martedì 28 febbraio 2017

Manipolazioni...

28/02/2017

Risultati immagini per indiani d'america«Il termine giusto per definire il modo in cui le scelte delle masse vengono fatte oscillare da una parte piuttosto che da un’altra è “manipolazione”. […] Dopo tutto le masse sono ingenue e credono a ciò che viene detto loro. Le loro priorità nella vita non sono fare le indagini approfondite e confrontare le cose vere. Preferiscono adagiarsi sulle argomentazioni dello stato, che dice che la legge è legge […]
Fino a quando verrà utilizzata la tattica di istillare la paura nelle masse, si otterranno le risposte volute. […] »

Tratto da: Prigionieri dell’uomo bianco di: Ray Allen, Fernando E. Caro


http://eliotroporosa.blogspot.it/2017/02/manipolazioni.html 

lunedì 27 febbraio 2017

Mentre in Italia trionfa il proibizionismo, in Colorado casa e cibo ai senzatetto grazie alla Marijuana

27/12/2017





Per oltre cinquant’anni il dibattito sulla legalizzazione della marijuana è sempre stato molto acceso. Che siate favorevoli o no alla legalizzazione della cannabis il Colorado è l’esempio lampante dei benefici economici della marijuana.


Da quando – quattro anni fa – il Colorado ha legalizzato la cannabis i ricavi delle tasse provenienti dalla vendita della marijuana sono aumentati esponenzialmente anno dopo anno fino a toccare nel Giugno 2016 quota 70 milioni. Un risultato sorprendente!

Aurora, la terza città più grande dello stato del Colorado, ha deciso di utilizzare parte dei soldi incassati con le tasse sulla cannabis per finanziare le organizzazione non-profit locali che si occupano dei senzatetto della città.



Risultati immagini per cannabis colorado senzatetto
Per i prossimi tre anni infatti la città di Aurora stanzierà oltre 3 milioni di dollari derivati dagli introiti delle tasse sulla vendita della marijuana per finanziare le associazioni del territorio che lavorano senza sosta per fornire ostelli e cibo alla comunità locale dei senzatetto. Il denaro verrà erogato nel corso dei prossimi tre anni, 1.5 milioni saranno accreditati alle associazioni entro la fine dell’anno finanziario che terminerà nel Giugno del 2017.


La storica decisione, approvata a Maggio del 2016, ha fatto presto il giro del mondo e dimostra quanto la marijuana possa avere un effetto positivo sulle comunità locali più bisognose. Sull’argomento è intervenuto il consigliere comunale della città di Aurora , Bob Roths che ha dichiarato:




“ABBIAMO VOLUTO DIMOSTRARE AI CITTADINI L’ENORME IMPATTO CHE TUTTO QUESTO PORTA ALLA NOSTRA COMUNITÀ PUNTANDO SU QUESTO TIPO DI INIZIATIVE E PROGETTI CHE VERRANNO FINANZIATI”



La legalizzazione della marijuana è senza dubbio una questione molto controversa. Tuttavia il denaro che la città di Aurora ha ricavato dalla vendita della marijuana è la prova incontrovertibile dell’enorme impatto sociale che i ricavi della cannabis possono avere. 


Risultati immagini per cannabis colorado senzatettoLa città di Aurora sta utilizzando questi ricavi per fornire i diritti fondamentali a tutti i senzatetto che potranno continuare a vivere – finalmente – una vita dignitosa.

La vicenda del Colorado è solo uno dei tanti esempi di come la marijuana non sia solo una sostanza psicoattiva ma uno strumento economico formidabile per risolvere i problemi in molti paesi. In Italia dovremmo prendere esempio dal Colorado e capire quanto la legalizzazione della cannabis possa portare un effettivo beneficio all’intero paese.


Fontehttp://haze.academy/il-colorado-usa-i-soldi-incassati-dalla-marijuana-per-dare-cibo-e-casa-ai-senzatetto/
Il Nuovo Mondo: Mentre in Italia trionfa il proibizionismo, in Col...

domenica 26 febbraio 2017

Rivolta Bianca

26/02/2017





Rivolta bianca- mi voglio ribellare
Rivolta bianca- la mia rivolta personale
Rivolta bianca- mi voglio ribellare
Rivolta bianca- la mia rivolta personale

I neri hanno un sacco di problemi
Ma non esitano a lanciare mattoni*
I bianchi vanno a scuola
Dove ti insegnano come diventare importante

Stanno tutti facendo
Ciò che chi han detto di fare
Nessuno vuole
Finire in prigione!

Tutto il potere è nella ma
Di persone ricche abbastanza per comprarlo
Mentre camminiamo per strada
Troppo polli persino per provare a farlo

Stanno tutti facendo
Ciò che chi han detto di fare
Nessuno vuole
Finire in prigione!

stai salendo di grado
O stai prendendo ordini?
Stai andando indietro
O stai andando avanti?
http://dustyroad-federico.blogspot.it/2017/02/rivolta-bianca.html

sabato 25 febbraio 2017

Sacerdotesse e prostitute


 Risultati immagini per sacerdotesse prostitute

Tutto il mondo antico conosceva la prostituzione sacra o “ierodulìa”, esercitata da sacerdotesse ritenute trasmettitrici delle virtù fecondatrici divine: l’orgasmo era considerato il momento massimo di avvicinamento alla divinità. Collegi di prostitute sacre esistevano presso i templi babilonesi della dea Ishtar, definita essa stessa come “la grande puttana”. Sembra che fosse in uso anche la prostituzione sacra maschile.

Lo storico greco Erodoto attribuisce ai Babilonesi una norma che costringeva ogni donna, almeno una volta nella vita e prima del matrimonio, a prendere posto nel santuario di Ishtar per unirsi a uno straniero in onore alla dea. Erodoto aggiunge che le donne belle di solito stavano molto poco nel tempio, quelle brutte, mesi. Erice e Locri.

Per onorare la divinità dopo una vittoria, molti Greci donavano fanciulle al tempio di Corinto (con Erice e Locri l’“Amsterdam” dell’antica Grecia), dove lavoravano come prostitute centinaia di schiave.

Testimonianze di prostituzione sacra riguardano anche Palestina, Siria, Egitto, la Mecca (prima della predicazione dell’Islam). Il meretricio sacro scomparve con le religioni monoteistiche, ovunque tranne che in area indonesiana e in India, dove le Deva-Dasi (prostitute templari danzatrici, che gli esploratori portoghesi chiamarono baiadere) vennero abolite per legge solo nel 1950.

http://www.focus.it/cultura/storia/sacerdotesse-e-prostitute

venerdì 24 febbraio 2017

Storia della prostituzione

venerdì 24 febbraio 2017



Quando è nata la prostituzione? Dove? Perché? Le professioniste dell’amore sono presenti in ogni epoca, ma con ruoli e status sociale sempre diversi e spesso sorprendenti.
Etèra, meretrix, cortigiana, fille galante, mantenuta, lucciola, bella di giorno, puttana... e l’elenco potrebbe continuare, fino alle escort e alle sex workers di oggi. È comunque quello che, con un eufemismo e molta maschile arroganza, chiamiamo il più antico mestiere del mondo.

Ma lo è per davvero? In realtà no, perché il concetto di prostituzione implica un contesto di rapporti economici e culturali che è estraneo all’uomo primitivo.
Osservando le nostre cugine scimmie si è portati però a credere che la prostituzione abbia, in un certo senso, basi biologiche. Fra gli scimpanzé pigmei dell’Africa Centrale, per esempio, le femmine si concedono ai maschi in cambio di frutti e altre leccornie. Perché lo fanno?
Dovendo sostenere per anni il mantenimento di cuccioli, la natura impone loro di selezionare maschi che “pagano”, cioè aiutano a mantenere i piccoli. E i doni finiscono per essere desiderati da queste scimmie anche in assenza di piccoli da mantenere...


Affreschi in un postribolo di Pompei.


CACCIATRICE DI UOMINI
La prostituzione umana ha però radici diverse. Ai tempi dell’uomo preistorico la coppia era probabilmente a termine (ai 6 -7 anni di età, i figli passavano sotto il controllo della tribù) e, secondo gli antropologi, nel sesso anche la donna era “cacciatrice”.

Solo con lo sviluppo dell’agricoltura e il passaggio dalla vita nomade a quella stanziale, circa 10 mila anni fa, nacquero, con la coppia stabile, la divisione fra sessualità maschile e femminile e, contemporaneamente, una divaricazione nel destino sociale delle donne.

Il motivo fu in effetti soprattutto economico: per difendere e tramandare la proprietà privata (nata appunto con l’agricoltura) ai propri figli maschi, la paternità doveva essere certa. Quindi diventava necessario imbrigliare la sessualità della “moglie”, limitandone le relazioni sociali al di fuori della famiglia. È a quel punto che, per soddisfare la richiesta sessuale dei maschi non accoppiati e le “eccedenze” di sessualità di quelli già accoppiati, nacquero le prime forme di prostituzione femminile, che da una parte non mettevano a repentaglio la famiglia e dall'altra permettevano la sopravvivenza di molte donne sole.
SESSO SACRO
In origine alla prostituzione si dedicavano le schiave, le giovani sterili o le vedove senza protezione, ma c'erano anche culti che la incoraggiavano (anche quella maschile) e sacerdotesse che diventavano prostitute sacre (vedi notizia).

L’istituzione delle prime case di tolleranza si fa invece risalire al padre della democrazia: Solone, il riformatore di Atene (VI sec. a. C.). Nella società ateniese, la vita sessuale maschile era a due facce: una privata, orientata verso le donne, di cui però si pensava non valesse la pena di parlare; l’altra pubblica, orientata verso i ragazzi. La disparità dei prezzi (vedi la gallery Millenni di sesso e soldi, più sotto) fa capire che vi erano diversi mercati sessuali per clientele diverse e con funzioni sociali diverse.

Al livello più basso vi erano le pornai dei bordelli pubblici, schiave appartenenti a un custode, il pornoboskos, che era tenuto a pagare una tassa sulla rendita delle sue dipendenti a un funzionario statale che si fregiava del titolo di pornotelones. Appena un gradino più in alto vi erano le prostitute da strada: potevano essere donne libere ma povere, oppure schiave.
Gli archeologi hanno ritrovato un sandalo disegnato in modo da lasciare impressa nella polvere la parola greca akolouthi (seguimi). Le danzatrici e le suonatrici che provvedevano a procurare l’indispensabile intrattenimento durante i banchetti erano un po’ più care.

Vi erano poi le etère, collocate sul gradino più alto della scala: alcune offrivano i loro favori a chiunque, altre a clienti fissi che però tenevano nascosti uno all’altro. Anche i filosofi frequentavano le etère; molte entravano nella scuola di Epicuro, anche come studentesse, e lo stesso Socrate si intrattenne varie volte con Aspasia.

Affresco in un lupanare di Pompei


FORNICARE SOTTO GLI ARCHI. Parente dell’etèra greca era nell’antica Roma la raffinata meretrix, mentre il popolo frequentava le prostitute dei lupanari, le lupae appunto. Nei bordelli (postribula) si incontravano schiavi, artigiani, soldati e marinai. L’élite, che aveva schiave in abbondanza per i propri piaceri, disprezzava quei posti. Luoghi di prostituzione erano taverne, bagni, terme (ad stuphas), le osterie con alloggio situate lungo le grandi vie romane, e sotto gli archi (fornices, da cui deriva il nostro verbo fornicare) dei principali edifici pubblici cittadini.

Le prostitute di basso rango erano, per la maggior parte, di proprietà di un leno, padrone di schiavi, mezzano e protettore (assistito da un servo detto villicus puellarum) che rastrellava l’intero bacino del Mediterraneo alla ricerca di ragazze e bambini da vendere sulla piazza del sesso a pagamento.

Accanto alla prostituzione femminile era infatti diffusa anche quella infantile, finché non fu proibita da un editto di Domiziano (fine I sec. d. C.). «Nessuno ti impedisce di andare dai prosseneti (mezzani)», esclama un personaggio di Plauto, «a patto che tu non tocchi una donna sposata, una vedova, una vergine, una giovane o dei fanciulli di nascita libera, ama chi vuoi!»
E Catone il Censore si felicita così con un amico incontrato all’uscita di un lupanare: «Bravo! È qui che i giovani devono soddisfare i loro ardori, piuttosto che attaccarsi alle donne sposate!»

Banchetto con etère nell'antica Grecia: gli amanti erano ostentati, le amanti nascoste

32 MILA PROSTITUTE 
I Greci avevano un magistrato addetto al controllo della prostituzione, mentre a Roma esisteva un “tribunale domestico” che vegliava sulla condotta di 32 mila prostitute. Durante l’impero divennero un capro espiatorio della crisi e furono oggetto di leggi speciali. Caligola (che pure aveva fatto aprire un bordello a corte) tassò le prostitute con il vectigal (abolito in seguito da Settimio Severo), Domiziano tolse loro il diritto di successione, Teodosio il Giovane soppresse i lupanari e punì con pene severissime i genitori che costringevano le figlie a prostituirsi. Giustiniano infierì su lenoni e tenutari, mandandone a morte alcuni, e introdusse protezioni per le prostitute che intendevano cambiare vita. La sua stessa moglie,Teodora, secondo lo storico Procopio di Cesarea, avrebbe esercitato in gioventù il meretricio.
CONDANNA COL FUOCO
Presso i barbari sembra che la prostituzione fosse meno diffusa. Ma Teodorico, re degli Ostrogoti, decretò la pena di morte per coloro che accoglievano presso di sé “donne infami”. Pene severe contro il commercio del corpo furono emanate anche da Carlo Magno e dai suoi successori: per esempio, percorrere per 40 giorni la campagna, nuda fino alla cintola, con il motivo della condanna scritto in fronte con un ferro rovente. A partire dalla metà del XIII sec., col fiorire delle attività mercantili, la cura dei postriboli divenne anche motivo di propaganda politica: era simbolo dell’efficienza dello Stato.

Molte prostitute si spostavano secondo il calendario di fiere, mercati, pellegrinaggi, concili. Oppure accompagnavano gli eserciti (consuetudine tramandatasi fino a epoche recenti: si pensi alle francesi putaines de regiment della Prima guerra mondiale), compresi quelli crociati. Quando re Luigi IX di Francia proibì ai suoi uomini di portarsele dietro (VI e VII crociata), essi rimediarono con schiave musulmane.
Nel 1400 la paura dello spopolamento dovuto a guerre ed epidemie fu all’origine, indirettamente, delle fortune del meretricio. Secondo le autorità civili era infatti necessario convincere molti giovani, distratti dai “crimini contro natura” (sodomia e masturbazione), a riscoprire le gioie dell’accoppiamento eterosessuale come viatico per il matrimonio e la procreazione.

Il Rinascimento vide affermarsi la cortigiana (così chiamata perché seguiva le corti), che ricalcava la figura dell’etèra greca. Le meretrices honestae possedevano un’educazione raffinata e nelle loro dimore passavano cardinali, artisti, nobili e re. Ma «per una che riesce ad acquistarsi delle terre al sole», scrisse Pietro Aretino nel 1536, «ce ne sono mille che finiscono i loro giorni in un ospizio».
Una foto alle pareti di una casa di appuntamenti degli Anni '30: serviva ad accendere le fantasie dei clienti.


LE REGOLE DI NAPOLEONE

L’atteggiamento della società verso le prostitute mutò quando in Europa si diffuse la sifilide, considerata un castigo divino, e prese avvio il vasto movimento di moralizzazione promosso da Riforma e Controriforma.

I postriboli vennero chiusi, le prostitute sottoposte a pesanti imposizioni fiscali e si tentò di relegarle in quartieri-ghetto. Tolleranza e repressione si alternarono nel corso dei secoli. 
Fino a Napoleone, fondatore della moderna regolamentazione delle case di tolleranza (passate sotto controllo dello Stato nel 1804; l’Italia ne seguì l’esempio col regio decreto del 15 febbraio 1860).
10 ANNI DI BATTAGLIE
Sempre nell’800 prese piede la casa d’appuntamenti, dove l’incontro fra cliente e prostituta si accompagnava a una parvenza di seduzione. È del 1904 il primo accordo internazionale contro lo sfruttamento della prostituzione, del 1910 la convenzione per la repressione della cosiddetta “tratta della bianche”.
Nella Russia dei soviet la prostituzione, considerata vergognoso retaggio dello “sfruttamento capitalistico”, resiste: nel ’22 furono censite 62 mila prostitute a Pietrogrado e Mosca. Solo nel ’46 la Francia chiuse i bordelli, seguita dalla Germania. In Italia la legge per l’abolizione delle case chiuse, presentata dalla senatrice socialista Lina Merlin nell’agosto del ’48, passò 10 anni dopo, il 4 marzo ’58, tra accese polemiche e tesi ancora oggi dibattute.

Fonte: www.focus.it
fonte: https://crepanelmuro.blogspot.it
 

mercoledì 22 febbraio 2017

Osho: Meditazioni Attive: fare per non fare

22/02/2017

Osho spiega il principio dell’attività totale che porta alla passività ricettiva della meditazione...
Un prezioso brano di Osho apparso su Osho Times n. 235


osho


La meditazione è sempre passiva, è la sua stessa essenza a essere passiva. Non può essere attiva perché la sua natura essenziale è il non-fare. Fare qualcosa, essere attivi, è incompatibile con essa. Ogni vostro intervento attivo, ogni vostra “attività”, in sé e per sé, viene a costituirsi come elemento perturbatore. 
Non-fare è meditazione, ma con una simile affermazione non intendo affatto che sia necessaria la completa inazione. Anche per conseguire un tale non-fare, c’è da fare parecchio! Non si tratterà però di meditazione, ma soltanto di una pedana, di un trampolino di lancio. Tutto il “fare” è soltanto un trampolino. Non è meditazione. 
Siete soltanto davanti alla porta, sugli scalini. La porta è il non fare, ma per raggiungere questo stato di completa inattività mentale c’è molto da fare. Non si deve però confondere questo lavoro preliminare con la meditazione. 
L’energia vitale opera per contraddizioni. La vita esiste come dialettica: non è un movimento semplice. Non fluisce come un fiume; il suo procedere è dialettico. Ogni suo moto crea il proprio opposto e mediante lo scontro degli opposti essa procede. A ogni nuovo movimento la tesi crea l’antitesi. E il processo continua senza interruzione: la tesi crea l’antitesi, si fonde con essa, diventando quindi una sintesi, che poi diviene a sua volta la nuova tesi, cui, nuovamente, si contrapporrà un’antitesi. 
Per movimento dialettico intendo che non si tratta di un semplice movimento lineare: il divenire procede da una diversificazione intrinseca, una scissione che dà origine agli opposti, che si riunificano per poi ridividersi in una nuova coppia di opposti. E il processo si ripropone pari pari nella meditazione, in quanto essa è la realtà più profonda nella vita. 
Se vi invito a rilassarvi, ciò vi riuscirà impossibile perché non saprete che fare. Vi sono molti pseudo-insegnanti di rilassamento che non fanno che dire: “Rilassatevi. Non fate nulla, tranne che rilassarvi”. E allora che fate? Potete mettervi a giacere, ma questo non è rilassarsi. La vostra inquietudine, la vostra agitazione interiore rimane inalterata, con l’aggiunta ora di un nuovo conflitto: dovete rilassarvi. Il vostro fardello si è appesantito. Nulla è stato tolto all’assurdità della vostra situazione, la vostra agitazione interiore è com’era, con qualcosa in più: dovete rilassarvi. Una nuova tensione è venuta ora a sommarsi alle vecchie. 
Chi cerca di vivere una vita rilassata è pertanto la persona più tesa che si possa immaginare. È inevitabile che sia così: non ci si rende conto del fluire dialettico della vita e ci si comporta come se essa fosse un processo lineare: basta comandarsi di rilassarsi e ci si rilasserà. 
Non è possibile! A chi si rivolge a me non dirò mai di rilassarsi. Cercate piuttosto dapprima di essere tesi, il più completamente possibile. Che la vostra tensione sia totale! Fate in modo che tutto il vostro organismo, da capo a fondo, sia teso e contratto, e spingetevi sempre più oltre su questa strada fino all’optimum, al limite estremo delle vostre possibilità. Allora, tutt’a un tratto, sentirete di cominciare a rilassarvi. Avete fatto tutto quanto era in vostro potere: adesso l’energia vitale creerà l’opposto. 
Avete portato la vostra tensione al culmine. Ora non c’è nulla oltre; non potete procedere. Tutta l’energia è stata devoluta a produrre tensione. Ma non potete continuare così indefinitamente: la tensione dovrà dissolversi; presto comincerà a farlo. Ora siatene testimoni. 
Perseguendo la tensione siete arrivati alla sua soglia, al suo limite estremo. Ecco perché non potete continuare. Ancora un passo e scoppiereste, morireste. Avete raggiunto il punto ottimale. Ora l’energia vitale si rilasserà senza che voi facciate nulla per questo. 
Si rilasserà. Voi siatene consapevoli, testimoni dell’insorgere del processo di rilassamento. Ogni arto del vostro corpo, ogni muscolo, ogni nervo, sta pian piano rilassandosi innocentemente, senza alcun intervento da parte vostra. Ogni sforzo per rilassarsi è assente; tutto succede da sé. Comincerete a sentire un numero costantemente crescente di punti del vostro organismo allentare la loro tensione; tutto il vostro organismo non sarà altro che una moltitudine di punti in progressivo rilassamento. Siatene consapevoli. 
Questa consapevolezza è meditazione. È non-fare. Voi non state facendo nulla, poiché essere consci non è un’azione. Non è affatto attività; fa parte della vostra natura, è una qualità intrinseca della vostra essenza. Voi siete consapevolezza. È la vostra mancanza di consapevolezza, piuttosto, a essere una vostra conquista e vi è costata uno sforzo tutt’altro che indifferente. 
La meditazione, per me, è costituita pertanto di due stadi: il primo è attivo (e non è affatto meditazione), il secondo è assenza di qualsiasi attività (la consapevolezza passiva che è la reale meditazione). La consapevolezza è sempre passiva, e nel momento stesso in cui divenite attivi la perdete. È possibile essere attivi e consci soltanto quando la consapevolezza è giunta a un punto tale che ormai non vi è più alcun bisogno di meditazione per raggiungerla, o per conoscerla, o per sperimentarla. 
Quando la meditazione è diventata inutile, non dovete fare altro che gettarla. Ora siete consci. Soltanto adesso potete essere attivi e consapevoli allo stesso tempo, non altrimenti. Fintantoché la meditazione è ancora necessaria, non sarete in grado di essere consapevoli durante l’attività. Ma quando potrete fare a meno della meditazione... 
Una volta divenuti meditazione, non ne avrete più bisogno. 
Potrete essere attivi, ma anche nel bel mezzo dell’attività sarete sempre lo spettatore passivo. Ormai non sarete più l’attore: sarete sempre una coscienza testimone. 
La coscienza è passiva... e la meditazione non può non esserlo, giacché essa è soltanto una via d’accesso alla coscienza, alla perfetta coscienza. Quando la gente discorre di meditazione “attiva” è quindi in errore. La meditazione è passività. È possibile che sia richiesta una certa attività, che sia necessario fare qualcosa, per attingere a questo stato – lo si può anche capire – ma ciò non certo perché la meditazione in sé sia attiva. Anzi, è proprio perché siete stati attivi per tante e tante vite, e l’attività è divenuta così una parte tanto preponderante della vostra mentalità, che dovete ricorrere a essa perfino per raggiungere l’inattività. 
Siete stati tanto coinvolti e tanto a lungo nel vostro attivismo che non potete rinunciare a esso con tanta facilità. Persone come Krishnamurti, quindi, hanno un bel ripetere: “Siate passivi”. Voi continuerete a chiedere come fare...
http://www.oshoba.it//index.php?id=articoli_view_x&xna=236 

martedì 21 febbraio 2017

Lettera dalla Kirghisia

21/02/2017




“In Kirghisia la notte è un incanto
e appartiene a tutti.”
(Silvano Agosti)

“Miei carissimi amici,
molti di voi sono sempre più increduli sull’esistenza di questa società che, con il massimo entusiasmo, sia pure in modo frammentario, vado descrivendo nelle mie lettere. Vi prego, in nome della nostra amicizia, di non cadere nell’inganno, definendo la Kirghisia un’utopia. Riflettete solo sul fatto che gran parte di ciò che vi circonda e appartiene alla vostra vita, un tempo neppure tanto lontano veniva considerato un’utopia.

Quando Leonardo da Vinci progettava le sue macchine volanti così simili agli elicotteri di oggi, o si ipotizzavano le prime ferrovie o persino quando si incominciò a parlare della pittura in movimento proiettata su grandi teli bianchi (il cinema); sempre si frenava ogni entusiasmo affermando che era impossibile, che si trattava di Utopie.

Del resto nel 1800 i grandi utopisti francesi teorizzavano, tra lo scherno dei contemporanei, un pranzo caldo al giorno per ogni cittadino. Certamente sareste anche più increduli se vi dicessi che, per incontrare il Primo Ministro qui in Kirghisia, è bastata una semplice telefonata e dopo meno di venti minuti parlavo con lui.

Dunque non è stato difficile farmi ricevere dal Primo Ministro del Governo in carica, anzi, come segno di cortesia verso uno straniero, sono stato invitato a pranzo con lui dal Primo Ministro del Governo per il Miglioramento della Qualità della Vita.

Del resto anche Indira Gandhi fece lo stesso e con analoga spontaneità. Ricordo che durante l’intervista filmata le dissi: «Ho una domanda delicata da farle.» E lei: «Prego.» «Molti dicono che qualcuno ti ucciderà.» Indira, annunciandola risposta con un sorriso indimenticabile ha sussurrato: «Che c’è di delicato nel fatto che mi uccideranno?» Dopo qualche tempo, qualcuno le ha sparato.

Qui in Kirghisia invece, le probabilità che qualcuno spari al Primo Ministro sono nulle. Non solo perché le armi sono state seppellite con riti analoghi alla sepoltura dei defunti, ma perché nessuno ha una qualsiasi ragione per uccidere un proprio simile.

«Invece di continuare a seppellire i morti per arma da fuoco come si fa ogni giorno in altri Paesi, noi abbiamo seppellito le armi. Esistono ormai veri e propri cimiteri dove abbiamo accatastato armi e veicoli da guerra, monumenti di un’epoca che speriamo non torni più.

Qui essere Primo Ministro è una professione volontaria. Ognuno può iscriversi alle liste del volontariato politico. Ogni tre anni si forma un nuovo governo, mentre quelli che hanno gestito il Paese entrano a far parte del nostro secondo governo, che si occupa di migliorare le condizioni di vita e perfezionare l’organizzazione dello stato.»

Sono affascinanti questi cimiteri delle armi, dove strumenti micidiali di morte semisepolti. Sembrano sprofondati nella terra. Abbiamo visitato, su mia richiesta, uno di questi cosiddetti cimiteri delle armi. Si tratta di grandi spazi, nei quali ogni genere di arma è semi sepolto e stupendamente ricoperta di ruggire, come scriveva un antico poeta kighiso:

“Vestite di ruggine le armi
e i vostri aratri
di riflessi lucenti.”

Sotto vetro vicino ad ogni arma un piccolo cartello informa: “Questo mitragliatore ha ucciso 850 esseri umani.” “Questo carro armato ha abbattuto 2.300 abitazioni civili.” “Questo tipo di bomba era in grado di uccidere 300.000 persone in pochi secondi.”

In alcune nicchie ci sono perfino alcune fotografie dei responsabili con titolo a eterno biasimo: “Costui ha inventato le mine antiuomo, responsabili della morte e della mutilazione di milioni di esseri umani.”

«Ma se una potenza straniera invade il vostro Paese?» Domando con acume tutto occidentale. «Grecia capta, coepit victores. La Grecia catturata, catturò i suoi vincitori. Come? Con la cultura. Qualsiasi popolo venendo a contatto con noi, si convincerebbe di quanto è semplice vivere in uno stato di perenne serenità. Li aspettiamo.» Il Primo Ministro è un ometto sulla cinquantina, vestito sobriamente, con un ciuffo di capelli bianchi che gli schiarisce la fronte.

«Sono il Primo Ministro solo da un anno e anch’io, come tutti in Kirghisia, lavoro tre ore al giorno.» «Com’è possibile che uno Stato funzioni quasi da solo?» «Il nostro principio motore è l’autogestione, a tutti i livelli,. Ogni abitante è in pratica Autore del proprio destino. Tutti hanno familiarità con tutti. Prima i ricchi vivevano isolati nelle loro ville.

Erano prigionieri del loro benessere e, direttamente o indirettamente, determinavano una società non serena, forse per rendere tollerabile il loro isolamento. Anche dopo le nostre riforme, hanno tentato di proseguire nella condizione di ricchi, isolandosi dagli altri, poi anche loro hanno dovuto aprire le porte e gli animi per partecipare al grande gioco della vita.

I loro parchi e i loro giardini si sono aperti a tutti e finalmente le voci dei bambini riempiono quella che un tempo era solo una dorata solitudine.» Mi accompagnava lui stesso dall’altro Primo Ministro e suo collega, il Capo del Governo per il Miglioramento, dal quale siamo invitati a pranzo.

Camminiamo a piedi in queste strade ampie, soleggiate e bonificate, perché libere dal traffico. La gente affacciata alle finestre saluta il Primo Ministro. Si direbbe che tutti lo conoscano, ma che anche lui conosca tutti. Mi vergogno al solo pensiero di chiedergli se non ha paura di andarsene in giro senza guardia del corpo o senza la macchina blindata.

Intervisterò anche il Capo del Governo per il Miglioramento. Chi amministra, raramente la la possibilità di migliorare le strutture operative, mentre un governo che si occupa solo di osservare il funzionamento delle istituzioni, può migliorarle sempre più. Il Primo Ministro del Governo per il Miglioramento è una donna.

Ci riceve mentre sta annaffiando il giardino. Posa con grazia la canna dell’acqua, poi sorridendo: «Volete accomodarvi? Il pranzo è pronto, ho cucinati io stessa.» Ci fa strada fino a una deliziosa piccola veranda, dove sediamo a una tavola accuratamente preparata. Al centro un ampio vassoio con gli antipasti tipici della Kirghisia.

Polpa di granchio su tartine imburrate al mais. Segue un delizioso fritto di pesce con insalate appena colte. Durante il pranzo l’attenzione dei due ministri è concentrata sulle mie domande. «Dunque volete che spieghi la funzione specifica del Governo per il Miglioramento del Paese?

Il Governo per il Miglioramento ha il compito di individuare e proporre soluzioni migliorative in ogni settore della vita pubblica. Proprio oggi ho esaminato un progetto particolare che forse riusciremo a realizzare. Si tratta di una cappa termica che interessa un centinaio di chilometri quadrati, capace di mantenere la temperatura della capitale al livello costante di 25 gradi.

In pratica queste nuove tecnologie consentirebbero di determinare una primavera permanente, permettendo ai nostri cittadini di vivere, se lo desiderano, sempre all’aria aperta, giorno e notte.» «E le stagioni e i cicli naturali del tempo?» Chiedo stupito. «Le stagioni le andremo a vedere ai confini della città. Ma ci vorrà ancora qualche decina di anni, il progetto va prima sottoposto a tutti i cittadini.

Senza l’unanimità da noi nessuna proposta viene attuata. Abbiamo calcolato col Ministro per il Miglioramento delle Finanze, che questo nuovo modo di vivere abbasserebbe il costo pro capite di ogni cittadino, consentendo di diminuire l’orario di lavoro a un’ora al giorno o, a scelta, a un giorno la settimana naturalmente sempre a pieno stipendio.»

Questa mia nuova giornata in Kirghisia termina con una visita all’ospedale, completamente autogestito dai malati. I meno gravi o i convalescenti si occupano di cucinare o di riordinare le stanze. I medici non hanno camici, ma sono vestiti della loro competenza.

Torna alla mente Franco Basaglia che, dopo aver vinto la sua battaglia per mettere fuorilegge i manicomi e dopo aver liberato decine di migliaia di malati dai letti di contenzione e dagli elettroshock, diceva ai giovani medici:

«Non indossate il camice, la gente deve riconoscere chi è il medico dal comportamento e non dalla divisa.» Franco Basaglia cittadino onorario di Kirghisia. Amici cari, per ora vi saluto e vi abbraccio.” (Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, Edizioni L’Immagine)

http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2017/02/lettera-dalla-kirghisia.html 

lunedì 20 febbraio 2017

«Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all’uomo, non servirà all’uomo per comprendere se stesso, finirà per rigirarsi contro l’uomo.»

20/02/2017

 


«...Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo... l'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo...»


[Giordano Bruno] da: Spaccio de la bestia trionfante

1 Gennaio 1548- 17 Febbraio 1600

Un po' di storia:
http://arpaeolica.blogspot.it/2017/02/17-febbraio-pagina-dedicata-giordano.html



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sabato 18 febbraio 2017

Come liberarsi dall’attaccamento alle cose? – Eckhart Tolle

18/02/2017



Testi e immagini per la meditazione - yoga - meditation - mindfulness - zen - buddhismo
 Uno dei presupposti dettati dall’inconsapevolezza è che, identificandosi con un oggetto attraverso l’inganno della proprietà, l’apparente solidità e permanenza di quell’oggetto materiale fornirà anche il vostro senso di sé di una maggiore solidità e permanenza. Ciò si riferisce in particolar modo alle case e ancora di più alla terra, proprio perché credete che sia l’unica cosa che non possa essere distrutta. L’assurdità di possedere qualcosa diventa ancora più evidente nel caso della terra. Nei giorni della colonizzazione dei bianchi, i nativi del Nord America trovavano la proprietà della terra un concetto incomprensibile. Fu così che l’hanno persa quando gli europei fecero firmare loro pezzi di carta che erano altrettanto incomprensibili. Essi sentivano di appartenere alla terra, ma che la terra non apparteneva a loro.

L’ego tende a equiparare l’avere con l’Essere: io ho, dunque sono. E più ho, più sono. L’ego vive attraverso il paragone. Il modo in cui vi vedono gli altri diventa il modo in cui vedete voi stessi. Se ognuno vivesse in un palazzo e fosse ricco, il vostro palazzo o la vostra ricchezza non vi servirebbero ad accrescere il vostro senso del sé. In quel caso vi potreste trasferire in una semplice capanna, dare via la vostra ricchezza e riconquistare un’identità considerandovi e venendo considerati più spirituali degli altri. Come siete visti dagli altri diventa lo specchio che vi dice come siete e chi siete. La percezione che l’ego ha della propria importanza è, nella maggioranza dei casi, legata all’importanza che avete agli occhi degli altri. Avete bisogno degli altri per avere un senso del sé e se vivete in una cultura che lo fa equivalere in gran misura con quanto e cosa possedete, se non riuscite a leggere attraverso questa illusione collettiva, sarete condannati a rincorrere il possesso delle cose per il resto della vostra vita nella vana speranza di trovare in esse il valore e la pienezza del vostro senso del sé.
Come liberarsi dall’attaccamento alle cose? Non provateci nemmeno. È impossibile. L’attaccamento alle cose cade da solo nel momento in cui non cercate più di trovare voi stessi in esse. Nel frattempo, siate solamente consapevoli del vostro attaccamento alle cose. A volte potrete anche non sapere di essere attaccati a una cosa, vale a dire identificati con questa, fino al momento in cui la perdete, o temete di perderla. Se allora vi turbate, diventate ansiosi e via dicendo, vuol dire che siete attaccati. Se siete consapevoli di essere identificati con una cosa, l’identificazione non è più totale. “Io sono la consapevolezza che è consapevole che vi è attaccamento.” Questo è l’inizio della trasformazione della coscienza.
http://www.meditare.net/wp/spiritualita/come-liberarsi-dallattaccamento-alle-cose-eckhart-tolle/ 

venerdì 17 febbraio 2017

SAN FRANCESCO QUELLO VERO

17/02/2017




«Parlava con tutti gli animali, con i lupi; abbracciava i maiali, si spogliava nudo in chiesa, lavorava con i muratori e si faceva beffe delle autorità». Era il vero San Francesco d’Assisi, il “giullare di Dio” cantato da Dario Fo. Non era affatto un uomo di Chiesa: era un laico, che amava la sua compagna – Chiara – e predicava il messaggio di Cristo alle folle, criticando i ricchi e i potenti. Non era un prete, dunque, ma un cavaliere: ispirato dai Templari. E per giunta figlio di una donna proveniente dalla Linguadoca, la terra dei càtari, dove la Crociata Albigese stava facendo decine di migliaia di morti, con lo sterminio sistematico dei “boni homines”, i cristiani alternativi che stavano dalla parte degli ultimi. Ma poi accadde che, appena dopo la sua morte, il vero Francesco d’Assisi scomparve di colpo. Tutti i suoi documenti furono distrutti, bruciati. La sua memoria, cancellata. Al suo posto, nacque un nuovo San Francesco. Inventato di sana pianta, completamente falso: il San Francesco cattolico. Per riesumare le prime tracce di quello autentico ci vollero cinque secoli, col riemergere di un libro antico. Ma ormai era tardi: il Vaticano aveva fabbricato il docile “format” francescano, impresso nell’immaginario popolare.

E’ la grande rivelazione al centro del libro “San Francesco, le verità nascoste”, a cura di Gian Marco Bragadin. In 488 pagine pubblicate dalla casa editrice Melchisedek, il libro racconta la vera vita e il carattere del santo d’Assisi, rivelando «l’ipocrita Chiara e Francescoricostruzione che lo ha trasformato nel più fedele e mansueto servitore della Chiesa, nel medioevo e oltre, fino ai giorni d’oggi». Una clamorosa manipolazione storica: «Moltissimi documenti – scritti, memorie su Francesco (e probabilmente anche su Chiara) – sono stati dati alle fiamme per non propagare un ritratto non idoneo a farne un obbediente santo della Chiesa cattolica», racconta Bragadin, intervistato da “AdnKronos”. Un lavoro, il suo, sulla stessa lunghezza d’onda di “Francesco D’Assisi, la storia negata”, pubblicato di recente da Laterza e scritto dalla storica medievale Chiara Mercuri. Non a caso, per “riscrivere” la biografia dell’uomo di Assisi, fu incaricato «un frate erudito», Bonaventura, «che però non aveva conosciuto Francesco». Al biografo infedele fu ordinato di raccontare la vita del santo «attutendo, modificando, spesso cancellando del tutto ogni aspetto che poteva mettere in discussione quel ritratto del “poverello d’Assisi” che si è perseguito per secoli».

Quali sono, dunque, le verità nascoste? «Praticamente tutto quello che Francesco è stato ed ha fatto, per gran parte della sua vita», spiega Bragadin all’“AdnKronos”, sottolineando come San Francesco sia stato «un guerriero, che ha combattuto e che è stato imprigionato, e che più volte ha tentato di andare alla Crociata per diventare un valoroso cavaliere». Il vero Francesco «si è innamorato dell’ideale dei Templari, al punto che il suo ordine è modellato su quello templare». Inoltre, «templari erano alcuni suoi frati». La stessa madre di Francesco era nativa dell’Occitania, la patria dei càtari, cristiani “eretici” perché dualisti come i mazdei, i seguaci di Zoroastro, convinti che la creazione fosse opera del demiurgo, il “dio straniero”, nonostante ogni creatura avesse in sé la scintilla divina del “padre celeste”. In un mondo, quello feudale, basato sulla pretesa investitura “divina” del potere e quindi della proprietà terriera, il messaggio sociale dei càtari era devastante, intollerabile per l’ordine Gian Marco Bragadincostituito: i “buoni cristiani” (così si chiamavano, tra loro) erano convinti che niente e nessuno potesse legittimare la “privata proprietà dei beni”. Da qui la loro scelta di campo, a fianco degli ultimi.

«Dai càtari – conferma Bragadin – Francesco ha preso il concetto di servizio ai poveri, il rifiuto della proprietà. Ma non si deve dire, perché la Chiesa all’epoca lanciò una crociata per distruggere i càtari, con massacri orribili». Si ricorda quello di Béziers: 20.000 persone sterminate per essersi rifiutate di consegnare ai crociati i 200 eretici presenti in città. «Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi», fu l’ordine dell’abate Arnaud Amaury, capo spirituale della crociata. Era il 1209. L’ultimo grande eccidio, nel 1244, a Montségur, sui Pirenei, con 220 “perfetti” càtari arsi sul rogo. Ma non finì lì. Proprio per debellare il Catarismo fu istituito il tribunale speciale dell’Inquisizione, che impiegò 70 anni ad estirpare l’eresia, con “purghe” terribili, torture, roghi. Un regime di terrore, fondato sulla delazione, che devastò la Francia meridionale, distruggendo il tessuto sociale di una regione che, per Simone Veil, era stata la culla della civiltà mediterranea medievale, la terra tollerante dov’era fiorita la poesia dei trovatori. Più tardi la contro-predicazione evangelica dei “buoni uomini” avrebbe lambito lo stesso ordine francescano, a lungo ritenuto anch’esso in odore di eresia, data la sua predilezione per i poveri e i loro diritti.

Ma Francesco d’Assisi – quello vero – non stimava solo i càtari. «Ha tentato in tutti i modi il contatto con i musulmani», racconta Bragadin: «Non per convertirli (lui non giudicava nessuno, mostrava il suo esempio di vita), ma per trovare i punti di unione tra le religioni, per raggiungere una pace duratura». Ancora oggi, da allora, i francescani hanno la cura del Santo Sepolcro a Gerusalemme, dono del Sultano a Francesco e Frate Elia. Tutte verità nascoste, perché Francesco, aggiunge Bragadin, «ha vissuto una esistenza da eretico, sempre sul filo di finire al rogo». Vista però la sua enorme popolarità, dovuta al rivoluzionario messaggio d’amore che portava, «si è fatta conoscere solo una parte della sua vita, nascondendo tutto ciò che lo riguardava», incluso il legame con «la sua amata compagna Chiara», unione che «poteva essere disdicevole per l’istituzione ecclesiastica». Pochi sanno, continua Bragadin, che Francesco «ha voluto restare sempre un laico». Certo, un laico sui generis: «Predicava il Vangelo nelle piazze, alle feste, nei mercati: come poteva, la rigida Chiesa del tempo, ammettere che un laico parlasse di Cristo alla gente? Poteva predicare agli uccelli o ai lupi, non alla gente. E invece Francesco non ha fatto altro per tutta la vita, perfino quando era malato». Non a caso, la storica Chiara Frugoni, in varie interviste, si domanda perché Chiara Frugoni, storicaesistano migliaia di quadri e affreschi su Francesco, ma neanche uno in cui predica. «E la ragione è la seguente: non si voleva tramandare l’immagine di un laico che parlasse di Cristo».

Morto Francesco nel 1226, allontanati i suoi vecchi confratelli e segregata Chiara nel convento, sono scattate le grandi manovre per cancellarne la vera storia e dare ai fedeli «una immagine edulcorata di mansueto, docile soldatino della Chiesa cattolica», spiega Bragadin, attingendo a diverse fonti, tra cui molti scritti di Tommaso da Celano. Come si organizzò la grande impostura? Già nel 1260, al Capitolo, l’annuale riunione dei francescani che quell’anno si teneva a Narbonne, nella Francia mediterranea. A frate Bonaventura venne affidato il compito di scrivere una nuova biografia di Francesco, che fu poi approvata a Pisa nel 1263, durante il Capitolo successivo. Tre anni dopo, sempre il Capitolo (stavolta riunito a Parigi) «giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precedenti alla “Legenda Maior”, con la scusa che biografie diverse avrebbero condotto l’ordine verso una divisione». Una scelta atttuata in modo così meticoloso, aggiunge Bragadin, da far sparire dalla faccia della terra anche gli scritti di Francesco e quelli di Chiara, le lettere, le testimonianze. «Non solo: vennero distrutti nelle chiese immagini, affreschi, tutto». Damnatio memoriae. Sepolto il vero Francesco, doveva sopravvivere solo quello falso. E così sarebbe stato, fino al 1768.

Quell’anno, ormai in pieno Illuminismo, viene ritrovata miracolosamente “La Vita Prima”, del Celano, «a più di cinque secoli dalla morte di Francesco». Poco dopo torna alla luce anche “La Vita Seconda”, un manoscritto che Bragadin definisce «molto difettoso», scoperto nel 1806. E infine il terzo libro, “Il Trattato dei Miracoli”, «acquistato casualmente a un’asta pubblica nel 1900». Grazie a quei tre volumi, spiega l’autore, si è potuta finalmente ricostruire la biografia autentica del vero Francesco. Ma nei cinque secoli precedenti, aggiunge, il Vaticano «ha avuto tutto il tempo di costruire una storia artificiale e falsa». Lo confermano anche gli storici ufficiali: nell’agiografia di Bonaventura «si inventano anche false vicende, per far corrispondere la figura di Francesco a quanto si voleva tramandare, funzionale cioè alla posizione che voleva prendere l’ordine. E si trascura del tutto, naturalmente, la figura di Chiara e le sue vicende, quasi che le clarisse non facessero parte del movimento». Di Chiara «si sa poco», conferma il medievista Franco Cardini. Anche perché attorno al santo di Assisi fu fatta, letteralmente, terraFranco Cardinibruciata: Bonaventura ordinò di dare alle fiamme tutti gli scritti su Francesco. «Sembra un ordine dal Cremlino». Da quel momento, la verità su Francesco, non sarebbe più stata quella della sua vita privata, ma una verità imposta dalla Chiesa.

Bragadin ha ignorato la storiografia ufficiale, affidata a documenti autentici ma inattendibili (menzogneri) e si è spinto in pellegrinaggio ad Assisi per almeno cento volte in un quarto di secolo, raccogliendo indizi e confidenze preziose da anziani monaci, segeretamente “innamorati” del vero Francesco. «Ho studiato attentamente ogni cosa – racconta – incluse le informazioni su Internet di frati o storici non allineati come Paul Sabatier, che ipotizza tutto quello che poi io ho provato a raccontare». E’ il caso, per esempio, dei colloqui con vecchi frati amici che «se ne fregavano, data l’età, di mantenere segreti sui due santi d’Assisi e sul loro immenso amore cosmico, che nell’ordine si tramandava per via orale». Dalle biografie di Celano, poi, affiorano storie «che sono al limite della decenza», perché emerge un Francesco che si mette a nudo, in chiesa, spogliandosi completamente. «Un estremista, barricadero, che incita la folla contro i potenti. No, un santo così non lo si può accettare». E’ decisamente troppo, per vescovi e cardinali.

L’autore parla anche dell’amore di Francesco per i Sufi, l’elusiva confraternita dei mistici orientali approdati all’Islam dopo aver attraversato l’induismo e il buddismo, mantenendo vivi molti aspetti del mazdeismo zoroastriano. Un network segreto, quello dei Sufi, da sempre impegnato per la pace. E’ un rosario Sufi, scrive Bragadin, quello tumulato insieme alle spoglie di Francesco, di cui l’autore ripercorre anche lo storico viaggio in Terrasanta. Fonti e storici ufficiali, racconta Bragadin, negano che Francesco, dopo i massacri dei Crociati a Damietta, nel 1220, si sia recato a Gerusalemme, nonostante avesse un permesso Il libro di Bragadinspeciale del sultano El-Kamil, che aveva incontrato. «Ma come possiamo credere – dice l’autore – che Francesco, a pochi passi dalla meta, in quasi un anno di permanenza in Terrasanta, rinunci al sogno di una vita, visitare i luoghi santi del suo Gesù?». Altri documenti, infatti, dimostrano che quei luoghi li ha visitati. Lo ammette anche Ratzinger, sicuramente basandosi su fonti inoppugnabili: «San Francesco ha visitato il Santo Sepolcro, ci sono elementi certi», scrive Benedetto XVI. «Ha gettato un seme che avrebbe portato molto frutto».

Gli stessi documenti arabi confermano che Francesco abbia incontrato i Sufi: «Metà del “Cantico di Frate Sole”, sembra tratto dai poemi di Rumi», il massimo poeta islamico, afghano, fondatore della prima scuola Sufi dei Dervisci Rotanti. E il sultano, Francesco l’aveva incontrato «non certo per “convertirlo” (una fissa della Chiesa Cattolica), ma per confrontarsi in un rapporto di amore reciproco». Pace, nella diversità: unire ciò che è stato diviso. Francesco faceva parte, dunque, di una sorta di “intelligence informale” dell’epoca: una rete che, evidentemente, condivideva conoscenze esoteriche e collaborava per l’unità sostanziale dei popoli, al di là delle differenze religiose. “Perché il mondo non è nostro, e noi non siamo del mondo”, recita il “Pater” dei càtari, che sembra ispirato direttamente da Zoroastro e invita a liberarsi del “giogo” della materia. “Nel mondo, ma non del mondo”, è il motto dei Sufi. “Nulla possedendo, da nulla essendo posseduti”. Ecco in cosa credeva Francesco. Quello vero.

(Il libro: Gian Marco Bragadin, “San Francesco. Le verità nascoste”, Melchisedek, 492 pagine, euro 21,25, ebook a 12,99 euro).

fonte: libreidee


http://altrarealta.blogspot.it/

giovedì 16 febbraio 2017

Trump fa il muro? I messicani hanno già inventato la catapulta lancia erba

16/02/2017
Una catapulta artigianale per lanciare pacchi di marijuana oltre il confine è stata scoperta dagli agenti della Us Border Patrol (la polizia di confine degli Usa). La catapulta è stata individuata in territorio messicano, a pochi metri di distanza dalla frontiera con lo stato dell’Arizona.
La catapulta è stata avvistata dagli agenti americani, che mentre si avvicinavano alla costruzione per le verifiche hanno notato diversi uomini allontanarsi in tutta fretta. Affianco alla catapulta sono stati ritrovati due pacchi di marijuana imballata e pronta per essere scagliata oltre confine, dal peso di 47 chilogrammi complessivi.
La catapulta per la marijuana realizzata in metallo è solo l’ultimo degli stratagemmi scoperti dalla polizia di frontiera per fare entrare illegalmente merci vietate (in gran parte droghe) oltre confine. I metodi usati vanno dai più elaborati, come il tunnel con tanto di binari e sistema di refrigerazione scoperto nel 2015 e costruito presumibilmente dalla banda del famoso narcotrafficante El Chapo, a quelli più arrangiati, come le finte partite di carote ripiene di cannabis, o le rocce da costruzione ripiene.
In questi giorni giorni il nuovo presidente degli Usa Donald Trump ha affermato che il muro e l’aumento dei controlli al confine con il Messico servirà anche a fermare il traffico di droga. Difficile possa funzionare quando per superare un muro basta una catapulta, molto di più può la legalizzazione, che – ed è dimostrato – ha già inferto un colpo pesante al sistema dei narcos.
http://www.dolcevitaonline.it/trump-fa-il-muro-i-messicani-hanno-gia-inventato-la-catapulta-lancia-erba/

mercoledì 15 febbraio 2017

Esiste sempre una soluzione.

15/02/2017



«Voi vorreste che vi fosse rivelato un metodo che vi darà la possibilità di risolvere tutti i problemi e affrontare tutte le situazioni, come fosse una chiave che apre tutte le porte…
Un tale metodo, però, non esiste. Il metodo che ieri ha funzionato, oggi non è più efficace e occorre cercarne uno nuovo. Ieri, per esempio, un pensiero che avete letto vi ha permesso di avere una visione chiara o di ritrovare la serenità, ma oggi le condizioni sono diverse e quel pensiero non agisce più: dovete cercarne un altro. È così che, giorno dopo giorno, il Cielo ci obbliga ad avanzare, a fare delle scoperte, altrimenti ci addormenteremmo.
Ogni giorno la vita ci presenta nuove configurazioni, una nuova disposizione delle cose, nuovi rapporti di forze, dunque nuovi problemi da risolvere; e se ieri la soluzione consisteva nel fare appello alla saggezza, forse oggi sarà efficace l’amore, oppure la volontà o l’elasticità o la pazienza.
Esiste sempre una soluzione, ma ogni volta occorre fare lo sforzo di cercarla.»
Omraam Mikhael Aivanhov
 http://unicacoscienza.altervista.org/omraam-mikhael-aivanhov-esiste-sempre-soluzione/

martedì 14 febbraio 2017

Le suore che coltivano Maria

14/02/2017
Si fanno chiamare “Sister of the Valley” e hanno una sola vocazione: la Marijuana.
Indossano vesti semplici, molto simili a quelli delle suore, ma non fanno capo a nessun credo religioso, non pregano e non cercano adepti. E allora cosa fanno? Coltivano.
In una valle della California queste donne producono incessantemente olio di Cannabis, unguenti, creme ed Erba, il tutto con amore e devozione. La loro missione è proprio quella di portare guarigione e sollievo con metodi del tutto naturali tramite i mille benefici della Marijuana.
Chiaramente la Chiesa Cattolica e alcuni critici non vedono di buon occhio che queste donne si facciano chiamare “sorelle” e vestano la tonaca, ma a loro non interessa anzi, si dicono soddisfatte che vengano mosse criticità sull’aspetto esteriore e si tralasci quello che invece fanno concretamente, senza attaccare i benefici terapeutici della Maria.
Tanto lo sappiamo tutti che non è l’abito a fare il monaco.
http://www.dolcevitaonline.it/le-suore-che-coltivano-maria/