1.
Ho appena avuto un’esperienza sublime: la sensazione di un discepolo che lavora con amore sul corpo del Maestro. Ancora ne sono sbalordito. E questo mi ricorda qualcosa della mia infanzia dorata.
Tutti parlano della loro infanzia dorata, ma raramente , molto raramente, questa è reale. Per lo più si tratta di menzogne. Ma nessuno le riconosce come tali, in quanto una infinità di persone le racconta. Perfino i poeti non fanno che scrivere inni alla loro infanzia dorata, come Wordsworth, ad esempio, non un poeta qualunque… ma un’infanzia dorata è una cosa rarissima: dove potrai mai trovarla?
Come prima cosa, devi scegliere la tua nascita: cosa quasi impossibile. Se non muori in uno stato di meditazione, non potrai mai scegliere la tua nascita: è una scelta possibile solo a chi medita, in quanto morirà consapevole, e acquista il diritto di nascere consapevole.
Io sono morto consapevole: in realtà venni ucciso. Sarei morto tre giorni più tardi, ma quelle persone non poterono aspettare, neppure tre giorni. La gente ha una fretta spaventosa! E vi stupirà sapere che la persona che mi uccise adesso è un mio sannyasin. Era venuto per uccidermi, un’altra volta, non per prendere il sannyas… ma se lui persiste nel suo gioco, io persisto nel mio.
Sette anni dopo aver preso il sannyas, lui stesso me lo confessò:
“Bhagwan, ora ti posso confessare senza paura che ero venuto a Ahmedabadper ucciderti”.
Esclamai: “Dio mio, di nuovo!”
Chiese: “Cosa vuoi dire?”
Dissi: “Quella è un’altra storia, va’ avati…”.
Mi spiegò: “In Ahmedabad, sette anni fa, ero venuto ad ascoltarti armato di una pistola. La sala era così zeppa che gli organizzatori permisero ad alcuni di noi di sedersi sul podio”, quindi quest’uomo armato venne fatto sedere vicino a me. Un’occasione unica! Gli chiesi: “Come mai ti sei fatto sfuggire un’occasione simile?”
Mi spiegò: “Non ti avevo mai sentito parlare, prima di allora. Qualcuno mi aveva parlato di te… ma quando ti ascoltai, subito pensai che avrei preferito suicidarmi piuttosto che ucciderti. Per questo ho preso il sannyas: è il mio suicidio”.
E settecento anni fa, quest’uomo mi uccise realmente, mi avvelenò. E anche allora era un mio discepolo… ma senza un Giuda, è difficilissimo trovare un Gesù. Morii consapevole: scelsi mio padre e mia madre.
Migliaia di sciocchi fanno all’amore nel mondo, ad ogni ora. Milioni di anime non nate sono pronte ad entrare in un ventre qualsiasi, non importa quale… io aspettai settecento anni il momento giusto, e ringrazio l’esistenza per averlo trovato.
Settecento anni non sono nulla, se paragonati con i milioni di milioni di anni davanti a noi… ci misi solo settecento anni , certo, dico solo, e scelsi una coppia molto povera ma che viveva in profonda intimità.
Non penso che mio padre abbia mai guardato un’altra donna con lo stesso amore che ha avuto per mia madre. Ed è impossibile immaginare – perfino per me, che posso immaginare di tutto – che mia madre, neppure nei suoi sogni, abbia mai avuto un altro uomo… è impossibile! Li ho conosciuti entrambi; erano molto intimi, vicinissimi l’uno all’altro, e così appagati, sebbene fossero molto poveri… poveri eppure ricchi! Erano ricchi , nella loro povertà, grazie all’intimità, grazie all’amore che avevano l’uno per l’altro.
Fortunatamente non li vidi mai litigare. Dico “fortunatamente”, perché è difficilissimo trovare un marito e una moglie che non litighino. Dio solo sa quando ebbero il tempo di fare all’amore, o forse neppure lui lo sa. Dopo tutto, anche lui si deve preoccupare di sua moglie… soprattutto una divinità indù. Il Dio dei cristiani è in una posizione migliore: non ha moglie, non ha neppure una donna! E una donna è più pericolosa di una moglie. Una moglie potete sopportarla, ma una donna … vi fa impazzire! Una donna non la sopporti: essa ti “attrae”, mentre una moglie ti “distrae”.
Guardate il mio inglese! Mettete tutto tra virgolette, così nessuno mi fraintenderà – anche se tutti mi fraintenderanno comunque, non importa cosa facciate – provateci: mettete tutto tra virgolette: la moglie ti “distrae”, la donna ti “attrae”.
Non ho mai visto mio padre e mia madre litigare, neppure punzecchiarsi. La gente parla di miracoli, io ne ho visto uno: mia madre non punzecchiò mai mio padre. È un miracolo: per secoli la donna è stata dominata dall’uomo, per cui ha studiato dei sottili stratagemmi. La donna punzecchia: è una forma di violenza mascherata: Io non ho mai visto mio padre e mia madre in lotta.
Quando mio padre morì, mi preoccupai per mia madre. Non potevo credere che riuscisse a sopravvivere. Si erano amati così tanto, da essere quasi diventati un solo essere. È sopravvissuta solo perché ama anche me.
Mi sono sempre preoccupato per lei. Ho voluto che vivesse vicino a me, così che morisse assolutamente appagata. Ora ne sono certo. L’ho vista, ho visto dentro di lei e vi posso dire – e per vostro tramite un giorno il mondo lo saprà – che si è illuminata. Io ero il suo ultimo attaccamento. Ora non ne ha più nessuno: è illuminata, priva di cultura, semplice, non sa neppure cosa sia l’illuminazione. Questa è la cosa bella!
Si può essere illuminati senza sapere cosa sia l’illuminazione come si può conoscere l’illuminazione nei dettagli e non essere illuminati.
Scelsi questa coppia. Due semplici abitanti di villaggio. Avrei potuto scegliere re e regine. Potevo farlo: avevo a disposizione ogni tipo di ventre, ma i miei gusti sono semplici: mi accontento sempre del meglio. Quella coppia era povera, poverissima. Non ci crederete, ma mio padre possedeva solo settecento rupie, il che vuol dire settante dollari. Non aveva altro, tuttavia lo scelsi come padre. Aveva una ricchezza che gli occhi non possono vedere, una regalità invisibile. Molti di voi l’hanno conosciuto e devono aver percepito la sua bellezza. Era semplice, molto semplice, l’avreste definito un semplice contadino, ma era ricchissimo. Non da un punto di vista mondano, ma se esiste un punto di vista ultramondano…
Possedeva solo settanta dollari. E io non lo sapevo, lo seppi più tardi, quando stava per fallire… era felicissimo! Per cui gli chiesi: “Dada…”, lo chiamavo così: “dada” vuol dire padre… “Dada, presto fallirai, tuttavia sei così allegro. Cosa significa? Quello che si dice in giro non è vero?”
Mi spiegò: “No, è tutto vero. Il fallimento è inevitabile, ma sono felice perché ho salvato settecento rupie. Ed è tutto ciò con cui ho iniziato: ti mostrerò dove sono!”
E me le mostrò, dicendo: “Non ti preoccupare. Ho iniziato con settecento rupie, non possediamo altro: lasciamo che tutto vada a rotoli. Ciò che ci appartiene è nascosto qui, e tu sai dove… sei il maggiore dei miei figli, ricordati di questo luogo!”
E io lo conosco… non ne ho mai parlato a nessuno, né lo farò mai, anche se lui fu tanto generoso da mostrarmi il suo segreto: io non sono suo figlio, né lui è mio padre. Lui è se stesso, io sono me stesso.
“Padre” e “Figlio” non sono che formalità.
Quelle settecento rupie sono ancora sotterrate da qualche parte, e ci resteranno, a meno che non vengano trovate per caso da qualcuno. Gli dissi: “ Anche se tu mi hai mostrato questo posto, io non l’ho visto”.
Chiese: “Cosa Vuoi dire?”
Gli dissi: “È semplice. Non lo vedo, né lo voglio vedere. Non c’è eredità che mi riguardi, che sia piccola o grande, ricca o povera”.
Ma da parte sua fu un padre amorevole: Da parte mia, non sono un buon figlio, chiedo scusa!
Era un padre amorevole. Quando lasciai la mia cattedra universitaria, solo lui si preoccupò. Nessuno dei miei amici si preoccupò per me: a chi poteva importare? In realtà molti di loro furono felici, perché avevo lasciato libera una sedia… e loro potevano averla per sé, si fecero sotto di corsa… solo mio padre si preoccupò per me, e io gli dissi che no c’era nulla di cui preoccuparsi.
Ma le mie parole non servirono a molto. Acquistò una grossa proprietà , senza dirmi nulla, perché sapeva che se me lo avesse detto, glielo avrei impedito. Vi costruì una casetta bellissima per me, proprio come mi sarebbe piaciuta. E vi stupirà: c’era perfino l’aria condizionata e tutti i comfort più moderni.
Era vicino al mio villaggio, con un giardino sulla riva del fiume, e dei gradini che portavano all’acqua, così che potessi nuotare… aveva alberi molto vecchi ed era circondata da un silenzio assoluto, nessuno abitava lì vicino, per chilometri.
Ma non mi disse mai nulla.
È un bene che il mio povero padre sia morto, altrimenti gli avrei creato difficoltà. Ma lui ebbe sempre un amore e una compassione incredibili per un figlio vagabondo come me.
Io sono un vagabondo. Non ho mai fatto nulla per la famiglia. Non mi devono assolutamente nulla: hanno fatto di tutto per me! E io ho scelto questa coppia non senza delle buone ragioni… il loro amore, la loro intimità, la loro quasi unità. E fu così che, dopo settecento anni , tornai ad entrare in un corpo.
La mia infanzia fu d’oro. Di nuovo, non sto usando un cliché. Tutti parlano di una infanzia dorata, anche se non è vero. La gente crede di aver avuto un’infanzia d’oro solo perché la loro gioventù è marcia, e ancor più marcia è la loro vecchiaia. Naturalmente la loro infanzia diventa “d’oro”.
La mia infanzia non fu d’oro in questo senso. La mia gioventù fu diamantina, e se mai invecchierò la mia vecchiaia sarà di platino! Ma di certo la mia infanzia fu aurea: non è un simbolo, fu d’oro puro! Non in senso poetico, ma di fatto, nel vero senso della parola.
Per i primi anni vissi con i genitori di mia madre. Furono anni indimenticabili. E se mai raggiungerò il paradiso di Dante, mi ricorderò sempre di quegli anni. Un piccolo villaggio, della povera gente, ma mio nonno – il padre di mia madre – era un uomo generoso. Era povero, ma ricco di generosità. Dava a tutti, tutto ciò che aveva. Da lui ho imparato ad essere generoso, lo devo ammettere. Non l’ho mai visto dire di no ad un mendicante o a chiunque gli chiedesse qualcosa.
Chiamavo “Nana” il padre di mia madre, così viene chiamato in India. E Chiamavo “”Nani” la madre di mia madre. E chiedevo sempre a mio nonno : “Nana, dove hai trovato una donna così splendida?”
Mia nonna sembrava greca più che indiana. Quando vedo Mukta che ride, mi ricordo di lei. Forse per questo ho uno spazio particolare nel mio cuore per Mukta, non le posso mai dire di no. Anche quando mi chiede qualcosa che non va bene, dico sempre di sì. Quando la vedo , subito mi ricordo la mia Nani. Forse in lei c’era del sangue greco: nessuna razza può pretendere di essere pura. In particolare gli Indiani: unni, mongoli, greci, e molti altri popoli assalirono, conquistarono e dominarono l’India, si mischiarono col sangue indiano, e questo in mia nonna era evidente. Non aveva caratteri indiani, sembrava greca, ed era una donna molto forte.
Il mio Nana morì quando Nani aveva circa cinquant’anni, e lei era ancora sanissima, visse fino a ottant’anni. E anche allora nessuno si aspettava che morisse. Le promisi che sarei andato a trovarla, quando fosse morta. E quando morì, nel 1970, io dovetti mantenere la mia promessa. Nei primi anni della mia vita conobbi la mia Nani come mia madre; sono gli anni della formazione. E vi stupirà sapere che conobbi un’altra donna, come madre, ma ne parlerò più avanti. Questo incontro è dedicato ala mia Nani. Mia madre venne in seguito, quando ormai ero cresciuto, ero formato in un certo modo, e in questa formazione mia nonna mi fu di immenso aiuto.
Mio nonno mi amava, ma non poté aiutarmi molto. Mi amava moltissimo, ma per essere d’aiuto è necessario molto di più: occorre una certa forza. E lui era intimorito da mia nonna. In un certo senso era un marito impacciato, bistrattato dalla moglie. Quando devo dire la verità, non mi fermo mai: mi amava, mi aiutava… ma cosa posso farci se era un uomo succube della moglie? Il novantanove per cento dei mariti lo sono, per cui non c’è nulla di male.
Ricordo un incidente di cui non ho mai parlato. Era una notte buia. Pioveva e in casa entrò un ladro. Ovviamente mio nonno si spaventò, tutti ce ne accorgemmo, ma lui finse di non aver paura, e fece del suo meglio.
Il ladro si era nascosto in un angolo, dietro ad alcuni sacchi di zucchero… mio nonno, che era un mangiatore accanito di pan, la foglia del betel, iniziò a masticare pan e a sputarla addosso al povero ladro, nascosto in un angolo. Io osservavo questa scena disgustosa e dissi a mia nonna, con la quale ero solito dormire: “Non è giusto. Anche se è un ladro, ci dovremmo comportare con educazione… sputare? O lotta con lui, oppure smette di sputargli addosso!”
Mia nonna mi chiese: “Cosa vorresti fare?”
Dissi: ”Andrei a schiaffeggiare il ladro e lo sbatterei fuori!” Allora non avevo più di nove anni.
Mia nonna rise e disse: “Va bene, verrò con te, potresti aver bisogno d’aiuto”. Era una donna molto alta. Mia madre non le assomiglia affatto, né per bellezza fisica, né per forza spirituale. Mia madre è semplice,; mia nonna era mossa da spirito d’avventura. Mi seguì.
Ero sconvolto! Non potevo credere a ciò che vedevo: il ladro non era altri che il mio tutore! Lo picchiai fortissimo, soprattutto perché era il mio insegnante. Gli dissi: “Se fossi stato un semplice ladro ti avrei perdonato, ma tu mi hai insegnato grandi cose, e poi di notte ti abbassi a fare questo? Ora vattene, scappa più veloce che puoi prima che mia nonna ti prenda, altrimenti ti stritolerà!”
Era una donna alta, forte, grande e bella. Mio nonno era piccolo e mingherlino. Ma vissero di buon accordo. Lui non lottò mai con lei – non poteva – per cui non ebbero mai difficoltà.
Ricordo quell’insegnante, era il pundit del villaggio, che mi faceva da tutore. Era anche il prete del tempio del villaggio. Protestò: “Guarda i miei vestiti, tuo nonno me li ha rovinati, sputandomi addosso!”
Mia nonna rise e disse: “Torna domani, e ti darò dei vestiti nuovi”. E lo fece! Lui non venne , non osò, ma lei andò a casa sua e mi portò con sé. Gli disse: “È vero, mio marito è stato tremendo nel rovinarti i vestiti. Non sta bene! E quando avrai bisogno di abiti nuovi, puoi sempre venire da me”.
Quell’insegnante non tornò mai più a farmi da tutore… non che gli fosse proibito, ma non osò. Non solo smise di venire a farmi lezione, , smise di passare per la strada in cui abitavamo. Ma io mi impuntai e ogni giorno andavo a casa sua e sputavo di fronte alla sua casa, per ricordargli quella notte. Gli urlavo: “Hai dimenticato? E tu mi hai sempre detto di essere onesto, di dire il vero, di essere buono. Tutte stronzate!” Ancor oggi vedo i suoi occhi fissi a terra, era incapace di rispondermi.
Mio nonno volle che i più grandi astrologi indiani facessero la mia carta astrologica. Sebbene non fosse molto ricco – che dire molto ricco, non era neppure ricco, era però la persona più ricca di tutto il villaggio – era disposto a pagare qualsiasi prezzo per la mia carta astrologica. Fece un lungo viaggio fino a Varanasi e là si incontrò con gli uomini più famosi.
Scrutando tra gli appunti e le date che mio nonno aveva portato, il più famoso tra quegli astrologi disse: “Mi spiace, posso stendere una carta astrologica solo per i primi sette anni. Se il bambino sopravviverà, farò un’altra carta senza sovrapprezzo, ma non penso che vivrà più a lungo. Se ci riuscisse sarebbe un miracolo, perché a quel punto avrà la possibilità di diventare un Buddha”.
Mio nonno torna a casa piangente. Non l’avevo mai visto piangere. Gli chiesi cosa avesse. Rispose: “Devo aspettare fino a quando avrai sette anni. Chissà se sopravviverò fino ad allora? Chissà se l’astrologo sarà ancora vivo, è già così vecchio… e sono un po’ preoccupato per te”. “Come mai? 2, chiesi. Mi spiegò: “Non mi preoccupa il fatto che tu possa morire, ma che tu possa diventare un Buddha”. Scoppiai a ridere, e tra le lacrime anche lui si mise a ridere, poi mi disse: “È strano che io mi sia preoccupato. Che male c’è ad essere un Buddha?”
Quando mio padre sentì ciò che gli astrologi avevano detto a mio nonno, mi portò di persona a Varanasi, ma di questo parlerò più avanti.
Quando compii sette anni, un astrologo venne al villaggio di mio nonno, per cercarmi. Quando uno splendido cavallo si fermò difronte alla nostra casa, noi tutti corremmo fuori… il cavallo aveva un aspetto così regale. E il cavaliere altri non era che il famoso astrologo che mio nonno aveva incontrato. Mi disse: “Dunque, sei ancora vivo? Ho fatto la tua carta astrologica. Ero preoccupato, perché le persone come te non sopravvivono a lungo”.
Mio nonno vendette tutti i suoi ori, solo per dare una grande festa a cui partecipò tutto il villaggio, per festeggiare il fatto che io sarei diventato un Buddha, anche se io non credo che egli abbia mai compreso il significato della parola “buddha”.
Era un giainista e forse non l’aveva mai sentita prima. Ma era felice, incredibilmente felice… ballava, solo perché io sarei diventato un Buddha. E in quel momento io non potevo credere che fosse tanto felice per quella sola parola “buddha”.
Quando tutti se ne furono andati gli chiesi: “Cosa significa ‘buddha?’” mi rispose: “Non lo so, suona bene! Inoltre, io sono giainista. Cercheremo di scoprirlo da qualche buddhista!”
In quel villaggio non ce n’erano, ma lui mi disse: “Un giorno, quando un bhikku passerà di qui, capiremo cosa significa” Ma lui era felicissimo, solo perché l’astrologo aveva predetto che sarei diventato un Buddha. E mi disse: “Penso che ‘buddha’ voglia dire ‘una persona molto intelligente’.” In hindi buddhi significa intelligenza, per cui lui pensò che “buddha2 volesse dire “una persona intelligente”.
Ci andò vicino, quasi ci azzeccò. È un peccato non sia vivo, altrimenti avrebbe visto cosa significa essere un Buddha: non per averlo letto su un dizionario, ma per aver incontrato un essere risvegliato vivente. Posso vederlo danzare, vedendo che suo nipote è diventato un Buddha. Questo sarebbe bastato per fare di lui un illuminato! Ma è morto.
La sua morte fu una delle esperienze più intense che io abbia vissuto… ma ne parlerò più avanti.
Che ore sono?
“Le otto e mezzo, Bhagwan”.
Bene, lasciatemi dieci minuti per me… è ora di smettere, ma è stato meraviglioso e vi sono riconoscente. Grazie.
Osho: Bagliori di un'infanzia dorata
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