1.
Vi stavo raccontando di quando
incontrai l’astrologo che era diventato sannyasin…
A quell’epoca avevo quattordici
anni, e stavo con l’altro nonno, il padre di mio padre. Il mio vero nonno era
morto quando avevo solo sette anni. E il vecchio bhikku, l’ex-astrologo, mi
chiese: Faccio l’astrologo di professione e per hobby leggo la mano, le linee
della testa, dei piedi… ma tu, come hai potuto dirmi che sarei diventato un
sannyasin? Io non ci avevo mai pensato: Sei stato tu a gettare in me quel seme,
e da allora non ho pensato ad altro: come hai fatto?”
Alzai le spalle. Perfino oggi, se
qualcuno mi chiede “come faccio”, posso solo alzare le spalle, perché io non
faccio nulla: mi limito a lasciare che le cose siano. Si deve solo imparare l’arte
di precedere gli eventi, e la gente penserà che tu agisca su di loro. Ma non
esiste azione, in particolare nel mondo che mi interessa.
Dissi a quel vecchio: “Mi sono
limitato a guardarti negli occhi. Ho visto una purezza così cristallina che mi
fu impossibile credere che ancora tu non fossi un sannyasin. Avresti dovuto già
esserlo, era già troppo tardi”.
Da un lato il sannyas accade
sempre troppo tardi, e da un altro, è sempre troppo presto… e le due cose sono
vere, allo stesso tempo.
Ora toccò al vecchio fare
spallucce: “Mi confondi”, disse. “Come possono i miei occhi averti fatto
intuire?”
Dissi: “Se gli occhi non
permettessero di intuire, l’astrologia non potrebbe esistere”.
Di certo la parola astrologia è
in rapporto con le stelle, non con gli occhi. Ma un cieco può vederle? Per
vedere le stelle devi avere gli occhi.
Dissi a quel vecchio:
“L’astrologia non è la scienza delle stelle, ma del vedere: vedere le stelle
anche in pieno giorno”.
Ogni tanto accade… quando il
Maestro colpisce il discepolo sulla testa. Yashu Bharti, ti ricordi stamattina,
quando guardavi il tuo orologio, e io ti ho colpito in testa con una bottiglia
di Canada Dry? Te lo ricordi? Stamane ti è sfuggito: ecco cosa vuol dire
conoscere l’astrologia. Ne hai avuto una prova stamattina, e non credo
guarderai più il tuo orologio.
Eppure, ti prego: non smettere di
guardarlo, così potrò continuare a colpirti. Quello era solo un inizio.
Altrimenti, quando potrai esplodere nel tuo essere interiore? Perdonatemi, ma
datemi sempre l’opportunità di colpirvi. Sono sempre pronto a chiedervi di
essere perdonato, ma non sono mai pronto a dire che non vi colpirò più. Di
fatto, la prima volta è solo un preparativo per la seconda, per un colpo più
profondo ancora.
È una compagnia strana la nostra.
Io sono un vecchio ebreo. Un proverbio dice: “Un ebreo resta sempre ebreo”. E
io sono stato ebreo, un tempo, e riconosco la verità di quel proverbio. Ancora
sono ebreo, e di fianco a me siede un ebreo al cento per cento: Geet Bharti, e
vicino ai miei piedi siede Raj Bharti, in parte ebreo. Lo si può vedere dal suo
naso… altrimenti, da dove gli verrebbe un naso così bello?
E Gudia, se ancora è qui, non è
affatto inglese. Anche lei è stata ebrea. E per la prima volta voglio dirvi che
altri non è che Maddalena! Amò Gesù, ma se lo lasciò sfuggire. Venne crocefisso
troppo presto, e una donna ha bisogno di tempo, di pazienza: Gesù aveva solo
trentatré anni, età in cui si gioca al calcio, oppure, se sei un po’ più
cresciuto, a trentatré anni vai allo stadio!
Gesù morì troppo presto. La gente
fu troppo incrudele con lui… voglio dire, crudele. Avrei voluto che non fossero
crudeli, per questo mi è uscita quella parola.
Gudia, questa volta non ti può
sfuggire. Qualsiasi cosa tu faccia, e per quanto cerchi di scappare… io non
sono Gesù, che potè essere crocefisso con facilità a trentatré anni. E posso
essere molto paziente, perfino con una donna, cosa molto difficile… lo so: è
estremamente difficile, a volte è difficilissimo. Una donna può essere una vera
seccatura!
Conosco il mal di schiena: è una
vera seccatura! Ma con me, seccatura o non seccatura, non importa: questa volta
non potrai non comprendere. Altrimenti, ti sarà impossibile trovare ancora un
uomo come me!
È facile ritrovare Gesù: la gente
continua ad illuminarsi. Ma trovare un uomo come me – che ha percorso migliaia
di sentieri, in migliaia di incarnazioni, ed ha raccolto, simile a un’ape, la
fragranza di milioni di fiori – è difficile.
Se una persona non capisce me,
forse non capirà mai. Ma io non permetterò che accada a nessuno della mia
gente. Conosco tutti gli espedienti per spezzare la loro astuzia, la loro
durezza, la loro furbizia. E il mondo in sé non mi interessa: mi interesso solo
alla mia gente, a coloro che sono realmente alla ricerca di se stessi.
Proprio oggi ho ricevuto la
traduzione di un nuovo libro, in corso di stampa in Germania. Non conosco il
tedesco, per cui qualcuno ha dovuto tradurmi la parte che mi riguarda. Non ho
mai riso tanto per una barzelletta, anche se questa non lo è: è un libro molto
serio.
L’autore ha usato cinquantacinque
pagine solo per dimostrare che sono solo “chiaro” e non illuminato! È
fantastico!
E vi stupirà, ma proprio qualche
giorno fa ho ricevuto un altro libro scritto da un professore olandese, membro
della stessa categoria di idioti: gli olandesi e i tedeschi fanno parte della
stessa categoria di persone.
A proposito, devo dirvi che
Gurdjieff era solito dividere le persone in base a piani diversi. Aveva diverse
categorie di idioti: quel tedesco e quell’olandese, il cui nome ho scordato,
appartengono entrambi alla prima categoria… l’olandese ha dimostrato, o almeno,
ci ha provato, che io sono solo illuminato, ma non sono “chiaro”.
Questi due idioti dovrebbero
incontrarsi e lottare, battersi tra di loro con le loro dissertazioni!
Da parte mia, una volta per
tutte, lasciate che dichiari al mondo: io non sono né “chiaro”, né
“illuminato”. Sono solo un semplice essere umano, un uomo qualunque, senza
aggettivi e senza lauree: le ho bruciate tutte.
Gli idioti fanno sempre la stessa
domanda. È un miracolo. Tutto è diverso tra India, Inghilterra, Canada,
America, Germania, ma gli idioti non cambiano: sono universali e sono ovunque.
Provali ovunque essi siano, avranno lo stesso sapore.
Forse Buddha sarebbe d’accordo
con me, dopo tutto ha detto: “Assaggia il Buddha ovunque, e sarà simile
all’oceano, : ovunque lo assaggi, sa di sale”. Forse, come i Buddha hanno lo
stesso sapore, anche i buddhu – così in indi si chiamano gli idioti – hanno lo
stesso sapore. È un bene, ma purtroppo solo nelle lingue indiane, che “buddha”
e “buddhu” abbiano la stessa radice, siano quasi la stessa parola.
Non mi interessa affatto che mi
crediate illuminato o meno: cosa importa? Ma quest’uomo si è preso tanto a
cuore il problema, che gli ha dedicato, nel suo piccolo libro, cinquanta
pagine. Questo fatto rivela una cosa: quell’uomo è un idiota di prima
categoria.
Io sono semplicemente me stesso.
Perché mai dovrei essere illuminato? O forse, si è illuminati quando si ha
l’elettricità, mentre la chiarezza dipende dalla luce di una candela?
Io non conosco la differenza: non
sono né una cosa, né l’altra. Io sono luce a me stesso, non sono né illuminato
né chiaro. Mi sono lasciato queste parole alle spalle. Posso vederle come polvere,
depositata in lontananza sul sentiero che non percorrerò mai più: semplici orme
sulla sabbia.
Questi cosiddetti professori,
filosofi, psicologi… perché mai si preoccupano di un pover’uomo come me, che
non si preoccupa affatto di loro? Vivo la mia vita, ed è una mia libertà
viverla come voglio. Perché dovrebbero perdere il loro tempo con me? Sarebbe
stato meglio se non avesse inserito quelle cinquantacinque pagine: quante ore,
quante notti deve aver sprecato quel povero professore? Avrebbe potuto illuminarsi
nel frattempo, o almeno avere un po’ di chiarezza. E l’olandese avrebbe potuto
avere un po’ di chiarezza, o almeno illuminarsi. Entrambi avrebbero compreso:
chi sono io?
In quel caso ci sarebbe stato
solo silenzio.
Nulla da dire
Forse un canto
O una danza
O il semplice preparare una tazza
di tè
Da bere in silenzio…
La fragranza del tè è molto più
importante di qualsiasi filosofia.
Ricorda, Yashu Bharti: per questo
dico che il Canada ha prodotto una sola cosa che valga la pena menzionare, e
cioè la Canada Dry. Mi piace tantissimo! Tra le acque di selz di tutto il
mondo, è la migliore. Ridi… puoi guardare il tuo orologio. Non serve che lo
nasconda sotto la manica, o che non lo porti, per paura di guardarlo. A me non
interessa sapere che ore sono. Anche quando lo chiedo, non mi importa: lo
faccio solo per consolarvi. Altrimenti continuo senza fermarmi, sulla mia
strada. Non sono legato al tempo: guardate quanto ci ho messo per riprendere il
filo del discorso, che avevo perso…
Il padre di mia madre all’improvviso
si ammalò. Ancora non era venuto per lui il tempo di morire. Non aveva più di
cinquant’anni, forse ne aveva meno: forse aveva meno anni di quanti no ho io
ora. Mia nonna aveva solo cinquant’anni, era al massimo della sua gioventù e
della sua bellezza. Vi stupirà sapere che era nata a Khajuraho, la cittadella,
la più antica cittadella dei tantrika.
Mi diceva sempre: “Quando sarai
un po’ più cresciuto, non dimenticare di visitare Khajuraho”. Non credo che
altri genitori darebbero mai un consiglio come questo a un bambino, ma mia
nonna era una persona unica: mi convinse a visitare Khajuraho.
Khajuraho si compone di migliaia
di sculture meravigliose, tutte nude e intente a fare l’amore. Ci sono
centinaia di templi, molti in rovina, ma alcuni si sono conservati, forse
perché furono dimenticati.
Il Mahatma Gandhi avrebbe voluto
seppellire questi templi perché quelle statue, quelle sculture, sono molto
eccitanti. E io fui tentato da mia nonna ad andare a Khajuraho: che nonna ho
avuto! Era bellissima, sembrava una statua greca, da ogni punto di vista.
Quando Seema, la figlia di Mukta,
venne a trovarmi, per un istante rimasi stupito: mia nonna aveva lo stesso
volto, lo stesso colorito. Seema non sembra europea, è più scura di pelle. E il
suo volto, la sua figura, , sono le stesse di mia nonna. È un peccato che sia
morta, altrimenti, mi sarebbe piaciuto che seema la incontrasse. E sapete,
perfino a ottant’anni era ancora bella, cosa di solito impossibile.
Quando mia nonna morì, corsi da
Bombay per vederla. Perfino da morta era bella… non potevo credere che fosse
morta. E all’improvviso, tutte le statue di Khajuraho divennero vive dentro di
me: nel suo cadavere vidi l’intera filosofia di Khajuraho. E la prima cosa che
feci, dopo averla vista, fu di tornare a Khajuraho. Era il solo modo di
mostrarle il mio rispetto. E Khajuraho fu più bello che mai, perché potei
vedere mia nonna ovunque, in ciascuna di quelle statue.
Khajuraho è un posto
incomparabile. Nel mondo esistono migliaia di templi, ma nessuno assomiglia a
questo: in questo ashram sto cercando di creare un Khajuraho vivente. Fatto non
di pietra, ma di persone vive, così vive da influenzare gli altri: basta
toccarle per sentire una corrente, una scossa!
Mia nonna mi ha dato molto: La
cosa più importante è stata la sua insistenza a volermi far vedere Khajuraho. A
quell’epoca, Khajuraho era assolutamente sconosciuto. Ma lei insistette al
punto che dovetti andare. Era testarda. Forse io ho preso quella qualità da
lei, voi potreste chiamarla non-qualità.
Negli ultimi vent’anni della sua
vita, io viaggiai per tutta L’India. Ogni volta che andavo al villaggio mi
diceva: “Ascolta: non salire su un treno in movimento, e non scendere prima che
si sia fermato. Secondo: non discutere mai con nessuno, mentre sei in viaggio.
Terzo: ricorda sempre che io sono viva e aspetto che tu torni a casa. Perché
vagabondi per il paese quando ci sono io ad aspettarti per prendermi cura di
te? Hai bisogno di attenzioni, e nessuno te le può dare come posso farlo io”.
Per vent’anni dovetti ascoltare
continuamente questo consiglio. Ora le posso dire: “Non preoccuparti, almeno
nell’altro mondo. Per prima cosa, non viaggio più in treno: in realtà non
viaggio più! Per cui non ho il problema di salire e scendere da un treno in
corsa. In secondo luogo, Gudia si prende cura di me come tu avresti voluto. In
terzo luogo, ricorda come mi aspettavi mentre eri in vita, e continua ad
aspettarmi. Presto verrò, tornerò a casa”.
La prima volta che andai a
Khajuraho, ci andai perché mia nonna mi spinse a farlo, ma da allora ci sono
stato centinaia di volte. Non esiste un altro posto al mondo, dove sia stato
così tante volte. La ragione è semplice: è un’esperienza inesauribile. Più
conosci, più vuoi sapere. Ogni dettaglio dei templi di Khajuraho è un mistero.
Per creare ognuno di quei templi devono esserci voluti centinaia di anni e
centinaia di artisti. Né ho mai incontrato nulla, oltre a Khajuraho, che
potessi definire perfetto, neppure il Taj Mahal.
Il Taj Mahal ha le sue pecche,
Khajuraho non ne ha nessuna. Inoltre il Taj Mahal è solo una bella
architettura; Khajuraho racchiude l’intera filosofia e la psicologia dell’Uomo
Nuovo.
Quando vidi quelle figure ignude…
non posso dire “nude”, perdonatemi. Il nudo è pornografico, l’ignudo è un
fenomeno completamente diverso. Nel dizionario sono sinonimi, ma il dizionario
non è tutto: nell’esistenza esiste molto di più. Le statue sono ignude, ma non
nude. E quelle bellezze ignude… forse un giorno riusciremo a realizzarle. È un
sogno, Khajuraho è un sogno. E il Mahatma Gandhi avrebbe voluto seppellirlo
perché nessuno venisse tentato da quelle splendide statue…!
Noi siamo riconoscenti a Rabindranath Tagore, che impedì a Gandhi di
fare una cosa simile. Disse di lasciare i templi così com’erano: era un poeta e
poté capire il loro mistero.
Ho perso il conto delle mie
visite a Khajuraho. Ci andavo ogni volta che avevo un po’ di tempo libero. Se
ero introvabile, la mia famiglia immaginava subito che fossi là, e indovinava
sempre. Quando c’ero dovevo pagare il custode perché dicesse a chi mi cercava
che non c’ero. Lo confesso: quella fu la sola volta che corruppi qualcuno. Ma
ne valeva la pena, e non me ne rammarico. Non mi dispiace.
Anzi, vi stupirà, ma sapete
quanto io sia pericoloso… il custode da me corrotto, divenne un mio sannyasin:
dov’è la corruzione? Prima io lo corruppi perché dicesse che non c’ero; col
tempo lui si incuriosì sempre di più a me. Alla fine mi rese tutto il denaro
che gli avevo dato: forse è il solo uomo ad averlo fatto! Dopo aver preso il
sannyas, non potè più tenerlo.
Khajuraho: il solo nome fa
suonare in me campane di felicità, sembra sia disceso dal cielo in terra. Vedere
Khajuraho in una notte di luna piena, significa vedere tutto ciò che val la
pena di vedere. Mia nonna nacque lì: non stupisce che fosse una donna
bellissima, coraggiosa e persino pericolosa. Rischiò. Mia madre non le
assomiglia, e questo mi spiace. Non potrete mai trovare un solo tratto di mia
nonna in mia madre. Nani era una donna molto coraggiosa, e mi aiutò a rischiare
in tutto: e intendo dire in tutto.
Se volevo bere vino, me lo faceva
avere. Diceva: “Se non berrai totalmente, non te ne potrai mai liberare”. E io
so che in questo modo ci si libera completamente di tutto. Qualsiasi cosa
volessi, me la faceva avere. Mio nonno, suo marito, era sempre intimorito: come
lo sono tutti i mariti del mondo, era un topolino; un bellissimo topolino, un
uomo buono, dolce, ma non era affatto paragonabile a lei. Quando morì, sulle
mie ginocchia, lei non pianse.
Le chiesi: “È morto. Lo amavi.
Perché non piangi?”
Disse: “Per causa tua: non voglio
piangere di fronte a un bambino”, era una donna incredibile! “E non ti voglio
consolare. Se mi metto a piangere, anche tu scoppierai in lacrime: a quel punto
chi dei due consolerà l’altro?”
Devo descrivere quella scena… ci
trovavamo su un carro trainato da buoi e stavamo andando verso il villaggio
dove abitava mio padre, e dove si trovava l’unico ospedale. Mio nonno era
seriamente malato: era incosciente, quasi in coma. Mia nonna e io eravamo soli
con lui sul carro. Posso capire la sua compassione per me: non pianse neppure
alla morte del suo amato marito, solo a causa mia! Nessuno mi avrebbe potuto
consolare…
Le dissi: “Non ti preoccupare. Se
tu vuoi evitare di piangere, posso farlo anch’io”. E, credeteci o no, un
bambino di sette anni non pianse. Persino mia nonna rimase stupita, mi disse:
“Non piangi?”
Le dissi: “Non ti voglio
consolare…”.
Su quel carro viaggiava una
strana compagnia! Bhoora, di cui vi ho parlato questa mattina, era alla guida.
Sapeva che il suo padrone era morto, ma non guardò nel carro, neppure allora,
perché era solo un servo e non era suo costume interferire nelle cose private.
Fu lui a dirmi: “La morte è una cosa privata; come posso guardare? Dal mio posto
alla guida ho sentito tutto. Volevo piangere, lo amavo tantissimo. Mi sento un
orfano… ma non ho potuto voltarmi per guardare, perché lui non mi avrebbe mai
perdonato”.
Che strana compagnia… e Nana era
sulle mie ginocchia. Avevo sette anni e rimasi
in compagnia della morte, non per pochi secondi, ma per ventiquattr’ore,
continuamente. Non c’era una strada, e fu difficile arrivare al villaggio di
mio padre. Viaggiavamo lentissimamente. E restammo in compagnia del cadavere
per ventiquattr’ore. Non potei piangere, per non disturbare mia nonna. E lei non
poté piangere perché non disturbare me, un bambino di sette anni. Era una donna
veramente di ferro.
Arrivati in città, mio padre
chiamò il dottore, e ve lo immaginate? Mia nonna rise! Disse: “Voi persone
istruite siete tutte stupide!È morto! Non occorre chiamare nessun dottore. Per
favore bruciatelo il più
Presto possibile”.
Tutti rimasero sconvolti da
queste parole tranne me, perché la conoscevo. Voleva che il corpo evaporasse
nei suoi elementi. Era ora… era già troppo tardi, lo posso capire. E concluse:
“Non tornerò più a quel villaggio”.
E quando disse che non sarebbe
più tornata indietro, ovviamente era sott’inteso che neanch’io avrei potuto
tornarci. Ma non visse mai con la famiglia di mio padre. Era diversa.
Quando iniziai a vivere nel
villaggio di mio padre, feci una vita molto metodica in quella città: passavo
tutto il giorno con la famiglia di mio padre, e l’intera notte con mia nonna
che viveva sola, in uno splendido bungalow. Era una casa molto piccola, ma veramente
bella.
Mia madre mi chiedeva sempre:
“Perché non stai a casa di notte?”
Rispondevo: “È impossibile. Devo
andare dalla nonna, soprattutto di notte, si sente sola senza il mio nana, mio
nonno. Di giorno non ci sono problemi, è tutta indaffarata e circondata da
tante persone, ma la notte, sola nella sua stanza, potrebbe mettersi a piangere
se non ci sono io. Devo stare con lei!”
E rimasi sempre con lei, ogni
notte, senza eccezione.
Di giorno ero a scuola. Solo al
mattino e al pomeriggio, passavo alcune ore in famiglia, con mia madre, mio
padre, gli zii. Era una famiglia numerosa, e mi rimase estranea: non ne divenni
mai parte.
Mia nonna era la mia famiglia, e
mi capiva perché fin dall’infanzia mi aveva visto crescere. Mi conosceva come
nessun’altro, perché mi promise di fare di tutto… di tutto.
In India, durante il Festival
delle Luci, è permesso alla gente giocare d’azzardo. È un rituale strano: per
tre giorni il gioco d’azzardo è legale, altrimenti si può essere arrestati e
puniti.
Dissi a mia nonna: “Voglio
giocare d’azzardo”.
Mi chiese: “Quanto denaro ti
serve?” Neppure io potei credere alle mie orecchie! Pensavo mi dicesse: “No!”,
invece mi disse: “Bene!” E mi diede cento rupie e mi disse di giocarle tutte,
perché si impara solo con l’esperienza.
In questo modo mi aiutò
enormemente.
Una volta volli andare a trovare
una prostituta. Avevo solo quindici anni e avevo sentito dire che una
prostituta era arrivata nel villaggio. Mia nonna mi chiese se sapessi cosa
volesse dire “prostituta”.
“Non di preciso”, le risposi.
Per cui mi disse: “Devi andare a
vedere, ma prima vai solo a vederla cantare e danzare”.
In India le prostitute prima di
tutto cantano e danzano, ma fu uno spettacolo così squallido e la donna era
così brutta, che vomitai! Tornai a casa prima che il canto e la danza fossero
finite, e prima che la prostituta avesse iniziato… la mia Nani mi chiese:
“Perché sei tornato così presto?”
Risposi: “Ero nauseato”.
Solo più tardi, quando lessi “La
Nausea” di Jean Paul Sartre, capii cosa mi era successo quella notte. Ma mia
nonna mi permise persino di andare da una prostituta.
Non mi ricordo una sola volta in
cui mi disse di no. Volevo fumare, e lei mi disse: “Ricorda una cosa: va bene
fumare, ma fuma sempre in casa”.
Le chiesi: “Perché?”
Mi spiegò: “Gli altri possono
avere delle obiezioni, per cui puoi fumare, ma in casa. Ti fornirò io le
sigarette”. E me le fornì finché io dissi: “Basta! Non ne ho più bisogno”.
La mia Nani era pronta a tutto
pur di aiutarmi a sperimentare in prima persona: non venire istruiti. I
genitori possono diventare disgustosi quando non fanno che ammonire.
Ogni bambino è Dio che rinasce.
Dovrebbe essere rispettato, e gli dovrebbe essere data ogni opportunità di
crescere e di essere, non secondo ciò che voi siete, ma in base al suo potenziale.
Se il mio tempo è finito, bene.
Se no, è ancora meglio. Dipende da voi, quanto lo volete prolungare. Ricordate:
non siete i soli ebrei… voi siete ebrei solo per nascita, io lo sono di
spirito. Tutto dipende da voi.
Osho: Bagliori di un'infanzia dorata