domenica 4 ottobre 2020

Quella fiducia

1.       If you are separating the Creator and the creation, you are making the first fallacy; truth will not come to you. The sense of separation is ignorance. -Once He creates, it is within Him. ~Swami Amar Jyoti, Karma and Compassion Ap 16

Geet Bharti, a volte quando dici “Okay” a Yashu Bharti, fraintendo: penso sia diretto a me. Per questo lei ride. Ciò nonostante dico che nelle profondità del mio essere non esiste altro che la risata. Puoi anestetizzare il mio corpo, qualsiasi cosa, ma non me: questo è al di là delle tue possibilità.

E la stessa cosa vale anche per te. La tua essenza più intima è al di là di qualsiasi realtà chimica e farmacologica. In questo momento posso sentire Geet Bharti che sorride. È bello sentir sorridere un uomo: accade di rado. È diventata una prerogativa femminile: l’uomo ride o non ride, non sorride mai. Il sorriso è in mezzo: è la Via Aurea, è il Tao. La risata può essere violenta. Non ridere è stupido, il sorriso è bello.

Lo vedi: posso dire qualcosa di importante persino sul sorriso: “Il sorriso è bello”. Non ti preoccupare se dico qualcosa di giusto; è solo una vecchia abitudine. Posso persino parlare nel sonno, per cui non ti devi preoccupare se parlo sotto anestesia.

Gudia sa che io parlo nel sonno, ma non sa a chi mi rivolga: solo io lo so. Povera Gudia! Io parlo a lei, e lei si arrovella a pensare sul perché e a chi io parli! Che peccato che non sia consapevole che io le parlo, proprio come faccio ora: il sonno è un anestetico naturale. La vita è così dura, che si ha bisogno di un’anestesia , ogni notte, almeno per poche ore. Ma Gudia si preoccupa di sapere se sono veramente addormentato o meno: la posso capire!

Da più di venticinque anni non dormo. Raj Bharti, non ti preoccupare… dormo più di chiunque altro al mondo: tre ore di giorno e sette, otto, nove ore di notte. È più di quanto chiunque riuscirebbe a fare! In tutto dormo dodici ore al giorno, ma dentro di me sono sveglio. Mi vedo dormire, e a volte, la notte, si è così soli, che inizio a parlare a Gudia, che ha molte difficoltà: innanzitutto, nel sonno parlo in hindi, non potrei parlare in inglese.

Non lo farei mai, anche se potessi, volendolo. Ci ho provato, a volte, e ci sono riuscito: ma perdevo ogni piacere.

Dovete sapere che ogni giorno ascolto un canto di Noorjahan, la famosa cantante urdu. Ogni giorno, prima di uscire, la ascolto. È una cosa che potrebbe farvi impazzire. Cosa ne sapete di trapanazioni? Io lo so: ogni giorno io trapano Gudia con quella canzone. La deve ascoltare, non è possibile evitarla. E alla fine del mio lavoro, di nuovo ascolto la stessa canzone. Amo la mia lingua… non che sia mia, ma è così bella che se anche non fosse stata mia, l’avrei imparata.

La canzone che Gudia ascolta ogni giorno, e ch e dovrà continuare ad ascoltare, dice: “Che tu lo ricordi o meno, una volta tra noi esisteva fiducia. Una volta mi dicevi: ‘Sei la donna più bella del mondo’.Ora non so se mi riconosceresti. Forse non ti ricordi di me, io sì! Non completamente, certo: il tempo ha lasciato il segno.

Ora sono un palazzo sventrato, ma se guardi, se guardi con attenzione, sono sempre la stessa. Ancora ricordo quella fiducia e le tue parole. Quella fiducia che un tempo esisteva tra noi, la ricordi ancora? Non lo so, ma io la ricordo ancora…”.

Perché continuo a suonare questa canzone? È una sorta di trapanazione: non è come trapanare i denti, anche se insistendo arriverebbe anche lì. È un trapanare a fondo in lei la bellezza di una lingua. Certo, so che le è difficile capirlo e apprezzarlo…

Nel sonno, quando parlo a Gudia, di nuovo parlo in hindi, perché, perché so che il suo inconscio ancora non è inglese. È stata in Inghilterra solo per pochi anni. Prima viveva in India, ed ora è tornata a vivere in India. E io sto cercando di cancellare tutte le menzogne sorte tra questi due periodi. Ma di questo parlerò più avanti, quando sarà ora…

Oggi volevo dire qualcosa sul giainismo. Guardate che matto sono! Posso balzare da una vetta all’altra senza che esista un ponte… ma voi dovete tollerare questo matto. Vi siete innamorati: è una vostra responsabilità, io non ne sono responsabile.

Il giainismo è la religione più antica del mondo, in altre parole è la più masochista e la più sadica. I monaci giainisti si torturano al punto da far pensare che siano pazzi.

Non lo sono: sono uomini d’affari, e i seguaci dei monaci giainisti sono tutti uomini d’affari. In realtà non è strano, in quanto la religione stessa ha come motivazione fondamentale il trarre profitto nell’altro mondo. Il giainista si tortura per ottenere qualcosa nell’altro mondo, che sa di non poter conseguire in questo!

Devo aver avuto quattro o cinque anni , quando vidi per la prima volta un monaco giainista nudo, invitato nella casa di mia nonna. Non potei trattenermi e scoppiai a ridere. Mio nonno mi disse: “Stai tranquillo! So che sei una peste. E ti posso perdonare quando fai ammattire i vicini, ma non quando cerchi di fare il diavolo con il mio guru. Questo è il mio maestro: mi ha iniziato ai segreti più intimi della religione”.

Dissi: “Non mi interesso a quei segreti, ma a quelli esteriori, che quest’uomo rivela con evidenza: perché è nudo? Non può mettersi almeno un paio di pantaloncini corti?”

Perfino mio nonno rise, e mi disse: “Non capisci!

Dissi: “Bene, lo chiederò a lui”, e chiesi a mia nonna: “Posso fare alcune domande a questo folle che si presenta nudo a donne e signori?”

Mia nonna rise e disse: “Fallo, e non ti preoccupare per ciò che dice tuo nonno. Io te lo concedo. Se dice qualcosa, fammi un segno, e lo sistemerò io…”.

Era una donna meravigliosa, coraggiosa, pronta a dare libertà, senza condizioni. Non mi chiese neppure cosa avrei chiesto, mi invitò a parlare…

Tutti gli abitanti del villaggio si riunirono per il darshan col monaco. Nel bel mezzo del suo discorso, mi alzai in piedi. Accadeva quaranta o più anni fa, e da allora ho sempre lottato contro questi idioti. Quel giorno iniziò una guerra che finirà solo quando non esisterò più. E forse non finirà neppure allora: la mia gente la continuerà…

Posi domande semplici, a cui non riuscì a dare risposta. Ero perplesso. Mio nonno si vergognava. Mia nonna mi dava delle pacche sulle spalle e mi diceva: “Bene! Ce l’hai fatta! Sapevo che ne eri capace…!”

Cosa avevo chiesto? Semplici domande: “Perché non vuoi rinascere?” Nel giainismo questa è una domanda elementare, in quanto quella religione non è altro che uno sforzo per evitare di rinascere. È solo una scienza per impedire la rinascita…

Poi chiesi: “Perché non ti suicidi? Perché respiri? Perché mangi? Perché bevi? Suicidati! Perché far tanto chiasso per una cosa semplicissima?” Quel monaco non aveva più di quarant’anni… gli dissi: “Di questo passo , dovrai andare avanti per altri quarant’anni o forse più”.

È un fatto scientifico che le persone che mangiano poco vivono di più. Raj Bharti di certo concorderà con me. Le prove sono tantissime: se nutri qualsiasi specie animale più del necessario, ingrasserà, starà bene è vero, sarà più bella, ma morirà prima. Se invece la nutri la metà del suo fabbisogno, stranamente non sarà bella, non starà bene, ma vivrà il doppio…

A quell’epoca non conoscevo questi fatti, per cui dissi al monaco: “Se non vuoi rinascere, perché vivi? Solo per morire? Ma allora perché non ti suicidi?” Non penso che qualcuno gli avesse mai chiesto una cosa simile. In una società “educata” nessuno pone domande reali, e l’interrogativo del suicidio è più reale di qualsiasi altra cosa.

Marcel dice: “Il suicidio è il solo interrogativo filosofico reale”. A quei tempi non avevo affatto idea di chi fosse Marcel. Forse non esisteva ancora, e il suo libro non era ancora stato scritto. Ma a quel monaco chiesi proprio questo: “Se non vuoi rinascere, perché vivi? Suicidati! Posso mostrarti come fare. Anche se non conosco molto le cose di questo mondo, posso darti qualche consiglio sul suicidio. Puoi buttarti dalla collina che si trova vicino al villaggio, oppure ti puoi buttare nel fiume”.

Il fiume scorreva a tre miglia dal villaggio, ed era così profondo e così ampio che mi divertivo moltissimo ad attraversarlo a nuoto. Spesso, attraversandolo, pensavo di essere arrivato alla fine, e di non riuscire a raggiungere l’altra sponda. Era così ampio, soprattutto durante la stagione delle piogge, che non si riusciva a vedere l’altra sponda: distava chilometri! Sembrava un oceano. Quando era in piena, era il momento in cui mi tuffavo: o morivo o arrivavo sull’altra sponda. C’erano moltissime probabilità che non avrei mai visto l’altra sponda.

Dissi al monaco: “Durante la stagione delle piogge puoi tuffarti con me nel fiume. Per un po’ potremmo farci compagnia, poi puoi morire e io arriverò sull’altra riva. Nuoto bene!”

Mi guardò con ferocia, fumava d’ira, e io dovetti dirgli: “Ricorda, dovrai rinascere, perché ancora sei pieno di collera. Non è questo il modo di liberarsi dalle ambasce del mondo. Perché mi guardi furibondo? Rispondi in pace e in silenzio alla mia domanda, con gioia! E se non sei in grado di rispondere di’: “Non lo so”; ma non andare in collera”.

L’uomo disse: “Il suicidio è un peccato. Non posso commetterlo, ma non voglio più rinascere. Conseguirò quello stato rinunciando pian piano a tutto ciò che possiedo”.

Dissi: “Per favore, mostrami qualcosa che sia tuo, perché ti vedo nudo e privo di qualsiasi avere. Cosa possiedi?”

Mio nonno cercò di interrompermi. Puntai il dito verso mia nonna e gli dissi: “Ricorda, ho chiesto il permesso a Nani, e ora nessuno mi può fermare, neppure tu. Le ho chiesto il permesso perché sospettavo che se avessi interferito con il tuo guru e le sue sciocchezze, i suoi cosiddetti sermoni, ti saresti arrabbiato… e lei mi ha garantito che sarebbe bastato un suo sguardo a farti stare in silenzio!”, e stranamente… accadde! Mio nonno si zittì, senza che mia nonna dovesse guardarlo.

Più tardi mia nonna ed io ridemmo. Le dissi: “Non ti ha neppure guardato!”

Ribatté: “Non poteva, perché aveva paura che gli dicessi di star zitto: ‘Non interferire con il bambino!’, per cui mi ha evitata… era la sola scelta che avesse”.

In realtà, chiuse gli occhi, come se stesse meditando. E io lo rimbeccai: “Bene, Nana! Sei in collera, ribolli eppure te ne stai seduto ad occhi chiusi, come se meditassi. Il tuo guru è in collera perché le mie domande lo infastidiscono. E tu sei arrabbiato perché il tuo guru non è in grado di rispondere. Ma io ti dico che quest’uomo che sta predicando non è altro che un imbecille!” E non avevo più di quattro o cinque anni a quell’epoca…

Da allora in poi ho sempre parlato in quel modo. Immediatamente ho sempre riconosciuto l’idiota, ovunque fosse, chiunque fosse. Nessuno ha mai potuto sfuggire il mio sguardo a raggi X. Riesco subito a vedere l’ottusità, qualsiasi essa sia.

L’altro giorno ho dato ad uno dei miei sannyasin la penna con la quale avevo scritto il suo nuovo nome, solo per ricordargli che quella era la penna che avevo usato all’inizio della sua nuova vita, del suo sannyas. Ma sua moglie era presente: l’ho persino invitata a diventare sannyasin, ma tentennava, sapete come fanno le donne: sono sempre titubanti, non si sa mai cosa pensino. Anche quando sporgono la mano destra dall’auto, non sai se vogliano veramente girare a destra… forse assaporano il vento, o chissà che altro.

Quella donna era titubante… una donna perfetta, a modo suo. Voleva dire di si ma non ci riusciva. Voleva dire di no ma non ne era capace: una donna di questo tipo… e ricordate che il novantanove virgola nove per cento delle donne del mondo intero sono così: solo lo zero virgola uno per cento è diverso. Ma per il resto, quella donna era un perfetto esempio di donna!

Tuttavia cercai di sedurla al sannyas. Voglio dire : giocai per un po’ e lei si avvicinò e stava quasi per dire di sì, quando mi fermai. Anch’io non sono una persona così semplice come si potrebbe pensare dall’esterno. Non voglio dire di essere complesso, voglio dire che posso vedere le cose con tale chiarezza che a volte devo rinunciare alla mia semplicità e all’invito che questa porta con sé.

Quando stava per dire di s^, afferrò la mano del marito, ora sannyasin. Lo guardai e potei vedere che si voleva disfare di questa donna: lo aveva torturato a sufficienza. In realtà, sperava che diventando sannyasin questa donna avesse pietà e lo lasciasse di sua volontà. Potei vedere la sua perplessità mentre cercavo di persuadere sua moglie a diventare una sannyasin, in cuor suo pensava: “Mio Dio, se diventa sannyasyn, non avrò pace neppure a Poona!”

Voleva diventare parte di questo ashram. È ricco: ha un business che produce milioni di dollari e vuole donare ogni cosa all’ashram. Aveva paura… potevo vedere in trasparenza in luie in sua moglie.

Non esisteva nessun legame tra loro, e non c’era mai stato. Erano semplicemente una coppia all’inglese, le conoscete… Dio solo sa perché si sposano… e Dio non esiste! Lo ripeto in continuazione, perché ho sempre la sensazione che voi pensiate che Dio lo sappia! Dio non lo sa perché non esiste.

Dio è solo una parola, come “Gesù”! Non vuol dire nulla, è una semplice esclamazione. Sapete come mai Gesù ebbe questo nome…? Giuseppe e Maria stavano portando a casa il loro bambino da Betlemme. Maria era seduta sull’asinello con il bambino. Giuseppe camminava tenendo in mano la cavezza e guidava l’asino. All’improvviso inciampò, ferendosi il dito del piede contro una roccia. ‘Gesù!’ esclamò. E voi sapete come fanno le donne…

Maria disse: “Giuseppe! Pensavo al nome da dare al bambino, e tu hai pronunciato quello giusto: Gesù!”

E fu così che quel povero bambino si ritrovò quel nome. Non è un caso che quando ti picchi il martello sulle dita, esclami: “Gesù Cristo!” Non pensare di ricordare Gesù: ricorda quel povero Giuseppe che si ferì il dito del piede…

Quando ho smesso di respirare Raj Bharti sapeva cosa fare. Sebbene sia in parte ebreo… è ancora un uomo di cui ci si può fidare. Io so che lui non pensa di essere parzialmente ebreo: lui pensa che una parte della sua famiglia può essere stata ebrea, ma che lui non lo è! Così pensano tutti gli ebrei, anche quelli di sangue misto. Lui sembra perfetto: un ebreo è sempre un perfetto ebreo, se vi devo dire la verità! Basta una goccia di sangue ebreo per fare di te un ebreo perfetto.

Ma io amo ed ho fiducia negli ebrei. Guardate quest’Arca di Noè: ci sono due ebrei e mezzo. Io sono senza ombra di dubbio ebreo. Geet Bharti non è un ebreo perfetto, è solo ebreo. Raj Bharti è in parte ebreo e fa di tutto per nasconderlo, ma questo non fa che renderlo ancor di più ebreo. Non puoi nascondere la tua natura ebrea: dove potrai mai nascondere il tuo naso? È la sola cosa di tutto il tuo corpo che resterà sempre allo scoperto, perché devi respirare: tutto il resto lo puoi nascondere.

Stavo dicendo che neppure Gesù è un nome, ma una semplice esclamazione di Giuseppe quando si fece male al piede. E la stessa cosa vale per Dio. Quando si dice: “Dio mio!” Non vuol dire che si creda in Dio. È un semplice lamento, nel caso qualcuno in cielo lo ascolti. Come quando sui documenti ufficiali si scrive: “All’interessato!”, e se non c’è nessuno, vuol dire: “Scusate, non parlavo con nessuno… mi è solo sfuggita questa esclamazione!”

Che ore sono?... sono in ritardo di mezz’ora e non voglio che anche voi siate in ritardo. Una volta ogni tanto anch’io posso essere gentile. Voglio solo ricordarvi che questa è la dimensione migliore in cui siate stati finora. Bene. Perfino quando va bene, so come dire “basta”…

È incredibilmente bello,

meraviglioso,

basta.

 

Osho: Bagliori di un'infanzia dorata

 

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