sabato 4 febbraio 2017

Graham Hancock: la civiltà perduta non era materialistica, conosceva l’essenza immortale

Sabato 4 febbraio 2017


“Credo che la civiltà perduta, nell’antichità preistorica, fosse una civiltà molto diversa dalla nostra, che non si occupava primariamente di cose materiali”.

Graham Hancock, qui intervistato da Nick Polizzi, è stato in passato un giornalista per gli affari esteri del ‘The Economist’, ma da ormai 25 anni si dedica totalmente all’indagine dei misteri del nostro passato umano.
D: Pensi che le civiltà del passato fossero tecnicamente avanzate come noi oggi o forse di più? E nel caso, dove sono sepolti i loro computer? Dove è il computer di 18.000 anni fa? Quando pensiamo alla tecnologia, la raffiguriamo sempre in questo modo!
GH: La mia risposta è che se vogliamo veramente comprendere la storia, dobbiamo smettere di guardarla come in uno specchio. Invece, dobbiamo cominciare a guardarla come fosse una finestra dalla quale possiamo vedere ciò che è veramente accaduto, piuttosto che proiettare noi stessi nel passato. Non c’è nessuna ragione al mondo, perché una precedente civiltà dovrebbe aver seguito la stessa rotta tecnologica nostra. Anche se avesse avuto la capacità di fare questo, avrebbe potuto scegliere, per ragioni morali o altro, di confrontarsi con la sacralità della terra, per esempio, piuttosto che sfruttare la petrolchimica.
Noi abbiamo scelto di andare per questa strada, ma non c’è alcuna certezza che una civiltà precedente avrebbe fatto lo stesso. E nel percorso che abbiamo scelto di intraprendere, abbiamo posto grande enfasi sul vantaggio meccanico, cosa in cui siamo veramente bravi. Con questo facciamo cose incredibili. Ma forse in questo nostro processo, abbiamo ottenuto che scemassero altre facoltà della mente umana. Siamo diventati dipendenti dalla tecnologia meccanica e non conosciamo più le altre facoltà della mente umana, di cui si parla ripetutamente nelle tradizioni di tutto il mondo, come per esempio la telecinesi, che muove oggetti con il potere della mente, o la telepatia eccetera.
Può darsi che come esseri umani in generale, in passato, avessimo quelle capacità, ma le abbiamo perse, ci siamo addormentati. La nostra società ci ha cullati in uno stato di sonno. Siamo così orgogliosi della nostra tecnologia, così colpiti da ciò che ha saputo raggiungere, che abbiamo dimenticato cosa avremmo potuto fare se avessimo preso un’altra strada.
Penso che la civiltà perduta, nell’antichità preistorica, fosse una civiltà molto diversa dalla nostra e che non riguardasse primariamente le cose materiali. Piuttosto riguardava il far crescere e nutrire lo spirito umano, e questo viene riflesso anche nei miti. Quando la civiltà perduta di Atlantide, o come altro vogliamo chiamarla, si è allontanata da quella via, è piombata nel materialismo; quando si perde di vista l’obiettivo spirituale, ecco in quel momento, avviene il pericolo.
D: C’è la possibilità, secondo te, che membri di quella civiltà possano essere sopravvissuti ed essere tra noi?
GH: No, erano esseri umani proprio come noi. Sono nascosti tra noi in termini di idee, concetti… questo è ciò che è importante chiarire. Le idee sono ciò che vive o può vivere in eterno. È l’idea della civiltà perduta, dei maghi, degli dei, dei civilizzatori, che se ne andarono per il mondo cercando di tenere viva la fiamma della civiltà: quest’idea è molto forte nelle memorie dell’umanità e nessuna razionalizzazione o scetticismo scientifico potranno disfarsi di questo. Nei nostri cuori sappiamo tutti che è vero.
D: Tu affermi spesso che gli Egizi hanno impiegato le loro migliori menti, per 3000 anni, sul mistero della morte.
GH: Questo riguarda esattamente ciò di cui stiamo parlando ora, perché gli antichi Egizi furono gli eredi di una tradizione precedente. Credo si trattasse della tradizione di una civiltà perduta, la quale aveva come punto di attenzione principale le verità eterne e la possibilità di una vita edopo la morte e non le cose materiali e la vita fisica.
Ora, nella nostra società, quando parliamo di vita eterna o immortale, le persone cominciano a pensare in termini di transumanesimo: al fatto di installare degli oggetti nei nostri cervelli (un pensiero agghiacciante, orribile e repellente) o persino al fatto di fare un download della propria coscienza in una macchina. Che pensiero narcisistico è mai questo?
Abbiamo già un incredibile meccanismo di immortalità: la reincarnazione. Perché mai una persona dovrebbe diventare un transumanista e tenere lo stesso corpo per sempre o fare un download della sua coscienza in una macchina, quando il meccanismo della reincarnazione ci permette di vivere molte vite diverse, beneficiando dell’apprendimento di quelle differenti esperienze?
Ora ovviamente non posso provare che esista la reincarnazione, ma è molto probabile che essa sia una realtà. Penso fosse Voltaire che disse: “non è cosi improbabile che nasciamo due volte, anziché una sola”. E poi perché no? Ci sono molte prove per questo. E se la reincarnazione è possibile, allora noi non siamo i nostri corpi. Qualsiasi cosa siamo, comunque non siamo i nostri corpi… perché questi sicuramente muoiono.
C’è invece una parte immortale in noi, chiamiamola anima, essenza, spirito: questo è ciò che si reincarna. E io credo che la civiltà perduta fosse molto concentrata sull’essenza immortale dell’essere umano e che lo fu per un tempo molto lungo. Poi accadde, gradualmente, che ci si allontanò da questo e nel contempo si sviluppò il materialismo. Ma originariamente non era una società materialistica. Non dovremmo comunque aspettarci di ritrovare per forza tracce materiali riconoscibili, simile alla tecnologia che abbiamo creato noi nel 20º e 21º secolo.
D: Credi che le piante sciamaniche che fanno avere visioni, possano aver avuto un ruolo importante nello studio della morte nella cultura egizia?
GH: Sono certo che lo ebbero. Infatti gli antichi Egizi misero al lavoro per 3000 anni le loro migliori menti, sul mistero di ciò che ci accade quando moriamo e in quel progetto si servirono di un gran numero di “alleati vegetali”. Sappiamo che la Nymphaea Caerulea, il Loto Egiziano, è una pianta che dona visioni.

D: Hai sperimentato su di te l’ayahuasca? E’ vero che aumenta le visioni interiori rispetto a ciò che accade quando moriamo e alla possibilità di reincarnarci?
GH: Di nuovo non posso provare che ciò sia corretto, ma posso solo dire che effetto questa pianta abbia avuto su di me. Le mie esperienze con l’ayahuasca, mi hanno fatto capire che tutto ciò che facciamo in questa vita, ha importanza. Tutto conta, tutto sarà pesato e considerato.
Ci viene data la preziosa opportunità di essere nati in un corpo umano. È un’opportunità molto rara nell’universo come tale… essere un essere umano, avere il potere di discernere ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è luce e ciò che è oscurità, la capacità di amare e purtroppo quella di odiare.
Tutte queste cose sono parte del miracolo di essere nati in un corpo umano. Dipende poi da noi vivere la portata di questo miracolo. Vogliamo spendere le nostre vite perseguendo obiettivi solo materiali? Se lo faremo non nutriremo quella parte non fisica di noi, sulla quale al contrario gli antichi Egizi erano molto concentrati. In realtà, è questa la ragione per cui non si trovano resti di case e di possedimenti personali. Non credo se ne preoccupassero molto. Verso al fine della civiltà egizia, Erodoto, visitò quel paese e li descrisse come gli individui più felici sulla terra. Erano stati felici per migliaia di anni e la loro felicità giungeva primariamente dall’essere concentrati sulla vita spirituale.
C’è, infatti, una verità fondamentale che emerge dalla civiltà egizia e da tutte le civiltà del passato, ed è che tanto più ci allontaniamo dall’amore, tanto più affoghiamo nel materialismo, e quindi tanto meno abbiamo la possibilità di compire la missione per cui siamo qui sulla Terra, cioè amarci reciprocamente.

http://compressamente.blogspot.it/2017/02/graham-hancock-la-civilta-perduta-non.html 

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