domenica 16 agosto 2020

Furono anni intensi, travolgenti

1.     

 

Di nuovo e sempre, il miracolo del mattino… il sole e gli alberi. Il mondo è simile ad un fiore di neve: prendilo tra le mani e si scioglie. Non resta nulla, tranne una mano umida. Per cui, se lo vedi, limitati a guardarlo… allora un fiore di neve sarà bello, come qualsiasi altro fiore al mondo. E questo miracolo  accade ogni mattino, ogni pomeriggio, ogni sera, ogni notte, ventiquattro ore su ventiquattro, giorno dopo giorno… il miracolo.

E la gente continua ad adorare Dio nei templi, nelle chiese, nelle moschee e nelle sinagoghe. Il mondo deve essere pieno di folli… mi scuso, non di folli ma di idioti, sono inguaribili, sono dei ritardati mentali incredibili! Perché andare al tempio, per cercare Dio? Non è forse qui e ora?

È il concetto di ricerca ad essere idiota. Si ricerca qualcosa che è lontano, e Dio è vicinissimo, più vicino del battito del tuo cuore. Quando ad ogni istante vedo il miracolo, resto meravigliato: come è possibile tanta creatività? È possibile solo perché non esiste un creatore. Se esistesse un creatore, si avrebbe ogni lunedì , lo stesso lunedì, perché il creatore creò il mondo in sei giorni, e non lo riprese più in mano.! Non esiste un creatore, esiste solo energia creativa: energia in milioni di forme, che si fondono, si incontrano, appaiono, scompaiono, si uniscono e si lasciano.

Per questo dico che il prete è la persona più lontana dalla verità, e un poeta quella più vicina. Certo, neppure il poeta l’ha raggiunta. Solo il mistico la raggiunge… “raggiungere” non è la parola giusta: diventa la verità, o meglio scopre di esserlo sempre stato.

La gente mi chiede: “Credi nell’astrologia, nella religione… in questo e quest’altro?” Io non credo in nulla, perché so. E questo mi ricorda la storia che vi raccontavo ieri… quando il vecchio astrologo arrivò, mio nonno non poté credere ai suoi occhi. Questi era così famoso che perfino i re si sarebbero stupiti, se fosse andato a palazzo a trovarli, eppure era venuto alla casa di mio nonno… la si deve chiamare casa, ma non era sontuosa, erano quattro semplici mura tenute insieme col fango, neppure il bagno era una stanza a sé.

Eppure era venuto a trovarci, e subito io feci amicizia con lui. Guardandolo negli occhi, sebbene avessi solo sette anni, e non sapessi leggere… potei leggere nei suoi occhi, per questo non è necessaria nessuna istruzione, e gli dissi: “È strano che tu abbia viaggiato tanto, solo per tracciare la mia carta astrologica”.

In quei giorni, ma ancor oggi, Varanasi è lontanissima da quel piccolo villaggio. E quel vecchio mi rispose: “L’avevo promesso, e una promessa va mantenuta”. E il modo in cui lo disse mi entusiasmò: di fronte a me c’era un uomo vivo!

Gli dissi: “Se tu sei venuto per mantenere la tua promessa, io posso predire il tuo futuro”.

Si stupì: “Cosa? Tu puoi predirmi il futuro?”

“Certo”, risposi. “Sono sicuro che non diventerai un Buddha, ma diventerai un bhikku, un sannyasin”. Così si chiamano i sannyasin buddhisti.

Rise e disse: “È impossibile!”

Proseguii: “puoi scommetterci”.

“Va bene, quanto?”

Gli dissi: “Non importa. Puoi scommettere tutto ciò che vuoi, perché se io vinco, vinco; se perdo, non perdo nulla, in quanto non ho nulla. Stai giocando con un bambino di sette anni. Non lo vedi? Io non ho nulla”.

Vi stupirà sapere che ero lì, ritto in piedi, nudo. In quel povero villaggio non era proibito, per lo meno ai bambini, di andare in giro nudi. Non era un villaggio all’inglese!

Ancora riesco a vedermi, ritto di fronte all’astrologo, nudo. E tutto il villaggio si era riunito, e tutti ascoltavano cosa stessimo tramando.

Il vecchio disse: “Va bene, se diventerò un sannyasin, un bhikku”, e mi mostrò il suo orologio d’oro da tasca, tempestato di diamanti, “ti regalerò questo. Ma se perdi tu?”

“Perderò e basta. Non ho nulla, non ho nessun orologio d’oro da darti. Mi limiterò a ringraziarti”.

Rise e partì.

Io non credo nell’astrologia: per il novantanove per cento si tratta di semplici assurdità, ma per l’uno per cento è pura verità. Un uomo di intuito, in grado di percepire, un uomo puro, di certo può leggere nel futuro, perché non è inesistente, è semplicemente nascosto alla nostra vista. Forse un leggero velo di pensieri  è tutto ciò che divide il presente dal futuro.

In India, la moglie si copre il volto con un ghoonghat. È una parola difficile da tradurre: è una semplice maschera. Si tira il sari sul volto. Allo stesso modo il futuro ci è nascosto: è un semplice ghoonghat, un semplice velo. Io non credo nell’astrologia, e mi riferisco a quel novantanove per cento. Il restante uno per cento non ha bisogno di fede: è vero. Ne ho la prova.

Quel vecchio fu la prima prova. Ma è strano: poté vedere il mio futuro, ovviamente in forma nebulosa, ma non poté vedere il suo. Non solo: era pronto a scommettere, quando predissi che sarebbe diventato un bhikku.

A quattordici anni, di nuovo mi trovai a Varanasi con mio nonno, il padre di mio padre. Ci era venuto per affari, e io avevo insistito per andare con lui. Sulla strada tra Varanasi e Sarnath fermai un vecchio bhikku e gli chiesi: “Vecchio, ti ricordi di me?”

Mi disse: “Non ti ho mai visto, come potrei ricordarmi di te?”

Proseguii: “Tu forse non ti ricordi, ma io ti ho riconosciuto. Dov’è l’orologio, quello d’oro tempestato di diamanti? È accaduto: ti avevo predetto che saresti diventato un bhikku, ed eccoti qui! Dammi l’orologio”.

Rise, dalla tasca tirò fuori l’orologio, me lo diede con le lacrime agli occhi, e – ci credereste? – mi toccò i piedi.

Lo fermai: “No, no. Sei un bhikku, un sannyasin, non mi puoi toccare i piedi”.

Disse: “Perché no? Hai dimostrato di essere un astrologo migliore di me: lascia che ti tocchi i piedi”.

Regalai quell’orologio al mio primo sannyasin: si chiamava Ma Anand Madhu, ovviamente era una donna, perché io volli che fosse così. Nessuno ha mai iniziato le donne al sannyas come ho fatto io. Non solo: volli iniziare una donna come mia prima sannyasin, solo per rimettere le cose in ordine e in equilibrio.

Prima di dare il sannyas ad una donna, Buddha esitò… perfino Buddha! È la sola cosa nella sua vita che mi abbia ferito: Buddha che esita… Perché? Aveva paura che le donne sannyasin distraessero i suoi seguaci. Che assurdità! Un Buddha che ha paura di rischiare! E lasciamo che quegli sciocchi si distraggano, se lo vogliono!

Mahavira disse che nessuno, in un corpo di donna, poteva conseguire il nirvana, la liberazione suprema. Io dovetti espiare la colpa di tutti questi uomini… Maometto non permise mai a nessuna donna di entrare in una moschea. E neppure oggi è permesso loro l’ingresso in una moschea. E anche nella sinagoga, le donne siedono in galleria, mai in mezzo agli uomini.

Indira Gandhi  mi raccontava che quando visitò Israele, a Gerusalemme sia lei che il primo ministro israeliano vennero fatte sedere in galleria, mentre gli uomini stavano seduti in basso. Non poteva capire che perfino al primo ministro israeliano, poiché era una donna, non fosse permesso l’ingresso nella sinagoga: poterono solo fare da spettatrici.

Non è un segno di rispetto, è molto insultante… e io ora devo presentare le mie scuse a nome di Maometto, Mosè, Mahavira, Buddha, e anche per Gesù, in quanto pure lui scelse una sola donna tra i suoi dodici apostoli. Eppure, quando morì sulla croce, nessuno di quei dodici sciocchi era presente. Rimasero solo tre donne: Maddalena, Maria e la sorella di Maddalena, ma neppure queste tre donne vennero scelte da Gesù tra i suoi pochi prediletti. E tutti i suoi prediletti si erano dati alla fuga! Magnifico! Cercavano di salvare la propria vita. Nell’ora del pericolo solo le donne si presentarono.

Io devo chiedere scusa al futuro per tutta questa gente: e il mio primo gesto di scusa fu di dare il sannyas ad una donna. Vi divertirà conoscere la storia nei dettagli…

Il marito di Anand Madhu, ovviamente, volle essere iniziato per primo. Accadde sull’Himalaya, mentre tenevo un campo di meditazione a Manali. Mi rifiutai, e dissi al marito di Madhu: “Puoi essere solo il secondo, non il primo”.

Era così in collera che lasciò immediatamente il campo. Non solo, divenne mio nemico e si unì a Morarji Desai. Più tardi, quando Morarji Desai divenne primo ministro, quest’uomo cercò con ogni mezzo di convincerlo ad arrestarmi. Ma Desai non ha quel coraggio: non lo può avere, visto che beve la propria urina. È folle… di nuovo, mi scuso… è un idiota. “Folle” è un termine che riservo solo a Geet Bharti, gli spetta di diritto.

Anand Madhu è ancora sannyasin. Vive sull’Himalaya, in silenzio, non parla mai. E da allora mi sono sforzato di portare quanto più possibile le donne in primo piano. E a volte agli uomini sembra che io sia ingiusto: non lo sono, sto solo riportando un equilibrio. E dopo secoli di sfruttamento maschile, non è un compito facile.

La prima donna che amai fu mia suocera. Vi stupirà: sono forse sposato? No, non lo sono. Ma quella donna era la madre di Gudia, e per scherzo io la chiamavo “suocera”. Me ne sono ricordato dopo tanti anni: la chiamavo mia suocera perché amavo sua figlia Gudia, e parlo della sua vita precedente a questa.

Anche quella donna era incredibilmente forte, proprio come mia nonna. Mia suocera era una donna rara, specie in India. Lasciò il marito e andò in Pakistan, dove sposò un mussulmano, sebbene fosse di casta brahmina. Sapeva osare. Ho sempre apprezzato questa qualità, perché più osi, più ti avvicini a casa. Ricordate: solo i temerari diventano Buddha! I calcolatori possono avere un buon conto in banca, ma non potranno mai diventare Buddha.

Sono riconoscente all’uomo che predisse il mio futuro solo quando compii i sette anni. Che uomo! Aspettare che io compissi sette anni per fare la mia carta astrologica: che pazienza! Non solo: venne al mio villaggio da Varanasi, a cavallo, perché non c’erano strade né ferrovia.

E quando lo incontrai sulla strada per Sarnath e gli dissi che avevo vinto la scommessa, subito mi diede l’orologio, dicendo: “Ti avrei dato il mondo intero, ma non ho altro. In realtà, non dovrei avere neppure questo orologio, ma l’ho conservato per te: sapevo che ci saremmo incontrati. E quando divenni un bhikku, non mi venne in mente Buddha ma tu, un bambino di sette anni, nudo, che prevedeva il futuro a uno dei più famosi astrologi del paese. Come hai fatto?”

Risposi: “Non lo so. Ti ho guardato negli occhi e ho visto che nulla di quanto questo mondo potesse darti, ti avrebbe soddisfatto. Ho visto questa scontentezza divina: un uomo diventa sannyasin solo quando sente quella scontentezza divina”.

Non so se quel vecchio è ancora vivo. Forse no, altrimenti mi avrebbe cercato e trovato.

Ma per il villaggio quel momento fu il più bello che avesse mai vissuto, la gente ancora parla di quel banchetto. Di recente un abitante di quel villaggio mi è venuto a trovare: “Ancora parliamo del banchetto che tuo nonno diede”, mi ha detto. “Al villaggio non era mai successo nulla di simile, né è mai più successo in seguito”. Io mi divertii nel vedere tanta gente divertirsi.

Il cavallo bianco mi piacque, e sarebbe piaciuto anche a Gudia. Me li mostrava sempre, per strada: “guarda”, mi diceva, “che bel cavallo!”

Ho visto molti cavalli, ma nessuno assomigliava a quello del vecchio astrologo. Ho visto i cavalli più belli dell’India, ma ancora ricordo quel cavallo come il più bello. Forse a causa della mia infanzia. Forse non riuscivo a paragonarli, ma credetemi: quel cavallo era meraviglioso! Era fortissimo, deve aver avuto la forza di otto cavalli vapore!

Quei giorni erano aurei. Ancora posso veder scorrere davanti a me, come in un film, tutto ciò che accadde in quegli anni. È incredibile che io potessi mai interessarmi…

No… Yashu Barthi sta guardando il suo orologio. È troppo presto! Rilassati, non imitare la pubblicità della Canada Dry, non essere così arida. Guardare l’orologio in un momento come questo: non sai cosa hai disturbato, non è un semplice “plop”!

Cosa dicevo…? Quei giorni erano aurei. In quei nove anni accadde di tutto, di nuovo posso vedere ogni cosa scorrere davanti a me come in un film.

Bene, il film è tornato, nonostante Yashu Barthi e il suo orologio…

Certo era l’età dell’oro. Anzi, più aurea ancora, perché mio nonno non solo amava me, amava anche tutto ciò che facevo. E io feci qualsiasi cosa potreste definire “disturbare”.

Ero un disturbo vivente. Tutto il giorno mio nonno doveva ascoltare gente che veniva a lamentarsi di me, e si divertiva. Questo lo rendeva un uomo meraviglioso. Non mi punì mai. Mai una sola volta mi disse: “Fai questo,” oppure “così non si fa”! Mi lasciò fare: mi permise in modo assoluto di essere me stesso. E fu così che, senza saperlo affatto, potei gustare il Tao.

Lao Tzu dice: “Il Tao è la via dell’acqua che scorre. L’acqua si limita a scorrere ovunque la terra glielo permetta”. E quei primi anni furono così, per me: mi venne concesso di essere… penso che ogni bambino abbia bisogno di anni come quelli. Se potessimo dare anni simili ad ogni bambino del mondo, potremmo dar vita ad un mondo aureo!

Furono anni intensi, travolgenti! Accaddero un’infinità di cose, mille fatti che non ho mai raccontato a nessuno…

Ero solito andare a nuotare nel lago. Ovviamente mio nonno aveva paura. E metteva sempre uno strano uomo su una barca, perché mi sorvegliasse. Non potete concepire cosa sia “una barca” in un villaggio così primitivo: è chiamata dongi. È un semplice tronco scavato, ed è rotonda. E questo la rende pericolosa: se non sei pratico, non la puoi condurre. Ti puoi ribaltare in ogni istante. Basta un minimo squilibrio e sei finito: è pericolosissima.

Ho imparato il senso dell’equilibrio governando un dongi. Nulla potrebbe essere più utile. Ho appreso “la via di mezzo” , perché devi restare esattamente nel mezzo: se ti sposti da un lato o dall’altro, sei finito. Non puoi neppure respirare, e devi restare in assoluto silenzio: solo così puoi governare il dongi.

Definisco strano l’uomo che doveva sorvegliarmi perché si chiamava Bhoora, che vuol dire “uomo bianco”. Era il solo bianco nel nostro villaggio. Non era europeo, eppure non sembrava un indiano. Probabilmente sua madre aveva lavorato nell’esercito inglese e là era rimasta incinta. Per questo nessuno sapeva il suo nome, e tutti lo chiamavano Bhoora, l’uomo bianco.

Era un uomo che colpiva l’attenzione. Fin dall’infanzia lavorava per mio nonno, e sebbene fosse un servo, era trattato come uno della famiglia. E lo definisco strano, anche perché tra tutti gli uomini  che ho conosciuto, non ne ho mai incontrato nessuno che gli assomigliasse:  era un uomo di cui ci si può fidare. Gli potevi dire qualsiasi cosa, e l’avrebbe tenuta segreta per sempre.

Lo venimmo a sapere solo quando mio nonno morì. Aveva dato a Bhoora tutte la chiavi e l’amministrazione dell’intera casa e dei terreni. E non appena arrivammo a Gadawara la mia famiglia chiese al più devoto tra i servi di mio nonno : “Dove sono le chiavi?”

Lui rispose: “Il mio padrone mi ha detto di non mostrare quelle chiavi a nessun altro che a lui. Mi dovete scusare, ma se non è lui  a chiedermele, non ve le posso dare”, e non ci diede mai quelle chiavi, per cui non sappiamo dove siano tenute nascoste.

Molti anni dopo, ancora vivevo a Bombay, il figlio di Bhoora venne a trovarmi e mi diede le chiavi, dicendomi: “Ti abbiamo aspettato a lungo, ma non sei mai venuto. Ci siamo presi cura della terra e dei raccolti, e abbiamo tenuto da parte i soldi ricavati”.

 

Gli ridiedi le chiavi e gli dissi: “Ora tutto vi appartiene. La casa, i campi e il denaro: sono vostri. Mi spiace di non averlo capito prima, ma nessuno di noi ha voluto ritornare per non soffrire lo stesso dolore”.

Che uomo! Ma uomini simili esistevano sulla terra. Pian piano stanno scomparendo, e alloro posto trovi furbi di ogni risma. Quegli uomini erano il sale della terra: definisco Bhoora “strano”, perché vivere in un mondo di scaltri ed essere semplici è strano. Significa essere uno straniero, non essere di questo mondo.

Mio nonno aveva tutta la terra che desiderava, perché in quegli anni, in quella regione dell’India, la terra era gratuita. Si doveva soltanto andare all’ufficio governativo della capitale e chiederla. Questo era sufficiente perché ti venisse concessa. Noi avevamo quattordici acri di terra coltivata e curata da Bhoora.

Quando mio nonno si ammalò, Bhoora disse che non sarebbe riuscito a sopravvivere senza di lui. Erano diventati così intimi. E quando stava per morire, portammo mio nonno da Kutchwada a Gadawara, perché nel villaggio non c’era un’assistenza per i malati… la casa di mio nonno era la sola in muratura dell’intero villaggio.

Quando lasciammo Kutchwada Bhoora lasciò le chiavi ai figli. Lungo la strada per Gadawara, mio nonno morì, e a causa dello shock, la mattina successiva Bhoora non si sveglò: morì nella notte.

Mia nonna, mia madre e mio padre non vollero più tornare a Kutchwada, avremmo sofferto troppo perché mio nonno era stato un uomo meraviglioso.

Il figlio di Bhoora ha circa la mia età. E solo pochi anni fa mio fratello Nikalanka e Chaitanya Bharti sono tornati a fare alcune fotografie alla casa e allo stagno. Per la casa in cui sono nato, oggi chiedono un milione di rupie, sapendo che un mio discepolo vorrebbe acquistarla. Un milione! Vuol dire centomila dollari. E lo sapete? Quando mio nonno morì, valeva trenta rupie, a dir tanto: ci saremmo stupiti se qualcuno l’avesse voluta acquistare.

È una regione molto primitiva. E proprio per questo aveva qualcosa che oggi manca all’uomo, nel mondo intero. Anche l’uomo ha bisogno di essere un po’ primitivo, almeno, una volta ogni tanto. Una foresta, una giungla, o almeno… un oceano… un cielo colmo di stelle.

L’uomo non si dovrebbe preoccupare solo del suo conto in banca: è la cosa più orribile che esista. Vuol dire che quell’uomo è morto! Seppellitelo! Celebrate! Bruciatelo! Danzate al suo funerale! Il conto in banca no fa l’uomo: un uomo, per essere tale, deve essere naturale come lo sono le colline, i fiumi, le rocce, i fiori…

Mio nonno non solo mi aiutò a conoscere l’innocenza, la vita, mi aiutò anche a conoscere la morte. Morì sulle mie ginocchia… ma di questo parlerò in seguito.

Osho: Bagliori di un'infanzia dorata

 

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