domenica 23 agosto 2020

Io non faccio nulla

1.   

 

Vi stavo raccontando di quando incontrai l’astrologo che era diventato sannyasin…

A quell’epoca avevo quattordici anni, e stavo con l’altro nonno, il padre di mio padre. Il mio vero nonno era morto quando avevo solo sette anni. E il vecchio bhikku, l’ex-astrologo, mi chiese: Faccio l’astrologo di professione e per hobby leggo la mano, le linee della testa, dei piedi… ma tu, come hai potuto dirmi che sarei diventato un sannyasin? Io non ci avevo mai pensato: Sei stato tu a gettare in me quel seme, e da allora non ho pensato ad altro: come hai fatto?”

Alzai le spalle. Perfino oggi, se qualcuno mi chiede “come faccio”, posso solo alzare le spalle, perché io non faccio nulla: mi limito a lasciare che le cose siano. Si deve solo imparare l’arte di precedere gli eventi, e la gente penserà che tu agisca su di loro. Ma non esiste azione, in particolare nel mondo che mi interessa.

Dissi a quel vecchio: “Mi sono limitato a guardarti negli occhi. Ho visto una purezza così cristallina che mi fu impossibile credere che ancora tu non fossi un sannyasin. Avresti dovuto già esserlo, era già troppo tardi”.

Da un lato il sannyas accade sempre troppo tardi, e da un altro, è sempre troppo presto… e le due cose sono vere, allo stesso tempo.

Ora toccò al vecchio fare spallucce: “Mi confondi”, disse. “Come possono i miei occhi averti fatto intuire?”

Dissi: “Se gli occhi non permettessero di intuire, l’astrologia non potrebbe esistere”.

Di certo la parola astrologia è in rapporto con le stelle, non con gli occhi. Ma un cieco può vederle? Per vedere le stelle devi avere gli occhi.

Dissi a quel vecchio: “L’astrologia non è la scienza delle stelle, ma del vedere: vedere le stelle anche in pieno giorno”.

Ogni tanto accade… quando il Maestro colpisce il discepolo sulla testa. Yashu Bharti, ti ricordi stamattina, quando guardavi il tuo orologio, e io ti ho colpito in testa con una bottiglia di Canada Dry? Te lo ricordi? Stamane ti è sfuggito: ecco cosa vuol dire conoscere l’astrologia. Ne hai avuto una prova stamattina, e non credo guarderai più il tuo orologio.

Eppure, ti prego: non smettere di guardarlo, così potrò continuare a colpirti. Quello era solo un inizio. Altrimenti, quando potrai esplodere nel tuo essere interiore? Perdonatemi, ma datemi sempre l’opportunità di colpirvi. Sono sempre pronto a chiedervi di essere perdonato, ma non sono mai pronto a dire che non vi colpirò più. Di fatto, la prima volta è solo un preparativo per la seconda, per un colpo più profondo ancora.

È una compagnia strana la nostra. Io sono un vecchio ebreo. Un proverbio dice: “Un ebreo resta sempre ebreo”. E io sono stato ebreo, un tempo, e riconosco la verità di quel proverbio. Ancora sono ebreo, e di fianco a me siede un ebreo al cento per cento: Geet Bharti, e vicino ai miei piedi siede Raj Bharti, in parte ebreo. Lo si può vedere dal suo naso… altrimenti, da dove gli verrebbe un naso così bello?

E Gudia, se ancora è qui, non è affatto inglese. Anche lei è stata ebrea. E per la prima volta voglio dirvi che altri non è che Maddalena! Amò Gesù, ma se lo lasciò sfuggire. Venne crocefisso troppo presto, e una donna ha bisogno di tempo, di pazienza: Gesù aveva solo trentatré anni, età in cui si gioca al calcio, oppure, se sei un po’ più cresciuto, a trentatré anni vai allo stadio!

Gesù morì troppo presto. La gente fu troppo incrudele con lui… voglio dire, crudele. Avrei voluto che non fossero crudeli, per questo mi è uscita quella parola.

Gudia, questa volta non ti può sfuggire. Qualsiasi cosa tu faccia, e per quanto cerchi di scappare… io non sono Gesù, che potè essere crocefisso con facilità a trentatré anni. E posso essere molto paziente, perfino con una donna, cosa molto difficile… lo so: è estremamente difficile, a volte è difficilissimo. Una donna può essere una vera seccatura!

Conosco il mal di schiena: è una vera seccatura! Ma con me, seccatura o non seccatura, non importa: questa volta non potrai non comprendere. Altrimenti, ti sarà impossibile trovare ancora un uomo come me!

È facile ritrovare Gesù: la gente continua ad illuminarsi. Ma trovare un uomo come me – che ha percorso migliaia di sentieri, in migliaia di incarnazioni, ed ha raccolto, simile a un’ape, la fragranza di milioni di fiori – è difficile.

Se una persona non capisce me, forse non capirà mai. Ma io non permetterò che accada a nessuno della mia gente. Conosco tutti gli espedienti per spezzare la loro astuzia, la loro durezza, la loro furbizia. E il mondo in sé non mi interessa: mi interesso solo alla mia gente, a coloro che sono realmente alla ricerca di se stessi.

Proprio oggi ho ricevuto la traduzione di un nuovo libro, in corso di stampa in Germania. Non conosco il tedesco, per cui qualcuno ha dovuto tradurmi la parte che mi riguarda. Non ho mai riso tanto per una barzelletta, anche se questa non lo è: è un libro molto serio.

L’autore ha usato cinquantacinque pagine solo per dimostrare che sono solo “chiaro” e non illuminato! È fantastico!

E vi stupirà, ma proprio qualche giorno fa ho ricevuto un altro libro scritto da un professore olandese, membro della stessa categoria di idioti: gli olandesi e i tedeschi fanno parte della stessa categoria di persone.

A proposito, devo dirvi che Gurdjieff era solito dividere le persone in base a piani diversi. Aveva diverse categorie di idioti: quel tedesco e quell’olandese, il cui nome ho scordato, appartengono entrambi alla prima categoria… l’olandese ha dimostrato, o almeno, ci ha provato, che io sono solo illuminato, ma non sono “chiaro”.

Questi due idioti dovrebbero incontrarsi e lottare, battersi tra di loro con le loro dissertazioni!

Da parte mia, una volta per tutte, lasciate che dichiari al mondo: io non sono né “chiaro”, né “illuminato”. Sono solo un semplice essere umano, un uomo qualunque, senza aggettivi e senza lauree: le ho bruciate tutte.

Gli idioti fanno sempre la stessa domanda. È un miracolo. Tutto è diverso tra India, Inghilterra, Canada, America, Germania, ma gli idioti non cambiano: sono universali e sono ovunque. Provali ovunque essi siano, avranno lo stesso sapore.

Forse Buddha sarebbe d’accordo con me, dopo tutto ha detto: “Assaggia il Buddha ovunque, e sarà simile all’oceano, : ovunque lo assaggi, sa di sale”. Forse, come i Buddha hanno lo stesso sapore, anche i buddhu – così in indi si chiamano gli idioti – hanno lo stesso sapore. È un bene, ma purtroppo solo nelle lingue indiane, che “buddha” e “buddhu” abbiano la stessa radice, siano quasi la stessa parola.

Non mi interessa affatto che mi crediate illuminato o meno: cosa importa? Ma quest’uomo si è preso tanto a cuore il problema, che gli ha dedicato, nel suo piccolo libro, cinquanta pagine. Questo fatto rivela una cosa: quell’uomo è un idiota di prima categoria.

Io sono semplicemente me stesso. Perché mai dovrei essere illuminato? O forse, si è illuminati quando si ha l’elettricità, mentre la chiarezza dipende dalla luce di una candela?

Io non conosco la differenza: non sono né una cosa, né l’altra. Io sono luce a me stesso, non sono né illuminato né chiaro. Mi sono lasciato queste parole alle spalle. Posso vederle come polvere, depositata in lontananza sul sentiero che non percorrerò mai più: semplici orme sulla sabbia.

Questi cosiddetti professori, filosofi, psicologi… perché mai si preoccupano di un pover’uomo come me, che non si preoccupa affatto di loro? Vivo la mia vita, ed è una mia libertà viverla come voglio. Perché dovrebbero perdere il loro tempo con me? Sarebbe stato meglio se non avesse inserito quelle cinquantacinque pagine: quante ore, quante notti deve aver sprecato quel povero professore? Avrebbe potuto illuminarsi nel frattempo, o almeno avere un po’ di chiarezza. E l’olandese avrebbe potuto avere un po’ di chiarezza, o almeno illuminarsi. Entrambi avrebbero compreso: chi sono io?

In quel caso ci sarebbe stato solo silenzio.

Nulla da dire

Forse un canto

O una danza

O il semplice preparare una tazza di tè

Da bere in silenzio…

La fragranza del tè è molto più importante di qualsiasi filosofia.

Ricorda, Yashu Bharti: per questo dico che il Canada ha prodotto una sola cosa che valga la pena menzionare, e cioè la Canada Dry. Mi piace tantissimo! Tra le acque di selz di tutto il mondo, è la migliore. Ridi… puoi guardare il tuo orologio. Non serve che lo nasconda sotto la manica, o che non lo porti, per paura di guardarlo. A me non interessa sapere che ore sono. Anche quando lo chiedo, non mi importa: lo faccio solo per consolarvi. Altrimenti continuo senza fermarmi, sulla mia strada. Non sono legato al tempo: guardate quanto ci ho messo per riprendere il filo del discorso, che avevo perso…

Il padre di mia madre all’improvviso si ammalò. Ancora non era venuto per lui il tempo di morire. Non aveva più di cinquant’anni, forse ne aveva meno: forse aveva meno anni di quanti no ho io ora. Mia nonna aveva solo cinquant’anni, era al massimo della sua gioventù e della sua bellezza. Vi stupirà sapere che era nata a Khajuraho, la cittadella, la più antica cittadella dei tantrika.

Mi diceva sempre: “Quando sarai un po’ più cresciuto, non dimenticare di visitare Khajuraho”. Non credo che altri genitori darebbero mai un consiglio come questo a un bambino, ma mia nonna era una persona unica: mi convinse a visitare Khajuraho.

Khajuraho si compone di migliaia di sculture meravigliose, tutte nude e intente a fare l’amore. Ci sono centinaia di templi, molti in rovina, ma alcuni si sono conservati, forse perché furono dimenticati.

Il Mahatma Gandhi avrebbe voluto seppellire questi templi perché quelle statue, quelle sculture, sono molto eccitanti. E io fui tentato da mia nonna ad andare a Khajuraho: che nonna ho avuto! Era bellissima, sembrava una statua greca, da ogni punto di vista.

Quando Seema, la figlia di Mukta, venne a trovarmi, per un istante rimasi stupito: mia nonna aveva lo stesso volto, lo stesso colorito. Seema non sembra europea, è più scura di pelle. E il suo volto, la sua figura, , sono le stesse di mia nonna. È un peccato che sia morta, altrimenti, mi sarebbe piaciuto che seema la incontrasse. E sapete, perfino a ottant’anni era ancora bella, cosa di solito impossibile.

Quando mia nonna morì, corsi da Bombay per vederla. Perfino da morta era bella… non potevo credere che fosse morta. E all’improvviso, tutte le statue di Khajuraho divennero vive dentro di me: nel suo cadavere vidi l’intera filosofia di Khajuraho. E la prima cosa che feci, dopo averla vista, fu di tornare a Khajuraho. Era il solo modo di mostrarle il mio rispetto. E Khajuraho fu più bello che mai, perché potei vedere mia nonna ovunque, in ciascuna di quelle statue.

Khajuraho è un posto incomparabile. Nel mondo esistono migliaia di templi, ma nessuno assomiglia a questo: in questo ashram sto cercando di creare un Khajuraho vivente. Fatto non di pietra, ma di persone vive, così vive da influenzare gli altri: basta toccarle per sentire una corrente, una scossa!

Mia nonna mi ha dato molto: La cosa più importante è stata la sua insistenza a volermi far vedere Khajuraho. A quell’epoca, Khajuraho era assolutamente sconosciuto. Ma lei insistette al punto che dovetti andare. Era testarda. Forse io ho preso quella qualità da lei, voi potreste chiamarla non-qualità.

Negli ultimi vent’anni della sua vita, io viaggiai per tutta L’India. Ogni volta che andavo al villaggio mi diceva: “Ascolta: non salire su un treno in movimento, e non scendere prima che si sia fermato. Secondo: non discutere mai con nessuno, mentre sei in viaggio. Terzo: ricorda sempre che io sono viva e aspetto che tu torni a casa. Perché vagabondi per il paese quando ci sono io ad aspettarti per prendermi cura di te? Hai bisogno di attenzioni, e nessuno te le può dare come posso farlo io”.

Per vent’anni dovetti ascoltare continuamente questo consiglio. Ora le posso dire: “Non preoccuparti, almeno nell’altro mondo. Per prima cosa, non viaggio più in treno: in realtà non viaggio più! Per cui non ho il problema di salire e scendere da un treno in corsa. In secondo luogo, Gudia si prende cura di me come tu avresti voluto. In terzo luogo, ricorda come mi aspettavi mentre eri in vita, e continua ad aspettarmi. Presto verrò, tornerò a casa”.

La prima volta che andai a Khajuraho, ci andai perché mia nonna mi spinse a farlo, ma da allora ci sono stato centinaia di volte. Non esiste un altro posto al mondo, dove sia stato così tante volte. La ragione è semplice: è un’esperienza inesauribile. Più conosci, più vuoi sapere. Ogni dettaglio dei templi di Khajuraho è un mistero. Per creare ognuno di quei templi devono esserci voluti centinaia di anni e centinaia di artisti. Né ho mai incontrato nulla, oltre a Khajuraho, che potessi definire perfetto, neppure il Taj Mahal.

Il Taj Mahal ha le sue pecche, Khajuraho non ne ha nessuna. Inoltre il Taj Mahal è solo una bella architettura; Khajuraho racchiude l’intera filosofia e la psicologia dell’Uomo Nuovo.

Quando vidi quelle figure ignude… non posso dire “nude”, perdonatemi. Il nudo è pornografico, l’ignudo è un fenomeno completamente diverso. Nel dizionario sono sinonimi, ma il dizionario non è tutto: nell’esistenza esiste molto di più. Le statue sono ignude, ma non nude. E quelle bellezze ignude… forse un giorno riusciremo a realizzarle. È un sogno, Khajuraho è un sogno. E il Mahatma Gandhi avrebbe voluto seppellirlo perché nessuno venisse tentato da quelle splendide statue…!

Noi siamo riconoscenti  a Rabindranath Tagore, che impedì a Gandhi di fare una cosa simile. Disse di lasciare i templi così com’erano: era un poeta e poté capire il loro mistero.

Ho perso il conto delle mie visite a Khajuraho. Ci andavo ogni volta che avevo un po’ di tempo libero. Se ero introvabile, la mia famiglia immaginava subito che fossi là, e indovinava sempre. Quando c’ero dovevo pagare il custode perché dicesse a chi mi cercava che non c’ero. Lo confesso: quella fu la sola volta che corruppi qualcuno. Ma ne valeva la pena, e non me ne rammarico. Non mi dispiace.

Anzi, vi stupirà, ma sapete quanto io sia pericoloso… il custode da me corrotto, divenne un mio sannyasin: dov’è la corruzione? Prima io lo corruppi perché dicesse che non c’ero; col tempo lui si incuriosì sempre di più a me. Alla fine mi rese tutto il denaro che gli avevo dato: forse è il solo uomo ad averlo fatto! Dopo aver preso il sannyas, non potè più tenerlo.

Khajuraho: il solo nome fa suonare in me campane di felicità, sembra sia disceso dal cielo in terra. Vedere Khajuraho in una notte di luna piena, significa vedere tutto ciò che val la pena di vedere. Mia nonna nacque lì: non stupisce che fosse una donna bellissima, coraggiosa e persino pericolosa. Rischiò. Mia madre non le assomiglia, e questo mi spiace. Non potrete mai trovare un solo tratto di mia nonna in mia madre. Nani era una donna molto coraggiosa, e mi aiutò a rischiare in tutto: e intendo dire in tutto.

Se volevo bere vino, me lo faceva avere. Diceva: “Se non berrai totalmente, non te ne potrai mai liberare”. E io so che in questo modo ci si libera completamente di tutto. Qualsiasi cosa volessi, me la faceva avere. Mio nonno, suo marito, era sempre intimorito: come lo sono tutti i mariti del mondo, era un topolino; un bellissimo topolino, un uomo buono, dolce, ma non era affatto paragonabile a lei. Quando morì, sulle mie ginocchia, lei non pianse.

Le chiesi: “È morto. Lo amavi. Perché non piangi?”

Disse: “Per causa tua: non voglio piangere di fronte a un bambino”, era una donna incredibile! “E non ti voglio consolare. Se mi metto a piangere, anche tu scoppierai in lacrime: a quel punto chi dei due consolerà l’altro?”

Devo descrivere quella scena… ci trovavamo su un carro trainato da buoi e stavamo andando verso il villaggio dove abitava mio padre, e dove si trovava l’unico ospedale. Mio nonno era seriamente malato: era incosciente, quasi in coma. Mia nonna e io eravamo soli con lui sul carro. Posso capire la sua compassione per me: non pianse neppure alla morte del suo amato marito, solo a causa mia! Nessuno mi avrebbe potuto consolare…

Le dissi: “Non ti preoccupare. Se tu vuoi evitare di piangere, posso farlo anch’io”. E, credeteci o no, un bambino di sette anni non pianse. Persino mia nonna rimase stupita, mi disse: “Non piangi?”

Le dissi: “Non ti voglio consolare…”.

Su quel carro viaggiava una strana compagnia! Bhoora, di cui vi ho parlato questa mattina, era alla guida. Sapeva che il suo padrone era morto, ma non guardò nel carro, neppure allora, perché era solo un servo e non era suo costume interferire nelle cose private. Fu lui a dirmi: “La morte è una cosa privata; come posso guardare? Dal mio posto alla guida ho sentito tutto. Volevo piangere, lo amavo tantissimo. Mi sento un orfano… ma non ho potuto voltarmi per guardare, perché lui non mi avrebbe mai perdonato”.

Che strana compagnia… e Nana era sulle mie ginocchia. Avevo sette anni e rimasi  in compagnia della morte, non per pochi secondi, ma per ventiquattr’ore, continuamente. Non c’era una strada, e fu difficile arrivare al villaggio di mio padre. Viaggiavamo lentissimamente. E restammo in compagnia del cadavere per ventiquattr’ore. Non potei piangere, per non disturbare mia nonna. E lei non poté piangere perché non disturbare me, un bambino di sette anni. Era una donna veramente di ferro.

Arrivati in città, mio padre chiamò il dottore, e ve lo immaginate? Mia nonna rise! Disse: “Voi persone istruite siete tutte stupide!È morto! Non occorre chiamare nessun dottore. Per favore bruciatelo il più

 Presto possibile”.

Tutti rimasero sconvolti da queste parole tranne me, perché la conoscevo. Voleva che il corpo evaporasse nei suoi elementi. Era ora… era già troppo tardi, lo posso capire. E concluse: “Non tornerò più a quel villaggio”.

E quando disse che non sarebbe più tornata indietro, ovviamente era sott’inteso che neanch’io avrei potuto tornarci. Ma non visse mai con la famiglia di mio padre. Era diversa.

Quando iniziai a vivere nel villaggio di mio padre, feci una vita molto metodica in quella città: passavo tutto il giorno con la famiglia di mio padre, e l’intera notte con mia nonna che viveva sola, in uno splendido bungalow. Era una casa molto piccola, ma veramente bella.

Mia madre mi chiedeva sempre: “Perché non stai a casa di notte?”

Rispondevo: “È impossibile. Devo andare dalla nonna, soprattutto di notte, si sente sola senza il mio nana, mio nonno. Di giorno non ci sono problemi, è tutta indaffarata e circondata da tante persone, ma la notte, sola nella sua stanza, potrebbe mettersi a piangere se non ci sono io. Devo stare con lei!”

E rimasi sempre con lei, ogni notte, senza eccezione.

Di giorno ero a scuola. Solo al mattino e al pomeriggio, passavo alcune ore in famiglia, con mia madre, mio padre, gli zii. Era una famiglia numerosa, e mi rimase estranea: non ne divenni mai parte.

Mia nonna era la mia famiglia, e mi capiva perché fin dall’infanzia mi aveva visto crescere. Mi conosceva come nessun’altro, perché mi promise di fare di tutto… di tutto.

In India, durante il Festival delle Luci, è permesso alla gente giocare d’azzardo. È un rituale strano: per tre giorni il gioco d’azzardo è legale, altrimenti si può essere arrestati e puniti.

Dissi a mia nonna: “Voglio giocare d’azzardo”.

Mi chiese: “Quanto denaro ti serve?” Neppure io potei credere alle mie orecchie! Pensavo mi dicesse: “No!”, invece mi disse: “Bene!” E mi diede cento rupie e mi disse di giocarle tutte, perché si impara solo con l’esperienza.

In questo modo mi aiutò enormemente.

Una volta volli andare a trovare una prostituta. Avevo solo quindici anni e avevo sentito dire che una prostituta era arrivata nel villaggio. Mia nonna mi chiese se sapessi cosa volesse dire “prostituta”.

“Non di preciso”, le risposi.

Per cui mi disse: “Devi andare a vedere, ma prima vai solo a vederla cantare e danzare”.

In India le prostitute prima di tutto cantano e danzano, ma fu uno spettacolo così squallido e la donna era così brutta, che vomitai! Tornai a casa prima che il canto e la danza fossero finite, e prima che la prostituta avesse iniziato… la mia Nani mi chiese: “Perché sei tornato così presto?”

Risposi: “Ero nauseato”.

Solo più tardi, quando lessi “La Nausea” di Jean Paul Sartre, capii cosa mi era successo quella notte. Ma mia nonna mi permise persino di andare da una prostituta.

Non mi ricordo una sola volta in cui mi disse di no. Volevo fumare, e lei mi disse: “Ricorda una cosa: va bene fumare, ma fuma sempre in casa”.

Le chiesi: “Perché?”

Mi spiegò: “Gli altri possono avere delle obiezioni, per cui puoi fumare, ma in casa. Ti fornirò io le sigarette”. E me le fornì finché io dissi: “Basta! Non ne ho più bisogno”.

La mia Nani era pronta a tutto pur di aiutarmi a sperimentare in prima persona: non venire istruiti. I genitori possono diventare disgustosi quando non fanno che ammonire.

Ogni bambino è Dio che rinasce. Dovrebbe essere rispettato, e gli dovrebbe essere data ogni opportunità di crescere e di essere, non secondo ciò che voi siete, ma in base al suo potenziale.

Se il mio tempo è finito, bene. Se no, è ancora meglio. Dipende da voi, quanto lo volete prolungare. Ricordate: non siete i soli ebrei… voi siete ebrei solo per nascita, io lo sono di spirito. Tutto dipende da voi.

Osho: Bagliori di un'infanzia dorata

 

 

 

 

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