mercoledì 22 luglio 2020

Le tre metamorfosi


Osho commenta Friedrich Nietzsche: i passaggi fondamentali dell’evoluzione dello spirito 

Un raro brano di Osho apparso su Osho Times n 268

Osho



Zarathustra suddivide l’evoluzione della consapevolezza in tre simboli: il cammello, il leone e il bambino. 
Il cammello è un animale da soma; è disposto a lasciarsi soggiogare e non si ribella mai. È un credente, un seguace, uno schiavo fedele. È il gradino più basso della consapevolezza umana. 
Il leone è una rivoluzione. L’inizio della rivoluzione è un sacro “no”. 
Nella coscienza del cammello c’è sempre bisogno di qualcuno che lo guidi e che gli dica: “Devi fare questo”. Ha bisogno dei dieci comandamenti. Ha bisogno di tutte le religioni, dei preti, dei testi sacri, perché non riesce a fidarsi di se stesso. È privo di coraggio; non ha un’anima né desidera in alcun modo la libertà. È obbediente. 
Il leone è un anelito alla libertà, un desiderio di liberarsi da ogni forma di prigionia. Il leone non ha bisogno di un leader, basta a se stesso. Non permette a nessuno di dirgli: “Tu devi...”, sarebbe un’offesa al suo orgoglio. Può dire soltanto: “Io voglio”. Il leone è responsabilità, è lo sforzo intenso di liberarsi da ogni forma di schiavitù. Ma perfino il leone non è il culmine, l’apice dell’evoluzione umana. 
Il picco più alto dell’evoluzione umana è la metamorfosi del leone: quando il leone diventa bambino. 
Il bambino è innocenza; non è obbedienza né disobbedienza; non è credo né incredulità. È fiducia pura, un sacro “sì” all’esistenza, alla vita e a tutto quello che la vita contiene. Il bambino è l’apice della purezza, della sincerità, dell’autenticità, della ricettività e dell’apertura all’esistenza.
Questi simboli sono molto belli. Man mano che Zarathustra li descrive, uno alla volta, ne esamineremo le implicazioni.

Ecco le tre metamorfosi dello spirito: come lo spirito diventa cammello, il cammello leone e il leone infine diventa bambino. 
Ci sono molte cose pesanti per lo spirito, per lo spirito forte e mansueto in cui dimorano il rispetto e il timore reverenziale: la sua forza anela alle cose pesanti, alle più pesanti.

Zarathustra non è a favore dei deboli, dei cosiddetti umili. Non è d’accordo con Gesù, quando dice: “Beati sono i deboli”, oppure: “Beati sono i poveri”, oppure: “Beati sono gli umili, perché loro sarà il Regno di Dio”. Zarathustra è assolutamente a favore di uno spirito forte: è contrario all’ego, ma non all’orgoglio. 
L’orgoglio è la dignità dell’uomo; l’ego è un’entità fittizia. Non si dovrebbe mai pensare ai due come sinonimi. L’ego ti priva della tua dignità, del tuo orgoglio, perché l’ego dipende dagli altri, dalle opinioni degli altri, da quello che dicono gli altri. L’ego è molto fragile. Basta che cambino le opinioni della gente e l’ego svanisce come una bolla di sapone. 

Mi viene in mente Voltaire, un grande pensatore. Ai tempi di Voltaire, in Francia, esisteva un’usanza che aveva un antichissimo retaggio: se riuscivi a procurarti un oggetto che apparteneva a un genio, anche solo un pezzetto di stoffa, ciò ti avrebbe aiutato a scoprire i tuoi talenti, se non addirittura a diventare tu stesso un genio. 
Voltaire era talmente onorato e rispettato in quanto pensatore e filosofo che, persino durante la sua passeggiata mattutina, aveva bisogno della protezione della polizia. Persino quando andava alla stazione aveva bisogno della protezione della polizia. Aveva bisogno di protezione, altrimenti la gente gli saltava addosso e cominciava a strappargli i vestiti. A volte tornava a casa mezzo nudo, pieno di graffi sanguinanti... 
Era molto infastidito dalla sua fama e dal suo nome illustre. 
Scrisse nel suo diario: “Pensavo che essere famosi fosse meraviglioso; ora mi rendo conto che è una maledizione. Voglio tornare a essere una persona normale, anonima, così la gente non mi riconoscerà più. Passerò per strada e nessuno si accorgerà di me. Ne ho abbastanza della fama e della celebrità; sono diventato prigioniero in casa mia. Non riesco nemmeno a fare una passeggiata alla sera, quando il tramonto è così bello e il cielo si riempie di colori stupendi, perché ho paura della folla”. 
È la stessa folla che lo aveva reso famoso. Dieci anni dopo, scriveva nel suo diario, con tono molto triste e depresso: “Non credevo che le mie preghiere sarebbero state accolte”. La moda cambia e così le opinioni della gente. Chi è famoso oggi, domani cade nel dimenticatoio e chi oggi è uno sconosciuto, domani, tutto d’un tratto, si trova all’apice della fama. Successe a Voltaire. Cominciarono a emergere nuovi pensatori, nuovi filosofi; in special modo Rousseau e, un po’ alla volta, Voltaire fu dimenticato. La gente ha una memoria molto labile... Le opinioni cambiano come le mode. Un tempo Voltaire era di moda; ora è di moda qualcun altro. Rousseau non era assolutamente d’accordo con le idee di Voltaire e la sua fama oscurò completamente quella di Voltaire. Il desiderio di Voltaire si era realizzato: era diventato anonimo. Ora non aveva più bisogno della protezione della polizia, perché nessuno si prendeva più nemmeno la briga di salutarlo. La gente si era completamente dimenticata di lui. 
Solo allora Voltaire si rese conto che era meglio essere prigioniero: “Ora sono libero di andare dove voglio, ma mi sento male. È una ferita che diventa sempre più dolorosa. Sono vivo, ma la gente pensa che io sia morto”. 
Quando morì, solo tre persone e mezza lo accompagnarono alla tomba. Sarete sorpresi, perché tre e mezza? Tre persone e il suo cane, che conta solo la metà. E proprio il cane era alla testa del corteo funebre. 
L’ego è una diretta conseguenza, un prodotto dell’opinione pubblica. Sono gli altri a dartelo e possono portartelo via. 
L’orgoglio è un fenomeno completamente diverso. Il leone è orgoglioso. Il cervo del bosco – se riuscite a vederlo – ha orgoglio, dignità, grazia. Il pavone che danza o l’aquila che vola lontana lassù in cielo non hanno un ego, non dipendono dalle vostre opinioni. Sono semplicemente fieri di essere quello che sono; la loro dignità ha origine nel loro essere. Questo va capito, perché tutte le religioni non hanno mai insegnato l’orgoglio, ma l’umiltà. Hanno dato origine a una concezione sbagliata che tuttora prevale nel mondo, come se essere orgogliosi ed essere egoici fosse la stessa cosa... 

Zarathustra non lascia adito a dubbi: 
è a favore dell’uomo forte, dell’uomo coraggioso, dell’avventuriero che si addentra nell’ignoto, percorrendo sentieri sconosciuti, senza paura. È a favore dell’impavidità. Ed è un miracolo che un individuo orgoglioso, e soltanto l’individuo orgoglioso, possa diventare bambino. 
La cosiddetta umiltà cristiana non è altro che l’ego messo a testa in giù. L’ego si capovolge, ma è sempre presente. Vi renderete conto anche voi che i vostri santi sono più egoici della gente comune. Sono egoici perché sono pii. Sono egoici a causa della loro austerità, per la loro spiritualità, per la loro santità, addirittura per la loro umiltà. Nessuno è più umile di loro. L’ego usa uno stratagemma molto astuto: rientra dalla porta di servizio. Tu puoi buttarlo fuori dall’entrata principale, ma lui sa che esiste anche una porta sul retro. 

Una sera in un bar, un tipo che ha bevuto troppo, inizia a dare fastidio: tira per aria quello che gli capita sotto mano, grida, urta i clienti, li insulta e vuole ancora da bere. Alla fine il proprietario gli dice: “Ora basta. Stasera tu non bevi più”. E ordina ai camerieri di buttarlo fuori dalla porta principale. Nonostante lo stato di ubriachezza, il tipo si ricorda che esiste una porta sul retro. Brancolando nel buio, rientra nel locale e ordina un altro bicchiere. 
“Di nuovo qui?” chiede il proprietario. “Ti ho già detto che tu stasera non bevi più”. “Ma che strano”, obietta l’ubriaco, “lei è proprietario di tutti i bar della città?”. 

L’ego non solo conosce la porta sul retro, sa anche entrare dalle finestre. Riesce perfino a passare dal tetto, scostando le tegole! Per quanto riguarda l’ego, sei molto vulnerabile... 
Zarathustra non insegna l’umiltà, perché tutti coloro che hanno insegnato l’umiltà hanno fallito. Insegna all’uomo la dignità, l’orgoglio e la forza, non la debolezza, la povertà e l’umiltà. Quegli insegnamenti hanno contribuito a mantenere l’umanità al livello del cammello. Zarathustra vuole che tu attraversi una metamorfosi: il cammello deve diventare leone. 
Ha scelto dei simboli molto belli, estremamente significativi. Il cammello è forse l’animale più brutto in assoluto. Non è possibile immaginare qualcosa di più brutto. Che altro si può fare? È una deformazione, sembra una creatura infernale... 
Il cammello è il simbolo che meglio indica lo stato inferiore della consapevolezza umana. In quello stato la consapevolezza dell’uomo è storpiata: vuole essere ridotta in schiavitù. Teme la libertà, perché ha paura della responsabilità. Il cammello è disposto a sopportare i pesi più tremendi; gode quando è sovraccarico. E così la consapevolezza al suo stato più basso è sovraccarica di conoscenza presa a prestito. Nessun individuo che abbia una sua dignità si lascia appesantire da una conoscenza presa a prestito. Quel genere di conoscenza è carica di una morale tramandata dai morti ai vivi; è il dominio dei morti sui vivi. Nessun individuo che abbia una sua dignità si lascia dominare dai morti. L’uomo, nel suo stato di consapevolezza più basso, rimane ignorante, stolto, addormentato, perché gli è continuamente somministrato il veleno del credo, della fede, del non dubitare mai, del non dire mai di no. E l’individuo che non sa dire di no ha perso la propria dignità. L’individuo che non sa dire di no dirà un sì che non significa nulla. 
Ti rendi conto dell’implicazione? Il sì ha valore solo quando sei capace di dire no. Se non sai dire no, il tuo sì è impotente, non vale nulla. Per questo il cammello deve trasformarsi in un bellissimo leone, disposto a morire, ma non a lasciarsi ridurre in schiavitù. Non si può fare del leone una bestia da soma. Il leone ha una dignità che nessun altro animale può vantare. Il leone non ha tesori, non ha un regno; e la sua dignità sta nel suo modo di essere: impavido, senza timore dell’ignoto, disposto a dire no anche a costo di rischiare la morte. 
Questa disponibilità a dire di no, questa sua ribellione, lo ripulisce da tutta la sporcizia lasciata dal cammello: cancella le tracce e le impronte lasciate dal cammello. E solo dopo il leone, dopo il grande no, può seguire il sacro sì del bambino. Il bambino dice sì, non perché ha paura; dice sì perché ama, perché ha fiducia. Dice sì perché è innocente; non riesce a immaginare di poter essere ingannato. Il suo dire sì ha origine da una fiducia assoluta; non deriva dalla paura, ma da un’innocenza profonda. Soltanto quel sì può condurlo verso l’apice supremo della consapevolezza, ciò che io chiamo natura divina...

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Continua su Osho Times n. 268

da: Osho, Zarathustra: un dio che danza, Ecig
 https://www.oshotimes.it/articolo/1223/le-tre-metamorfosi.html

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