domenica 28 marzo 2021

Posso solo essere me stesso

 

Ho lavorato tutta la notte a causa di un piccolo appunto da me fatto a Raj Bharti, che forse non l’ha ferito, forse lui non lo ha neppure notato, ma che l’ha fatto sedere pesantemente su di me per tutta la notte. Avevo detto: “Nessun Buddha ha mai avuto un dentista personale, ma Gautama il Buddha ebbe un medico personale”. La cosa non era esatta, per cui ho consultato gli archivi, gli archivi dell’Akasha.

Devo esporre alcune cose, a cui nessuno fa caso, in particolare quegli sciocchi di storici. Non ho fatto un consulto storico. Sono entrato in quella che H. G. Wells ha chiamato “La Macchina del Tempo”, per andare indietro nel tempo. È un lavoro duro, e voi sapete che io sono pigro. Sto ancora ansimando…

Un re, Bimbasara, diede a Buddha un medico, Jeevaka. Bimbasara non era un sannyasin di Buddha, era solo un simpatizzante; come mai diede Jeevaka a Buddha? Era il suo medico personale, ed era il più famoso dell’epoca… lo diede a Buddha solo per competere con un altro re, Prasenjita, che aveva già proposto a Buddha il suo medico, dicendo: “Quando ne hai bisogno, il mio medico personale è a tua disposizione”.

Bimbasara non lo sopportò: se Prasenjita poteva arrivare a tanto, lui volle fare di più, offrendogli in dono il suo miglior dottore. Per cui, sebbene Jeevaka seguisse Buddha ovunque, non fu un suo seguace, ricordatelo. Rimase un hindu, un brahmino.Era strano: il medico di Buddha, era sempre con lui, perfino nell’intimità, eppure rimase un brahmino? Questo rivela la verità: Jeevaka era ancora pagato dal re, e se questi voleva che seguisse Buddha, doveva farlo: il servo esegue gli ordini del padrone.

Tuttavia stette raramente con Buddha perché Bimbasara era vecchio, e aveva bisogno del dottore in continuazione, per cui lo richiamava alla capitale ogni minuto. Raj Bharti, forse tu non ci hai pensato, ma io mi sono rattristato per questa piccola crudeltà: non avrei dovuto dirla. Tu sei unico come chiunque altro. E rispetto al tuo essere un medico di un Buddha, non esistono confronti… né in passato né in futuro, perché non potrà mai più esistere un uomo così semplice e così folle da definirsi Zorba il Buddha.

E questo mi fa ricordare la storia che vi stavo raccontando…

Il mio cuore si è liberato di un peso. Lo potete vedere dal mio respiro, sono veramente sollevato. Era solo un piccolo appunto, ma sono così sensibile… forse più di quanto ci si aspetta da un Buddha. Ma cosa posso farci? Non posso essere un Buddha in base agli altri: posso solo essere me stesso.

Mi sento libero da un peso che forse voi non avete neppure sentito, o forse ne eravate consapevoli , in fondo in fondo, ma lo avete nascosto dietro a una risatina. Ma a me non potete nascondere nulla.

Stranamente, la consapevolezza diventa ancor più chiara e trasparente se aiutata da qualcosa che fa scomparire il corpo. Mi tengo alla sedia solo per ricordarmi che il corpo è ancora qui. Non che io lo voglia, ma non voglio farvi dare in escandescenze… non c’è spazio abbastanza in questa stanza, perché quattro persone diano fuori di matto! Certo, se date dentro di matto, lo spazio è più che sufficiente!

E adesso possiamo ritornare alla nostra storia. La chiamo storia, non che lo sia, ma nella vita tutto è “una storia”, al punto che se sapete leggere la vita, non avete bisogno dei romanzi. Mi chiedo come mai J. Krishnamurti legga romanzi, e romanzi gialli della peggior specie! Gli deve mancare qualcosa… haimé, non riesce a vederlo, un uomo così intelligente, o forse lo vede, ma cerca di nasconderlo dietro quelle letture.

Dice di essere fortunato per non aver letto la Bhagavad Gita o il corano o i Rig Veda… tuttavia legge i romanzi gialli! Dovrebbe parlare anche di questa sua sfortuna… ma non la menziona mai. Io lo so, perché sono stato ospite nella stessa casa in cui si fermava sempre, a Bombay. La signora che ci ospitava mi chiese: “Non ti vedo leggere romanzi gialli, come mai? Pensavo che tutti gli illuminati li leggessero!”

Le chiesi dove aveva preso quell’idea assurda.

Mi spiegò: “Da Krishnamurti. Anche lui soggiorna da me; mio marito è un suo seguace. E anch’io lo amo, simpatizzo per lui. L’ho visto leggere romanzi gialli e ho pensato che dovessero avere qualcosa… per favore, scusa la mia curiosità: ho curiosato nella tua valigia, pensando che ci nascondessi libri gialli”. 

Viaggiavo con tre grosse valigie: quella donna deve aver pensato che mi portassi dietro un’intera biblioteca di romanzi gialli, ma non ne trovò neppure uno. E questo l’aveva lasciata perplessa.

Altri amici di Varanasi, e altri ancora di New Delhi, dove J. Krishnamurti soggiornava sempre, mi hanno chiesto la stessa cosa. Non mi posso sbagliare: troppe persone, da città diverse, mi hanno fatto continuamente la stessa domanda.

Molti l’hanno visto leggere libri gialli in aereo. E, per dirvi la verità, io stesso l’ho visto per caso su un volo da Bombay a Delhi: leggeva un giallo! Il destino ci ha fatto volare entrambi sullo stesso aereo, per cui posso affermarlo con certezza assoluta, senza bisogno di altri testimoni: io sono un testimone oculare.

Io posso creare un racconto traendo spunto da qualsiasi incidente: deve solo essere inserito nel contesto giusto. Questa mattina vi ho raccontato della volta in cui la regina di Bhopal visitò il nostro villaggio e ci invitò per la festa annuale. Quando ancora era al villaggio chiese alla mia Nani perché mi chiamava Rajah.

Rajah vuol dire “Re”, e in quello stato era riservato al sovrano. Perfino il marito della regina non era chiamato Rajah, ma solo “Principe”, Raj-kumar, proprio come il povero Filippo d’Inghilterra è chiamato “principe Filippo”… sebbene sia il solo che sembri un re! Neppure la regina sembra una regina… mi spiace per il povero Filippo.

Lo chiamano “principe” perché non ha lo stesso sangue: ed è il sangue, per lo meno in quel mondo idiota, a determinare ogni cosa. Altrimenti il sangue è solo sangue… in un laboratorio neppure il sangue di un re o di una regina rivelerebbe alcuna diversità.

In questa stanza, entrambi siete dottori, poi c’è una nurse, e la quarta persona, sebbene non sia né un dottore né una nurse, è tutte e due le cose, senza diplomi, ovviamente… per cui tutti capirete che il sangue non può essere un fattore determinante.

La regina Elisabetta ha il sangue giusto, non su basi scientifiche, ma in base alla loro idiozia… Carlo, suo figlio, lo ha ereditato, almeno al cinquanta per cento. Filippo è un estraneo, e solo per consolarlo lo chiamano “principe”.

Allo stesso modo, in quel piccolo stato, la donna che ne era sovrana era chiamata “regina”, rani, ma non esisteva un “rajah”. Il marito stesso era solo un principe Raj-kumar. La sua domanda era naturale, e vi stupirà sapere che di fatto era illegale dare il nome Rajah a chiunque.

Mia nonna rise e disse: “È il re del mio cuore, e per ciò che concerne la legge, presto lasceremo questo stato, ma non posso cambiargli nome!”.

Io stesso mi stupii quando disse che avremo presto lasciato lo stato… solo per salvare il mio nome? Quella notte le dissi: “Nani, sei impazzita? Solo per salvare uno stupido nome… qualsiasi nome andrà bene, e in privato puoi sempre chiamarmi Rajah. Non è necessario che ce ne andiamo”.

Mi rispose: “In cuor mio sento che presto lasceremo questo stato. Per questo ho rischiato tanto…”

E accadde. Questo incidente si verificò quando avevo otto anni, e l’anno dopo lasciammo quello stato per sempre… ma lei non smise mai di chiamarmi Rajah. Io cambiai il nome, perché Rajah, “il re”, da solo era troppo snob, e non volevo che la gente ridesse di me a scuola. Inoltre, non volli che altri, fatta eccezione per mia nonna, mi chiamasse Rajah: era una cosa privata tra me e lei.

Ma la regina si sentì offesa da quel nome. Che persone meschine questi re, regine, presidenti, primi ministri… che banda! Eppure sono potenti: sono inconcepibilmente idioti e sono altrettanto potenti: che mondo strano!

Dissi a mia nonna: “Mi sembra che non solo sia offesa dal mio nome, è anche gelosa di te”. Era evidente: “Non voglio nessuna conferma da te…”. Questo episodio determinò tutto il mio stile di vita.

Non ho mai chiesto a nessuno se ho ragione o torto. Giusta o sbagliata che sia, se voglio fare qualcosa, la voglio fare, e la renderò giusta, anche se è sbagliata!

Non ho mai permesso a nessuno di interferire nella mia vita. E questo mi ha dato tutto ciò che possiedo: non molto in questo mondo, non ho nessun conto in banca, ma mi ha dato ciò che realmente ha valore: il gusto per la bellezza, per l’amore, per la verità, il sapore dell’eternità… in breve, di se stessi.

Che ore sono, Geet Bharti?

“Otto meno tre minuti, Bhagwan”.

Bene. Sono stato severo anche con te, questa mattina. Non ne parlerò, dirò solo questo: con le persone che amo, mi dimentico il galateo. Per cui inizio a fare e a dire cose che vanno bene solo se sono da solo, ma l’amore è questo: essere con qualcuno come se si fosse soli… e a volte mi capita di essere duro con l’altra persona.

Posso sempre dire “mi spiace”, ma è così formale. E quando colpisco, e colpisco spesso, lo faccio con un amore tale che un “mi spiace” non servirebbe a nulla. Ma puoi vedere le mie lacrime, dicono più di quanto io possa dire… molto di più.

Ricorda: anche in futuro sarò duro, forse ancor di più… è il mio modo di amarti. Spero lo capirai, se non oggi, domani o forse dopodomani. Più di questo non posso dire, perché per i prossimi due giorni ho prenotato le mie sedute, e vero… il resto è aperto, ma per i prossimi due giorni, ci sarò!

Dicevo che dopo un anno lasciammo quello stato e quel villaggio. E prima vi ho detto che sulla strada mio nonno morì. Quello fu il mio incontro con la morte. Non fu affatto orribile, come accade più o meno a quasi tutti i bambini del mondo. Fortunatamente rimasi per ore con mio nonno moribondo, morì lentamente… piano piano. Potei sentire la morte mentre accadeva, e ne potei sentire il silenzio.

E fui fortunato anche perché la mia Nani era presente. Forse, senza di lei, mi sarebbe sfuggita la bellezza della morte, perché l’amore e la morte sono così simili, forse sono la stessa cosa.

Lei mi amava, riversava su di me il suo amore, e la morte era presente, avanzava lentamente.

Un carretto… ancora posso sentirne il rumore… le ruote che raschiano sulle pietre… Bhoora che urla in continuazione ai buoi… il suono della frusta che li colpisce… posso ancora sentire tutto questo. È così profondamente radicato nella mia esperienza che non penso verrà mai cancellato, neppure dalla mia morte. Perfino morendo, forse sentirò il suono di quel carretto.

La mia Nani mi teneva la mano, ed io ero completamente stordito; non sapendo cosa accadeva, ero assolutamente presente. La mano di mio nonno era appoggiata sul mio grembo. Io tenevo le mani sul suo torace… e piano piano il respiro scomparve. Quando sentii che non respirava più, dissi a mia nonna: “Mi spiace, Nani, ma sembra che non respiri più”.

Lei disse: “Va bene. Non ti preoccupare. Ha vissuto a sufficienza, non serve chiedere una vita più lunga”. E mi disse anche: “Ricorda, ci sono momenti indimenticabili, ma non chiedere di più. Ciò che è, è sufficiente!”.

È sufficiente? Lasciatemi dieci minuti, vi dirò quando fermarvi. Ho più fretta io di voi… alla fine vi ho sedotti. E adesso posso dire, con infinita gioia, fermatevi.

 

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