sabato 17 ottobre 2020

Non sono nessuno


 

Ho parlato di un incidente estremamente importante per capire il processo della mia vita… e quell’incidente è ancora vivo per me…

A proposito, dicevo che posso ancora ricordare, ma la parola “ricordare” non è esatta. Posso rivedere quell’intero incidente mentre accade. Ero solo un bambino, ma questo non vuol dire che quanto dissi non debba essere preso sul serio. Il suicidio è in realtà la sola cosa seria di cui io abbia mai parlato.

Ad un occidentale sembrerà un po’ rozzo fare ad un monaco – che per i giainisti è una specie di papa – una domanda simile: “Perché non ti suicidi?”, ma dovete essere pazienti con me: prima di trarre conclusioni, o smettere di ascoltarmi, lasciate che vi spieghi.

Il giainismo è la sola religione del mondo che rispetti il suicidio. Ora siete voi a stupirvi! Naturalmente, non è chiamato suicidio, ma santhara, un bellissimo nome metafisico… io non apprezzo questa pratica, in particolare per come viene eseguita: è molto violenta, ed è crudele.

Strano che una religione che crede nella non violenza, debba predicare il santhara, il suicidio. Potete chiamarlo suicidio metafisico, ma dopotutto il nome non importa: un suicidio è sempre un suicidio.

Perché sono contrario? Io non mi oppongo al diritto che un uomo ha di suicidarsi. Niente affatto, dovrebbe essere un diritto fondamentale dell’uomo. Se non voglio vivere, chi può costringermi a farlo? Se voglio scomparire, gli altri possono solo facilitarmi il più possibile questa mia decisione. Ricordatelo: un giorno vorrò scomparire, non posso vivere per sempre.

Proprio l’altro giorno Sheela mi ha mostrato una calcomania che ha portato dall’America: “Sono orgoglioso di essere americano”. L’ho guardata, e quando Sheela se n’è andata, ho pianto. Io non sono americano , e sono orgoglioso di non esserlo. Né sono indiano: ma allora, chi sono? Io sono orgoglioso di non essere nessuno. A questo mi ha condotto il mio viaggio: all’essere un nessuno, senza casa, senza nulla. Ho perfino rinunciato all’illuminazione, cosa che nessuno prima di me aveva mai fatto. Ho perfino rinunciato alla chiarezza, per fare chiarezza a quell’idiota di tedesco! Non ho religione, non ho patria, non ho casa. Il mondo intero mi appartiene.

Sono il primo cittadino dell’universo. Sapete che sono pazzo: potrei iniziare ad emettere passaporti per cittadini universali! Ci ho pensato: pensavo ad un documento arancione, che potrei dare ai miei sannyasin quale passaporto per una “fratellanza universale”, in contrapposizione a nazioni, razze e religioni.

Io non mi oppongo all’attitudine giainista rispetto al suicidio, ma al metodo… il digiuno! Un poveretto ci mette circa novanta giorni a morire. È una tortura. Nulla può essere peggiore: neppure Adolf Hitler ha mai immaginato una cosa così incredibile. Perché Geet Bharti lo sappia, Adolf Hitler pensò a trapanare i denti delle persone, senza anestesia, ovviamente. E nel mondo ancora vivono molti ebrei che subirono questa tortura, venne fatto solo per creare in loro angoscia.

Ma Adolf Hitler forse non ha sentito parlare dei monaci giainisti e delle loro pratiche masochiste: sono superbe! Non si tagliano mai i capelli: li strappano con le mani. Che idea geniale!

Ogni anno il monaco giainista si strappa capelli, barba, baffi e ogni altro pelo del corpo, con le mani! Sono contrari ad ogni tecnologia: e per loro quello è il massimo della logica. Se usassero un rasoio, sarebbe “tecnologia”. Lo sapevate? Avete mai considerato un rasoio “tecnologia”? Persino i cosiddetti ecologisti usano il rasoio, senza sapere di commettere un crimine contro la natura.

I monaci giainisti si strappano i capelli, e non lo fanno in privato, in quanto non hanno una privacy. È parte del loro masochismo non averla, e vivere sempre in pubblico: si strappano i capelli, stando ritti, nudi, in mezzo a una piazza. Ovviamente, la folla incita e applaude. E i giainisti, sebbene simpatizzino, e guardino con le lacrime agli occhi, inconsciamente si godono lo spettacolo, senza dover neppure pagare il biglietto: io aborro queste cose, sono fermamente contrario a pratiche di questo tipo.

L’idea dello santhara, del suicidio compiuto restando senza cibo né bevande, non è altro che un lungo processo di autotortura che non posso appoggiare. Tuttavia, sono assolutamente favorevole all’idea di avere la libertà di morire: lo considero un diritto acquisito con la nascita, e prima o poi ogni costituzione del mondo lo includerà quale diritto primario: il diritto di morire non è un crimine.

Ma è un crimine torturare chiunque, anche se stessi. Con questo, capirete che non ero stato grossolano, ma che ponevo una domanda rilevantissima.

E quel giorno iniziai una battaglia che è durata tutta la mia vita, contro ogni sorta di stupidaggine, di assurdità, di superstizioni, in breve: contro ogni stronzata religiosa! “Stronzata” è una parola splendida: da sola, dice tutto!

Quel giorno iniziai la mia vita di ribelle, e continuerò ad essere un ribelle fino al mio ultimo respiro, e forse continuerò anche dopo: chi lo sa? Anche se non avrò un corpo, avrò il corpo di migliaia di persone che mi amano. Li posso provocare, e voi sapete che sono un seduttore, posso indurre nelle loro teste idee che si svilupperanno nei secoli a venire. Ed è proprio quello che farò.

La mia ribellione non morirà con la morte del mio corpo. La mia rivoluzione continuerà ancor più intensamente, perché a quel punto avrà molti corpi, molte voci, molte mani che la porteranno avanti.

Quel giorno fu importantissimo, ha un valore storico. E l’ho sempre ricordato e collegato al giorno in cui Gesù discusse con i rabbini nel tempio. Lui era un po’ più anziano di me, forse aveva otto o nove anni: ma la sua discussione segnò il corso della sua vita.

Non ricordo il nome di quel monaco giainista, forse si chiamava Shanti Sagar, “oceano di beatitudine”. Ma di certo non lo era: per questo ho scordato persino il suo nome. Non era che uno stagno putrido… e di certo non era un uomo di silenzio, perché esplose in una collera furibonda.

Shanti può significare molte cose: pace, silenzio sono i due significati elementari, ma in quell’uomo mancavano entrambi. Né si poteva dire che fosse libero da subbugli interiori, perché andò così in collera che mi urlò di sedermi.

Dissi: “Nessuno può dirmi di sedermi in casa mia. Io posso dire a te di andartene… ma non te lo dirò perché ho altre domande da farti. Per favore, non andare in collera. Ricorda il tuo nome: Shanti Sagar, oceano di pace e di silenzio. Come minimo potresti essere una piccola pozza… non lasciarti infastidire da un bambino!”

E senza preoccuparmi del suo essere in silenzio, chiesi a mia nonna, che a quel punto rideva: “Cosa dici, Nani? Posso fargli altre domande, o devo dirgli di andarsene dalla nostra casa?”

Ovviamente non lo chiesi a mio nonno, perché quell’uomo era il suo guru. E la mia Nani disse: “Chiedi tutto ciò che vuoi, e se non è in grado di rispondere, la porta è aperta, può andarsene”.

Quella era la donna che amavo. Quella fu la donna che fece di me un ribelle. Perfino mio nonno fu sconvolto dal suo sostenermi fino a quel punto.

E quel cosiddetto Shanti Sagar immediatamente si zittì, vedendo che mia nonna mi appoggiava. E non era sola: tutti gli abitanti del villaggio furono immediatamente dalla mia parte. Il povero monaco rimase completamente solo.

Gli posi altre domande: “Hai detto di non credere a nulla se prima non lo si è sperimentato in prima persona. Ne riconosco la verità, per cui vorrei chiederti…”.

I giainisti credono in sette inferni. Fino al settimo è possibile tornare indietro, ma il settimo è eterno. Forse il settimo è l’inferno dei cristiani, perché anche lì, quando ci entri, resti per sempre. Per cui chiesi: “Hai parlato del settimo inferno, per cui mi chiedo: l’hai visitato? In questo caso non potresti essere qui. E se non l’hai visitato, con che autorità puoi dire che esiste? Dovresti dire che ne esistono solo sei. Per favore, correggiti: di’ che ci sono solo sei inferni, altrimenti dimostrami che almeno un uomo, Shanti Sagar, è ritornato dal settimo!”

Ammutolì. Non poteva credere che un bambino riuscisse a porre domande simili. Io non ci posso credere neppure ora! Come riuscii a fare una domanda come quella? Posso dare una sola risposta: non ero istruito, ed ero assolutamente privo di nozioni. L’istruzione ti rende astuto. Io non lo ero. Posi semplicemente una domanda che farebbe qualsiasi bambino, se non fosse istruito. L’educazione è il crimine più grave commesso dall’uomo contro i bambini. E forse l’ultima liberazione nel mondo sarà la liberazione dei bambini.

Ero innocente, assolutamente privo di conoscenze. No sapevo leggere né scrivere, né sapevo far di conto con le dita! Perfino oggi, quando conto qualsiasi cosa uso le dita, e se me ne sfugge uno, mi confondo.

Non riuscì a rispondermi. Mia nonna si alzò e disse: “Devi rispondere. Non pensare che sia solo un bambino a chiedere, te lo chiedo anch’io, e ti sto ospitando!”

Di nuovo, vi devo illustrare una norma giainista. Quando un monaco giainista va da una famiglia per avere del cibo, dopo il pranzo, per benedire quella famiglia, tiene un discorso per i suoi ospiti. E mia nonna disse: “Oggi ti ospito, e ti faccio anch’io questa stessa domanda. Hai visitato il settimo inferno? Se non l’hai visitato di’ che non lo conosci, e non parlarne!”

Il mopnaco era confuso e si alambiccava – soprattutto perché si trovava di fronte ad una donna bellissima – per cui si alzò per andarsene. Ma la mia Nani urlò: “Fermati! Non andartene! Chi risponderà alle domande del mio bambino? E deve fartene ancora qualcuna. Che uomo sei? Sfuggi le domande di un bambino?”

L’uomo si fermò. Gli dissi: “Lascio perdere la seconda domanda, perché non sai rispondere. Né hai risposto alla prima… ora te ne farò una terza: forse riuscirai a rispondere”.

Mi guardò e io dissi: “Se vuoi guardarmi, guardami negli occhi”: il silenzio era profondo, come ora. Nessuno disse una parola. Il monaco abbassò gli occhi, per cui io dissi: “In questo caso non voglio fare altre domande. Le prima due sono rimaste senza risposta, la terza non la voglio neppure fare perché non voglio che un ospite si vergogni. Mi ritiro”. Me ne andai veramente, e fui felicissimo che mia nonna mi seguisse.

Mio nonno salutò il monaco, ma non appena questi se ne andò, corse in casa e chiese a mia nonna: “Sei pazza? Prima di tutto ti metti a sostenere questo ragazzo che è un creatore di guai nato, e poi te ne vai senza neppure salutare il mio maestro!?”

Mia nonna disse: “Non è il mio maestro, per cui non me ne importa nulla. Inoltre, quello che tu consideri un creatore di guai nato è solo il seme. Nessuno sa cosa ne uscirà”.

Ora so cosa ne è venuto fuori. Se non si nasce agitatori, non si può diventare un Buddha. E io non solo sono un Buddha come Gautama il Buddha, che è troppo tradizionale. Io sono Zorba il Buddha. Sono l’incontro di Oriente e Occidente. Di fatto, io non divido in Oriente e Occidente, superiore e inferiore, uomo e donna, buono e cattivo, divino e diabolico. Niente affatto! Lo ripeto mille e una volta: no! Io non divido. Io unisco tutto ciò che fino ad oggi è stato diviso: questo è il mio lavoro.

Per capire tutto ciò che accade in tutta la mia vita, quel giorno è importantissimo: se non capite il seme, non capirete l’albero e la sua fioritura, e forse vi sfuggirà anche la luna che fa capolino fra i rami.

Da quel giorno fui un fermo oppositore di ogni forma di masochismo. Ovviamente, imparai questa parola molto più tardi, ma la parola non è importante. Mi sono opposto ad ogni tipo di ascetismo: neppure questa parola conoscevo, ma potei sentire che sa di follia.

Voi sapete che io sono allergico ad ogni tipo di tortura autoimposta. Io voglio che ogni essere umano viva al massimo, il minimo non è nel mio stile. Vivi al massimo, e se riesci ad andare oltre quel massimo, è ancor meglio! Vai senza indugio! E non sprecare tempo ad aspettare Godot.

Per questo continuo a ripetere a Yashu Bharti: “Continua, fai ammattire Geet Bharti!” Ovviamente io non posso far ammattire Yashu Bharti, non si può far impazzire una donna. È lei che fa impazzire gli uomini: è la sua abilità ed è perfetta!

Anche se è seduta sul sedile posteriore di un’automobile, guiderà l’autista. E voi sapete che gli autisti che vi stanno alle spalle sono i peggiori: che libertà, quando non c’è nessuno che vi guida! È impossibile far impazzire le donne, neppure io ci riesco. E sebbene continui a spronare Yashu Barthi, non mi ascolta. Le donne sono nate sorde: fanno ciò che vogliono. Ma Geet Bharti ascolta, sebbene non parli a lui, e dà in escandescenze: così fanno i codardi. Io la chiamo la via minima, il limite di velocità. Se lo superi , prendi una multa! Il minimo è la via del codardo. Se fossi io a decidere il limite di velocità deciderei il limite minimo a cui viaggiare: chi non lo supera, dovrebbe subito essere multato. Noi cerchiamo di raggiungere le stelle, mentre loro insistono nell’andare col carretto! Noi cerchiamo di raggiungere la velocità della luce, è lo scopo ultimo della fisica: se non raggiungeremo la velocità della luce, non ci placheremo. A quella velocità, potremo fuggire da ogni terra o da ogni pianeta moribondo: ogni terra, ogni pianeta, ogni stella, un giorno morirà. Come potrete fuggire? Avrete bisogno della tecnologia più rapida che esista: questa terra in soli quattromila anni sarà morta. Qualsiasi cosa facciate, nulla potrà salvarla. Ogni giorno si avvicina sempre di più alla sua fine… e voi cercate di non superare i cinquanta chilometri orari!? Cercate di andare a trecentomila chilometri al secondo: quella è la velocità della luce.

Il mistico arriva a questo, e all’improvviso nel suo essere interiore esiste solo e unicamente la luce. Questo è il risveglio. Io sono a favore del massimo: vivi al massimo in ogni modo possibile; e se anche decidi di morire, muori al massimo della velocità! Non morire come un codardo: tuffati nell’ignoto. Io non mi oppongo all’idea di porre fine alla vita. Se uno decide di farlo, è un suo diritto. Ma sono fermamente contrario ad una lunga tortura. Quando questo Shanti Sagar morì, ci mise centodieci giorni di digiuno. Un uomo in buona salute può sopravvivere senza cibo per novanta giorni. Se ha una salute di ferro, può sopravvivere più a lungo.

Per cui ricordate: non fui severo con quell’uomo. In quel contesto la mia domanda era più che corretta, e forse a maggior ragione lo era, visto che non riuscì a rispondermi. E, cosa strana da dire oggi: quello non solo fu l’inizio del mio porre domande, ma fu anche la prima volta che la gente iniziò a non rispondermi.

Negli ultimi quarantacinque anni nessuno ha mai risposto a nessuna delle mie domande. Ho incontrato una infinità di cosiddette persone spirituali, ma nessuno ha mai risposto a una qualsiasi delle mie domande. In un certo senso quel giorno lasciò un ‘impronta su tutta la mia vita.

Shanti Sagar se ne andò infastidito, ma io ero felicissimo, e non lo nascosi a mio nonno: “Nana, forse lui sene è andato infastidito, ma io mi sento a postissimo. Il tuo guru era un semplice mediocre. Dovresti scegliere qualcuno che abbia un po’ più valore”.

Perfino lui scoppiò a ridere e disse: “Forse hai ragione, ma alla mia età cambiare guru non sarebbe pratico”. E chiese alla mia Nani: “Cosa ne pensi?”

La mia Nani, sempre sincera verso ciò che sentiva, disse: “Non è mai troppo tardi. Se vedi che ciò che hai scelto non è giusto, cambialo. Anzi, fallo in fretta, perché stai diventando vecchio. Non dire: “Sono vecchio, per cui non posso cambiare”. Un giovane si può permettere di non cambiare, non un vecchio… e tu sei già troppo vecchio!”

E non solo morì pochi anni dopo, ma non ebbe il coraggio di cambiare il suo guru. Proseguì nel vecchio modo. Mia nonna lo stuzzicava: “Quando cambierai il tuo guru e i suoi metodi?

E lui rispondeva: “Sì, sì, lo farò, lo farò”.

Un giorno mia nonna esplose: “Smetti di dire sciocchezze. Nessuno cambia, se non lo fa in questo preciso istante. Non dire: “Lo farò”! O cambi o non cambi, ma sii chiaro”.

Quella donna avrebbe potuto diventare una forza potentissima. Non era destinata ad essere una semplice casalinga, né a vivere in quel piccolo villaggio: il mondo intero avrebbe dovuto sapere che esisteva. E forse io sono il suo strumento: si è riversata completamente in me. Mi amò così profondamente che io non considerai mai mia madre come la mia vera mamma. E neppure la mia seconda madre, di cui non ho mai parlato a nessuno, assomigliava alla mia nani. Ho sempre considerato la mia Nani come la mia vera mamma.

Ogni volta che dovevo confessare qualcosa, qualcosa di male fatto a qualcuno, potevo andare solo da lei. Avevo fiducia in lei e mi confidavo perché avevo capito una cosa: era in grado di capire.

Devo aver fatto ogni sorta di cose che una persona possa fare, e la notte gliele raccontavo tutte. Questo accadeva mentre vivevo con lei, prima di andare all’università.

Non dormii mai a casa di mia madre. Anche se mia nonna alla morte di mio nonno si era trasferita nello stesso villaggio della mia famiglia, andavo sempre a dormire da lei, perché le potevo raccontare tutte le birbonate che avevo fatto durante il giorno. Lei ne rideva e diceva: “Ben fatto! Bello! Bellissimo! Quell’uomo se lo meritava. Ed è veramente caduto nel pozzo, come mi hai detto?”

Io le rispondevo: “Sì, ma non è morto”.

Lei proseguiva: “Va bene, ma sei riuscito a buttarlo dentro?”

Nel circondario c’era un pozzo privo di protezioni. Di notte chiunque ci poteva cascare dentro. E io avevo l’abitudine di accompagnarci la gente… e l’uomo che ci cascò era il pasticcere.

Mia madre, mia nonna… mi confondo sempre, perché la considero mia madre. È meglio che la chiami Nani, così non facciamo confusione. Le raccontai: “Oggi sono riuscito a far cadere il pasticcere nel pozzo”; ancora posso sentirla ridere: rise fino alle lacrime.

Mi disse: ”Bene, ma è ancora vivo?”

Le risposi di sì, che stava benissimo.

“Allora”, proseguì. “Non ci sono problemi. Non ti preoccupare, quell’uomo se lo meritava. Nei suoi dolci mette tante porcherie, che qualcuno doveva fare qualcosa”. E più tardi gli disse: “Se non cambi le tue ricette, ricorda: cadrai in continuazione in quel pozzo”, ma a me non disse nulla.

Le chiesi: “Non mi rimproveri?

Mi spiegò: “No, perché ti ho osservato fin dalla tua infanzia: perfino quando fai qualcosa di sbagliato, lo fai così bene, e al momento giusto, che diventa una cosa giusta!” Fu lei che per la prima volta mi disse che la cosa giusta, nelle mani di un uomo sbagliato, diventa sbagliata; e la cosa sbagliata nelle mani di un uomo giusto, diventa giusta.

Per cui, non preoccupatevi di cosa fate, ricordate solo una cosa: cosa siete. Questo è un’interrogativo cruciale: fare o essere? Tutte le religioni si preoccupano del fare; io mi interesso all’essere. Se il vostro essere è giusto, e con “giusto” voglio dire estatico, silente, in pace, in amore, qualsiasi cosa facciate, è giusta. Allora, per voi non esistono altri comandamenti, oltre a questo: sii semplicemente! Sii in maniera così totale da impedire l’esistenza di qualsiasi ombra. In questo caso non potrai mai fare nulla di sbagliato. Il mondo intero potrà anche dire che è una cosa sbagliata, questo non è importante: ciò che importa è il tuo stesso essere.

La crocefissione di Cristo non mi turba, perché io so che perfino sulla croce Gesù fu perfettamente in pace con se stesso. Era così tranquillo che potè pregare : “Padre”, era la parola che usava per indicare Dio. Per essere precisi non disse “padre”, ma “abba”, parola ancor più bella: “Abba, perdona questa gente perché non sa quello che fa”. Di nuovo l’enfasi è sulla parola “fare”: “Quello che sta ‘facendo’”. Ahimè! Non furono in grado di vedere l’essere dell’uomo che si trovava sulla croce. È l’essere ciò che importa, la sola cosa importante.

In quel momento della mia vita, quando posi al monaco giainista domande strane, che lo irritavano, lo infastidivano, non penso di aver sbagliato. Forse lo aiutai. Forse un giorno capirà. Se avesse avuto coraggio, l’avrebbe capito anche allora, ma era un codardo… fuggì. E da allora questa è stata la mia esperienza: i cosiddetti mahatma e i santi sono tutti codardi. Non ho mai incontrato un solo mahatma, hindu, mussulmano, cristiano, buddhista, che potessi definire  un vero spirito ribelle. E se non si è ribelli, non si è religiosi: la ribellione è il fondamento stesso della religione.

Osho: Bagliori di un'ifanzia dorata

 

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