi lasciar cadere l’ego
per diventare Dio, devi lasciar cadere l’ego per trovare la liberazione
suprema... ma la liberazione di chi? La liberazione del proprio sé.
Dunque, ci si trovava di fronte a qualcosa da conquistare,
ma ogni conquista è sempre dell’ego. Non esiste alcuna meta, e la meta è sempre
qualcosa di egoico. Vedendo questo stato di cose, il Buddha disse:
“Non esiste alcun sé. Non c’è nulla da conseguire, e non c’è
alcuna meta da trovare. Voi non siete mai esistiti, voi non esistete, voi non
esisterete mai. Potete solo immaginare, potete solo sognare di esistere”.
È famosa una storia di Chuang-tzu. Non mi stanco mai di
narrare le sue storie, perché contengono sempre qualche aspetto recondito da
esplorare, ogni volta posso leggerle sotto nuove luci, con nuove prospettive.
Un mattino, si svegliò, chiamò i suoi discepoli e disse
loro: “Sono in gran difficoltà e voi mi dovete aiutare”.
I discepoli dissero: “Noi siamo venuti per essere aiutati da
te, e tu vuoi il nostro aiuto?”.
Chuang-tzu continuò: “Finora è andato tutto bene, ma questa
notte sono stato scosso in profondità: ho sognato che ero diventato una
farfalla”.
Tutti risero e dissero: “Che assurdità! Sognare non crea mai
alcun fastidio”.
Chuang-tzu replicò: “L’ha creato, perché ora penso che forse
sono una farfalla che pensa, che sogna di essere Chuang-tzu. Ebbene, chi sono?
E per poter vivere devo essere sicuro di chi sono: sono Chuang-tzu o sono una
farfalla?”.
Sembra una cosa assurda, ma di fatto fa affiorare
l’assurdità della logica. Se una farfalla non può sognare di essere Chuang-tzu,
come può Chuang-tzu sognare di essere una farfalla? E se Chuang-tzu può sognare
di essere una farfalla, non c’è alcuna obiezione logica al fatto che una farfalla
si sia addormentata al sole del mattino su un fiore bellissimo, e ora stia
sognando di essere Chuang-tzu.
Nessuno dei suoi discepoli poté aiutarlo. Per secoli i
taoisti hanno usato questa storia come un koan, perché è irrisolvibile, ma per
il Buddha non è così.
Chuang-tzu e Gautama il Buddha erano contemporanei, sebbene
distanti: uno viveva in Cina, l’altro in India. Erano divisi dalla grande
catena himalayana, per cui non potevano comunicare; altrimenti il Buddha
avrebbe risolto il problema di Chuang-tzu, poiché egli afferma: “Entrambi sono
sogni. Non importa se Chuang-tzu sogna di essere una farfalla, o se la farfalla
sogna di essere Chuang-tzu: entrambi sono sogni. Semplicemente, voi non
esistete”.
Molti si avvicinarono al Buddha e si allontanarono da lui,
perché nessuno può fare del nulla la propria realizzazione esistenziale, a che
scopo? Tanta disciplina e tanto preoccuparsi per entrare in meditazione, solo
per scoprire di non esistere... che uomo strano, questo Gautama il Buddha! Se
andiamo bene così come siamo, che bisogno c’è di scavare tanto profondamente,
solo per scoprire che non esiste nulla? Se anche stiamo sognando, almeno c’è
qualcosa.
Il mio approccio è simile, ma la prospettiva è del tutto
diversa. Io vi dico che non avete un sé, perché siete parte dell’universo...
per questo non siete nulla. Solo l’universo può avere un sé, solo l’universo
può avere un centro, solo il Tutto può avere un’anima. La mia mano non può
avere un’anima, le mie dita non possono avere un’anima; solo un’unità organica
può avere un’anima, e noi siamo solo delle parti: esistiamo, ma siamo soltanto
delle parti; per questo non possiamo rivendicare di avere un sé.
Pertanto, il Buddha ha ragione – non esiste alcun sé – ma
così non aiuta la gente, non aiuta tutti i poveracci incapaci di comprendere le
diverse implicazioni di questa affermazione.
Io vi dico: “Voi non avete un sé, perché siete parte di un
sé più grande, del Tutto”. Non potete avere alcun sé separato e privato, tutto
vostro. In questo modo viene tolta la negatività, e non viene indotto in voi il
desiderio positivo di diventare sempre più egoisti. Così si evitano entrambi
gli estremi e si mette a fuoco un nuovo approccio esistenziale: l’universo è,
io non sono. E qualsiasi cosa accada, e sembra essere in me, in quanto me, è
semplicemente universale.
Definirlo “io” significa sminuirlo. Questo è ciò che lo
falsifica, non corrisponde alla realtà. Definirlo “sé” lo rende irreale, perché
il sé può esistere solo se si è totalmente indipendenti, e voi non lo siete. Neppure
per lo spazio di un respiro voi siete indipendenti. Neppure per la frazione di
un attimo voi siete indipendenti dal sole, dalla luna, dalle stelle. Il Tutto
dona il suo contributo costantemente, ecco perché voi esistete.
Riconoscerlo non è una perdita, è una conquista; tuttavia,
non è affatto una conquista dell’ego. Se riesci a cogliere questa
sottigliezza... comprendere di essere parte del Tutto, che il Tutto ti
appartiene, che tu appartieni al Tutto, è un’incredibile realizzazione. Ciò
nonostante, questa incredibile realizzazione non implica neppure l’ombra del
sé.
È una delle comprensioni più squisite: noi non siamo
separati; non siamo separati dalle montagne, non siamo separati dagli alberi,
non siamo separati dagli oceani, non siamo separati da nessuno e da nulla.
Siamo tutti interconnessi, intessuti in un’unità. Ciò che si guadagna da questa
comprensione è immenso, ma non esiste alcun senso dell’io, di me, del mio. Per
ciò che concerne queste cose, si ha solo un assoluto silenzio e un vuoto. Ma
questo vuoto non è semplice assenza o mancanza.
Potremmo svuotare questa stanza – possiamo togliere tutti i
mobili, svuotare tutto ciò che la riempie – e chiunque verrà dirà: “La stanza è
vuota”. Questo è un modo di vedere le cose, ma non è quello giusto.
Il modo giusto è questo: adesso la stanza è piena di vuoto.
Prima, il vuoto era ostacolato, spezzato in frammenti a causa dei tanti mobili
raccolti, e quell’infinità di oggetti gli impediva di essere un’unica cosa:
adesso è un’unità.
Anche il vuoto esiste. È esistenziale; in sé non implica che
non esista. Una persona vuota di gelosia diventerà colma d’amore, qualcuno
vuoto di stupidità diventerà pieno di intelligenza. Ogni vuoto ha la propria
pienezza. E se non riesci a cogliere la pienezza che affiora con ogni vuoto, in
maniera del tutto oggettiva ed evidente, sei cieco.
Non esiste alcun sé. Questo porta un gran sollievo: non lo
dovete amare, non lo dovete odiare, non lo dovete accettare, non lo dovete
rifiutare, non dovete fare nulla di nulla; semplicemente non esiste. Potete
rilassarvi, e in questo rilassamento ci si fonde con l’universo.
In questo caso il nulla diventa il Tutto.
Il Buddha era estremamente avaro, non avrebbe mai detto che
il nulla è il Tutto. E lo sapeva: è impossibile che un uomo che conosce il
nulla a tali profondità non conosca anche il rovescio della medaglia... il
Tutto. Ma era molto avaro, e un motivo c’era: nel momento in cui sostieni la
parola “Tutto”, immediatamente l’ego si sente a proprio agio.
L’ego dice: “Allora non c’è nulla da temere; hai conseguito
il Tutto. Nulla era in pericolo, il Tutto dà speranza...”, ecco perché il
Buddha insisteva tanto nel negare qualcosa che in senso assoluto è reale.
Conduceva la gente verso quella comprensione, ma la negava perché nel momento
in cui affermi il Tutto, le persone iniziano a perdersi.
Ma io vorrei dirvi l’intera verità.
Un giorno il Buddha stava attraversando una foresta. Era
autunno e l’intera foresta era coperta di foglie secche, e il vento sollevava
quelle foglie morte, portandole qui e là, creando una musica squisita... il
semplice camminare su quel tappeto era una gioia.
Ananda chiese al Buddha: “Posso chiederti una cosa... non
c’è nessuno che ci ascolti, e soltanto di rado ho l’opportunità di stare solo
con te. Sebbene stia con te ventiquattr’ore al giorno, c’è sempre qualcuno che,
ovviamente, vuole parlare, chiedere... per lui è un’opportunità, visto che io
sono sempre con te, ed è giusto che abbia una priorità. Ma oggi non c’è nessuno
e vorrei chiederti: hai detto tutto ciò che sapevi? Oppure hai trattenuto
qualcosa, non hai voluto rivelarlo?”.
Il Buddha si piegò a terra e si riempì la mano con un mucchio
di foglie morte. Ananda chiese: “Cosa stai facendo?”.
Egli disse: “Sto cercando di rispondere alla tua domanda.
Cosa vedi nella mia mano?”.
E Ananda rispose: “Vedo alcune foglie”.
Il Buddha continuò: “E cosa vedi in tutta la foresta?”.
Ananda disse: “Milioni e milioni di foglie morte”. Il Buddha
concluse: “Ciò che ho detto è pari a questo semplice mucchio di foglie, e ciò
che non ho detto equivale alle foglie che vedi in tutta la foresta”.
Ebbene il mio desiderio è condurvi alla foresta, e lasciarvi
lì ad ascoltare la musica del Tutto, a camminare e a correre sulle foglie
secche, come bambini. Non voglio darvi le poche foglie che ho in mano. Niente
affatto, voglio darvi il Tutto!
Inoltre, questa è la mia comprensione: potete aver fiducia
in me, oppure no, ma io ho fiducia in voi. Potete trasformarvi, oppure potete
perfino diventare miei nemici, ma la mia fiducia in voi rimarrà sempre la
stessa. Poiché la mia fiducia non è legata a condizioni che dovete adempire,
non dipende affatto da voi. La mia fiducia è la mia gioia, e io voglio donarvi
il Tutto.
Il nulla è parte della verità: immensamente rivelatrice, ma
che lascia qualcosa di simile a una ferita, qualcosa di inappagato. Verrete
sollevati, vi rilasserete, ma ancora cercherete qualcosa, perché il vuoto non
può diventare la fine! L’altra parte, il Tutto, deve esservi reso disponibile.
Allora il vostro vuoto è pienezza: colmo del Tutto.
In questo caso, il nulla è Tutto. Non è semplice nulla, è
Tutto.
Questi sono i momenti in cui i termini contraddittori
vengono trascesi, e ogni volta che si trascende qualsiasi termine
contraddittorio, ci si illumina. Non importa quale sia la contraddizione,
qualsiasi trascendenza di contraddizioni vi porta l’illuminazione. E questa è
una delle contraddizioni fondamentali: il vuoto e il Tutto.
La trascendenza non richiede altro che una comprensione
silenziosa.
Osho, In amore vince chi ama.
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