1.
Okay.
Il mio okay è un po’ triste perché Yashu Bharti è triste, e l’equipaggio di questa Arca di Noè è così esiguo che la tristezza di una sola persona è sufficiente a cambiare l’intera atmosfera.
Ricordate? Qualche giorno fa le ho chiesto dov’era il suo amore e lei, entusiasta, ha risposto: “Presto verrà”.
Allora non ha pensato al perché glielo avessi chiesto: io non chiedo mai a nessuno qualcosa senza un motivo, anche se per voi quel motivo non è apparente. Una ragione per tutte le mie assurdità c’è sempre. Tutta la mia follia è percorsa da un flusso di chiarezza sanissimo.
Glielo avevo chiesto, perché sapevo che presto sarebbe stata triste. Sorridi! Non ti preoccupare, conosco il tuo amante meglio di te.
Ce la farà. Gli darò una mano. Ma non essere triste in questa piccola Arca di Noè. Ah! Ridi: benissimo… è sempre un bene separarsi un po’ dal proprio amante; questo rende più profondo te e la tua aspirazione. Ti fa scordare tutte le sciocchezze e i conflitti che vi accadevano.
All’improvviso ricordi solo la bellezza. Una breve separazione ricrea nuove lune di miele. Aspettale! I miei discepoli troveranno sempre il modo per arrivare e stare vicino a me: lo troverà anche lui.
Sfortunatamente la parola “tristezza” mi ha fatto ricordare di quel tedesco… Dio mio! Non avevo affatto l’intenzione di parlare ancora di lui per tutta la mia vita, ed ora è di nuovo qui! E tutto a causa della tua tristezza… guarda cosa hai fatto! Ti prego, non essere mai più triste, altrimenti gente come quella entra nella tua vita!
Ho cercato di trovare nel suo libro cosa veda di sbagliato in me per poter dire che non sono illuminato. Non che io lo sia: vorrei solo sapere cosa gli fa sentire che io non sono illuminato, ma semplicemente “chiaro”. La mia curiosità mi ha portato ad una scoperta molto divertente: egli dice che “di certo ciò che dico ha una importanza immensa per l’intera umanità”, ma non sono illuminato a causa del “modo in cui dico quelle cose”!
Sono scoppiato a ridere: rido di rado, e solo in bagno. Solo lo specchio lo sa. La bellezza dello specchio è che non ha ricordi. Ho riso, perché sembra che quest’uomo abbia incontrato e conosciuto molti illuminati, e non trovi il mio linguaggio simile al loro.
Vorrei parlargli in gergo americano: quel figlio di puttana ha semplicemente l’intelletto stitico. Deve smuoverlo un po’… voglio dire che dovrebbe mangiare delle prugne.
In piena autorità – la mia, ovviamente – vi dico che Bodhidharma , se avesse conosciuto questa espressione, l’avrebbe usata con l’Imperatore della Cina Wu: “Tu, figlio di puttana! Vattene all’inferno e lasciami in pace!” Ma a quell’epoca questa espressione non esisteva, non che non esistesse l’America: anche questo è un mito europeo. L’America fu scoperta da Colombo? Assurdo! Venne scoperta molte volte, ma fu sempre dimenticata.
Vorrei ricordarvi che “Messico” deriva dal sanscrito “Makshica”, e che in Messico esistono migliaia di prove che l’induismo era presente molto tempo prima di Gesù Cristo, che dire di Colombo!?
In realtà l’America, in particolare il Sud America, faceva parte di un vasto continente che includeva anche l’Africa. L’India si trovava esattamente nel mezzo, l’Africa stava sopra e l’America sotto. E i tre paesi erano divisi da un oceano molto piccolo: si poteva attraversarlo a piedi!
Negli antichi testi sacri hindu ci sono decine di testimonianze: si dice che la gente passava a piedi dall’Asia all’America. E i popoli si sposavano tra loro: Arjuna, il famoso guerriero hindu descritto nell’epopea del Mahabharata, il discepolo di Krishna, era sposato con una messicana. Certo, il Messico allora era chiamato Makshika, ma la descrizione è la stessa.
In Messico si trovano statue di Ganesh, la divinità elefantina hindu. Una cosa impossibile da trovare in Inghilterra! Sarebbe impossibile da trovare, se un paese non fosse venuto a contatto con l’induismo. In Bali se ne trovano, oppure a Sumatra, e in Messico… in alcuni templi messicani si trovano iscrizioni in sanscrito. Ho solo sfiorato l’argomento: se volete saperne di più, leggete il libro “Hindu America”, del monaco Bhikku Chamanlal. È strano che nessuno presti attenzione al suo lavoro. Certo, è comprensibile che i cristiani lo ignorino, ma gli studiosi dovrebbero essere liberi da pregiudizi.
Questo tedesco e il suo collega olandese dovrebbero incontrarsi e discutere e arrivare a una conclusione… e poi mi facciano sapere, in quanto io non sono né illuminato, né “chiaro”. E perché mai queste due parole li preoccupano tanto? E usano le stesse ragioni per raggiungere conclusioni diametralmente opposte. L’olandese scrisse il suo libro un po’ prima del tedesco, e sembra che questi abbia rubato da lì l’idea… così si comportano gli studiosi, si rubano le idee l’un l’altro… parlano come un illuminato o un uomo che ha chiarezza.
Ma chi sono queste persone per decidere? Hanno forse conosciuto Bodhidharma? L’hanno mai visto ritratto? Se lo vedessero concluderebbero subito che un illuminato o un uomo “chiaro” non assomiglia di certo a lui! Ha uno sguardo feroce! Ha gli occhi di un leone, e sembra voglia balzare dal quadro per ucciderti! Ed era proprio così… ma lasciamo perdere Bodhidharma perché ormai sono trascorsi quattordici secoli.
Io l’ho conosciuto personalmente. Ho viaggiato con lui almeno tre mesi. Mi amava quanto io amavo lui. E sarete curiosi di sapere perché mi amasse. Mi amava perché non gli chiesi mai nulla. Mi diceva: “Sei la prima persona che ho incontrato e che non pone domande, tutte quelle domande non fanno che annoiarmi. Tu sei la sola persona che non mi annoia”.
Gli dissi: “C’è un motivo!”
Mi chiese: “Qual è?”
Dissi: “Io rispondo e basta. Non pongo domande. Se hai delle domande puoi farmele. Se non ne hai, stai zitto!”
Ridemmo insieme, perché appartenevamo entrambi alla stessa categoria di folli. Mi chiese di proseguire il viaggio con lui, ma io gli dissi: “Scusami, devo andare per la mia strada, e qui si separe dalla tua…”.
Era stupito. Non aveva mai fatto a nessuno quell’invito. E aveva persino rifiutato l’imperatore Wu – il più grande imperatore di quell’epoca, aveva l’impero più vasto della terra – come se fosse un mendicante. Bodhidharma era allibito di fronte al mio rifiuto… Gli dissi: “Ora sai come ci si sente, quando si è rifiutati. Volevo fartelo sentire. Addio”. Ma tutto questo accadeva quattordici secoli fa.
Potrei ricordare a quel tedesco illuminati più recenti… come Gurdjieff, che è vissuto pochi anni fa. Avrebbe dovuto incontrarlo, avrebbe saputo come si comporta e parla un illuminato o una persona chiara. Gurdjieff usava ogni parola, senza ritegno: certo, non sono state pubblicate, perché nessuno ha osato farlo.
E, se gli interessano solo gli illuminati indiani, e questo è un luogo comune tra quegli idioti… altrimenti, cos’avrebbe a che vedere l’India con l’illuminazione? Se gli interessano solo gli indiani, parliamo di Ramakrishna, che ci è vicinissimo… le sue parole non sono state riportate correttamente, in quanto aveva sempre vissuto in un villaggio e come tale parlava. Qualsiasi parola usasse, che non fosse ritenuta degna di un illuminato, veniva censurata.
Io ho girato per il Bengala, e ho chiesto alla gente, che ancora ama Ramakrishna, come parlasse. E tutti mi hanno detto che era terribile. Parlava come un uomo è solito fare: con forza, senza paura, senza la minima affettazione.
Io ho sempre parlato come mi piaceva… non sono lo schiavo di nessuno, e non mi preoccupa affatto cosa pensino di me questi idioti. Facciano pure: possono pensare che io sia illuminato, che io sia “chiaro” , che io sia ignorante… pensino quello che vogliono. Non è che un riflesso della loro mente: possono scrivere, esiste la carta e l’inchiostro… perché me ne dovrei interessare?
Per puro caso , Yashu Bharti, la tua tristezza ha dato spazio a questo idiota. Non essere mai più triste, perché se lo sei tornerà: e tu sai che io posso dar vita a qualsiasi cosa… anche dal nulla!
Ed ora diamo un taglio a questo tedesco e alla tristezza, va bene? Sorridi… brava! Certo, lo posso capire. Se ridi quando sei triste, la tua risata acquista un colore diverso… ma è una cosa naturale.
I miei sannyasin devono imparare ad essere un poco al di sopra della natura. Devono imparare cose che, nel mondo comune, nessuno si preoccupa di prendere in considerazione: la separazione, così come l’incontro, ha una sua bellezza. Non vedo nulla di male nella separazione… ha una sua poesia, devi semplicemente capirne il linguaggio, devi viverne la profondità.
In questo caso, la tristezza crea un tipo di gioia nuovo… che sembra essere pressoché impossibile, ma accade. Io l’ho conosciuta. Ed è ciò di cui parlavo questa mattina, quando ho raccontato la morte del mio Nana.
Fu una separazione radicale. Non ci incontreremo mai più; tuttavia quella separazione aveva una sua bellezza, e lui la rese ancora più bella ripetendo quel mantra. Le diede la qualità di una preghiera… acquistò una fragranza. Era vecchio, stava morendo, forse ebbe un attacco di cuore violento. Noi non ne eravamo consapevoli, perché al villaggio non c’erano dottori, non c’era neppure un farmacista, né medicinali, per cui non sapemmo mai di cosa morì, ma io penso che fosse un violento attacco cardiaco.
Gli chiesi in un orecchio: “Nana, hai qualcosa da dirmi, prima di andartene? Un’ultima parola? O mi vuoi dare qualcosa , perché ti ricordi per sempre?”
Lui si tolse l’anello e me lo mise in mano. Oggi l’ha qualche sannyasin: l’ho donato a qualcuno… e quell’anello fu sempre un mistero. Per tutta la vita non permise a nessuno di vedere cosa contenesse, tuttavia non faceva che guardarlo: l’anello aveva una finestrella di vetro su entrambi i lati, che permetteva di guardarci attraverso. Ed era sormontato da un diamante.
Non permise mai a nessuno di guardare attraverso quella finestrella: all’interno c’era una statua di Mahavira, il tirthankara giainista, un’immagine bellissima e piccolissima. Doveva trattarsi di un piccolo disegno, ma quelle due finestrelle erano lenti di ingrandimento e lo rendevano gigantesco!
A me non fu di nessuna utilità, perché, mi spiace dirlo, nonostante abbia fatto del mio meglio, non sono mai stato capace di amare Mahavira quanto amo Buddha, sebbene fossero contemporanei.
In Mahavira manca qualcosa, senza la quale il mio cuore non può battere… sembra una statua di pietra. Buddha è più vivo, sebbene non raggiunga il mio standard di vitalità, per questo voglio che diventi anche uno Zorba. Se mi incontrasse nell’altro mondo, sarebbero guai. Mi urlerebbe: “Hai voluto che diventassi uno Zorba!”
Ma voi sapete che io posso urlare ancora di più: non mi potrà zittire, io farò a modo mio… se non vuole diventare uno Zorba, sono fatti suoi, ma in quel caso il suo mondo è finito. Non ha più futuro.
Se Buddha vuole avere un futuro, mi deve ascoltare. Deve diventare uno Zorba.. Buddha non può continuare a vivere da solo, e neppure Zorba può farlo: finirebbe in una Hiroshima. Nel futuro sarà impossibile che vivano separati.
La psicologia dell’uomo, in futuro, dovrà creare un ponte tra materialismo e spiritualismo, tra Oriente e Occidente. Un giorno il mondo sarà riconoscente poiché il mio messaggio sta arrivando in Occidente; prima coloro che ricercavano dovevano per forza venire in Oriente: questa è la prima volta che il messaggio di un Buddha vivente arriva in Occidente.
L’Occidente non sa come riconoscere un Buddha. Non ne ha mai conosciuto uno. Ha conosciuto solo Buddha parziali: Gesù, Pitagora, Diogene… non ha mai conosciuto un Buddha completo.
Non deve stupire che disputino su di me… sapete cosa pubblicano sui giornali indiani? Che io sono stato rapito, e che la mia vita è in pericolo!
Io sono qui, presente, ma questa gente in realtà non è affatto interessata a me. Questo è un paese marcio… L’India è marcia da almeno duemila anni, è in putrefazione! Nulla è più putrido della spiritualità indiana. È un cadavere, ed è molto vecchio: ha più di duemila anni!
La gente inventa le storie più assurde: io sarei stato rapito e la mia vita è in pericolo. È vero: per venticinque anni la mia vita è sempre stata in pericolo. È un miracolo che io sia sopravvissuto. Ed ora mi vogliono proteggere! Nel mondo esistono le persone più strane… ma il futuro non appartiene a questa gente, ma ad un uomo completamente nuovo, che io ho chiamato Zorba il Buddha.
Vi raccontavo che mio nonno, prima di morire, mi diede la cosa che più amava: una statua di Mahavira nascosta dietro un diamante, in un anello. Con gli occhi gonfi di lacrime mi disse: “Non ho altro da darti perché tutto ciò che ho verrà portato via anche a te, così come mi viene portato via ora. Posso solo darti il mio amore per colui che ha conosciuto se stesso”.
Sebbene io non abbia conservato il suo anello, ho adempiuto il suo desiderio. Io ho conosciuto quell’essere, e l’ho conosciuto in me stesso. Che valore ha in un anello? Ma quel povero vecchio amava il suo maestro, Mahavira, e mi donò il suo amore. Io provo rispetto per l’amore che aveva per il suo maestro e per me. Le ultime sue parole furono: “Non ti preoccupare perché non sto morendo”.
Noi tutti aspettammo per vedere se dicesse qualcos’altro, ma quello fu tutto. I suoi occhi si chiusero e lui non fu più.
Ancora ricordo quel silenzio. Il carro stava attraversando il letto di un fiume… ancora ricordo ogni dettaglio con precisione. Non dissi nulla, perché non volevo infastidire mia nonna. E lei non disse nulla. Passarono alcuni istanti… poi lei si preoccupò e mi disse: “Di’ qualcosa, non stare così quieto, è insopportabile!”
Ci credereste? Cantò una canzone! Fu così che imparai che la morte deve essere celebrata. Cantò la canzone che aveva cantato quando per la prima volta si innamorò di mio nonno.
È un’altra cosa degna di essere ricordata: novant’anni fa , in India, mia nonna ebbe il coraggio di innamorarsi. Rimase nubile fino a ventiquattro anni. Era una cosa rarissima.
Una volta le chiesi come mai restò nubile così a lungo. Era una donna bellissima… per scherzo le dissi che perfino il re di Chhatterpur, lo stato in cui si trova Khajuraho, avrebbe potuto innamorarsi di lei.
Mi disse: “È strano che tu ne parli, perché è successo. Io l’ho rifiutato, e non fu l’unico…”. In quell’epoca, in Indiale ragazze erano sposate a sette anni, o al massimo a nove! Solo per paura dell’amore… se avessero avuto qualche anno di più, si sarebbero potute innamorare. Ma il padre di mia nonna era un poeta; ancor oggi le sue canzoni sono cantate nei villaggi vicini a Khajuraho. E lui insistette a non sposarla con nessuno, se lei non fosse stata consenziente. E il destino la fece innamorare di mio nonno.
Le chiesi: “È una cosa ancor più strana: hai rifiutato il re di Chhatterpur, eppure ti sei innamorata di questo pover’uomo. Come mai? Di certo non era attraente, non aveva niente di straordinario: come mai ti sei innamorata di lui?”
Mi disse: “Fai la domanda sbagliata. Ci si innamora senza ragione. Lo vidi e accadde… vidi i suoi occhi, e in me sorse una fiducia che non ha mai avuto dubbio alcuno”.
Anche a mio nonno chiesi ; “Nani dice che si innamorò di te. E questo chiarisce le cose, dalla sua parte; ma perché tu permettesti questo matrimonio?”
Mi disse: “Non sono un poeta, né un pensatore, ma sono in grado di riconoscere la bellezza, quando la vedo”.
Non ho mai visto una donna più bella della mia Nani. Io stesso mi innamorai di lei, e l’amai per tutta la sua vita. Quando morì, a ottant’anni, corsi a casa e la trovai morta. Tutti mi aspettavano, perché lei aveva lasciato detto di non mettere il suo corpo sulla pira funeraria, prima del mio arrivo. Aveva insistito affinché fossi io ad accendere il fuoco della sua pira, per cui aspettarono. Entrai, scoprii il suo volto… e ancora era bella ! In realtà, più bella che mai, perché tutto era quieto, non esisteva più neppure l’agitazione del respiro, nessun movimento vitale… era una semplice presenza.
Dar fuoco al suo corpo fu il compito più difficile della mia vita. Era come se dovessi dar fuoco ai quadri più belli di Leonardo o di Vincent Van Gogh. E per me, lei aveva più valore della “Monna Lisa, di Cleopatra. Non è una esagerazione.
In un certo senso tutto ciò che è bello nella mia visione ha avuto origine da lei. Mi ha aiutato in tutti i modi ad essere così come sono… senza di lei, avrei potuto diventare un negoziante o forse un dottore o un architetto, perché quando ottenni il diploma superiore mio padre era povero, e gli era difficile mandarmi all’università.
Però, era pronto a farsi prestare i soldi, perché era profondamente determinato a mandarmi all’università. Io ero d’accordo, ma non per fare degli studi medici o tecnici: rifiutai radicalmente queste professioni. Gli dissi: “Se vuoi sapere la verità, voglio essere un sannyasin, un vagabondo””. Allibì: “Cosa? Un vagabondo!?”
Gli dissi: “Certo. Voglio andare all’università e studiare filosofia, cos’ potrò essere un filosofo vagabondo!”. Si rifiutò: “In quel caso non mi farò mai prestare i soldi, né farò sforzi…”
E mia nonna mi disse: “Non ti preoccupare, figliolo; vai e fai ciò che vuoi… … io sono viva, e venderò tutto per aiutarti ad essere te stesso. Non ti chiederò dove vuoi andare e cosa vuoi studiare”.
Non me lo chiese mai, e continuò a mandarmi denaro, anche quando diventai professore. Dovetti dire che a quel punto guadagnavo dei soldi, e toccava a me mandarli a lei.
Mi disse;: “Non ti preoccupare, a me questo denaro non serve, e tu di certo saprai come usarlo”. La gente si chiedeva dove trovassi tanti soldi per comprarmi i libri, perché ne avevo a migliaia. Anche quando ero un semplice studente di liceo., la mia casa era piena di libri e tutti si chiedevano dove prendessi i soldi. Ma mia nonna mi aveva detto: “Non dire mai a nessuno che io ti do dei soldi, perché se tuo padre e tua madre lo venissero a sapere, inizierebbero a chiederne anche loro, e mi sarebbe difficile rifiutarli”.
Continuò a mandarmi soldi. Vi stupirà: ma perfino il mese in cui morì, firmò l’assegno, mi mandò il denaro che era solito spedirmi. La mattina in cui morì, firmò l’assegno. E vi stupirà sapere che quelli erano gli ultimi soldi che aveva in banca… forse, in qualche modo, sapeva che non ci sarebbe mai più stato un domani.
In molti modi, io sono fortunato, ma la mia fortuna maggiore è stata di aver avuto quei nonni materni… e quei primi anni aurei!
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