15 Luglio 2016
Ero ospite in un villaggio. Sebbene fosse piccolo, aveva un
tempio, una moschea e pure una chiesa. Quella gente era molto religiosa e al
tramonto, ogni giorno, andava nel proprio luogo di adorazione. Perfino di notte
nessuno andava a letto, se non dopo aver fatto una visita. E quasi ogni giorno
si celebravano feste religiose.
Ma la vita di quel villaggio assomigliava a quella di molti
altri villaggi. La religione e la vita non sembra si siano mai toccate: la vita
ha i suoi percorsi e la religione ne ha altri; corrono parallele tra loro,
pertanto non si pone mai il problema di un loro incontro. Come risultato la
religione di quei paesani divenne arida e spenta, e le loro esistenze scorrevano
senza alcuno spirito religioso.
Ciò che accadeva in questo villaggio sta accadendo in tutto
il mondo. Visitai ognuno dei loro luoghi di culto per un paio di giorni,
cercando di cogliere qualche segno nei cuori di quei cosiddetti devoti e nei
sacerdoti. Scrutai nei loro occhi, sondai le loro preghiere, parlai con loro,
esaminai le loro esistenze. Osservai il loro andirivieni, i loro stili di vita
e visitai alcune delle loro case. Interrogai i vicini, raccolsi le opinioni dei
seguaci di una fede, rispetto alle altre. Presi informazioni dai sacerdoti di
un tempio, rispetto agli altri. Misi a confronto gli studiosi di una religione
con quelli delle altre...
giunsi così alla conclusione che quel villaggio in apparenza
religioso era assolutamente irreligioso. C’era una facciata di religione e una
vita irreligiosa.
Una simile facciata è necessaria solo se si vive una vita
priva di spirito religioso. Infatti, i luoghi di culto non esistono forse solo
per nascondere scene del crimine?
I cosiddetti sacerdoti di Dio non avevano nulla a che fare
con lui; di certo volevano che continuasse a esistere, perché portava soldi! E
i devoti di qualsiasi fede non provavano alcun amore per il loro Dio: stavano
cercando una sicurezza dalle paure e dai pericoli del mondo, e pregavano Dio
perché li aiutasse a realizzare i loro desideri mondani. Inoltre, coloro le cui
vite stavano per finire volevano essere rassicurati da Dio rispetto alle vite
future: tutti in quel posto amavano solo i piaceri, gli svaghi e i divertimenti.
Poiché il loro amore era rivolto soltanto al mondo, nessuna
delle loro preghiere era, di fatto, un’orazione rivolta a Dio. Nelle loro
preghiere chiedevano di tutto, fatta eccezione per un risveglio dello spirito
e, in realtà, finché una preghiera racchiude in sé una richiesta, non è affatto
intesa come rivolta a Dio.
Una preghiera diventa reale solo quando è libera da domande,
richieste, pretese. Anche se racchiude una brama di Dio, quella preghiera non è
reale; lo è soltanto quando è del tutto libera da qualsiasi bisogno. E di certo
una simile preghiera non può contenere alcuna lode: la lode non è preghiera, è
adulazione, lusinga; elogiando Dio si tenta di corromperlo. Questa non è solo
la manifestazione di una mente ben misera, è anche un tentativo di ingannare...
e cos’altro potrebbe essere più stupido di un tentativo di truffa come questo?
Facendolo, non si fa altro che ingannare se stessi.
Amici miei, la preghiera non è un domandare: è amore, è un
arrendersi alla totalità dell’esistenza.
La preghiera non è un adulare: è un profondo stato di
gratitudine; e là dove c’è un senso di riconoscenza così profondo, non esistono
parole.
La preghiera non è linguaggio, è silenzio; è un consacrarsi
all’infinito. La preghiera non possiede parole, è la musica dell’infinito: una
musica simile ha inizio, quando tutte le altre finiscono.
La preghiera non è
devozione, né può esserci alcuno spazio per un qualsiasi culto.
La preghiera non ha nulla a che fare con il mondo esteriore; non ha alcuna
relazione con l’altra gente: è il più intimo risveglio del proprio essere.
La preghiera non è azione, è consapevolezza; è presenza
consapevole: non è un fare, è un essere.
Alla preghiera occorre unicamente la nascita dell’amore.
Perché accada, neppure il concetto di Dio è di qualche utilità, addirittura è
un ostacolo insormontabile. Ovunque ci sia preghiera, là c’è Dio; ma ovunque
esista l’idea di Dio, il divino è incapace di essere presente, proprio a causa
di quella presenza.
La verità è una sola. Dio è uno solo. Invece le menzogne
sono tante, le idee e i concetti sono tanti; pertanto i templi sono tanti.
Proprio per questo non diventano soglie bensì mura che annullano qualsiasi
tentativo di realizzare il divino.
Chi non ha trovato il tempio di Dio nell’amore non troverà
il divino in nessun altro tempio.
Cos’è l’amore? È forse attaccamento a Dio? Un attaccamento
non è amore: là dove esiste attaccamento, c’è sfruttamento. Nell’attaccamento
qualcun altro è il soggetto, e quel soggetto è l’io. In realtà, in amore
l’altro non esiste: essere in relazione con qualcun altro implica l’ego; e là
dove l’ego esiste, non c’è alcun Dio.
L’amore esiste e basta; non è orientato verso qualcuno: è
semplicemente presente. Là dove esiste un amore per qualcuno, là è presente la
delusione; un simile “amore” è attaccamento, è un desiderio. Quando l’amore è
semplicemente fine a se stesso, ecco che non esiste alcun desiderio: quella è
preghiera. Il desiderio è simile ai fiumi che scorrono verso l’oceano; l’amore
è simile all’oceano stesso: non scorre verso alcuna meta. È semplicemente se
stesso, non ha alcuna attrazione per nessuno; esiste di per sé e, come
l’oceano, anche la preghiera è così. Il desiderio è il fluire, l’attrazione e
la tensione; la preghiera è uno stato dell’essere: si acquieta in se stessa.
Amore e perfezione si attirano senza alcun motivo, senza che
si siano viste e senza essere tirate.
Io chiamo questo tipo d’amore “preghiera”.
In tutti gli altri casi le nostre preghiere non sono vere,
sono soltanto autoinganni.
Un prigioniero condannato all’impiccagione giunse al
carcere. Ben presto, l’intera prigione echeggiò delle sue preghiere a Dio: le
sue devozioni e le sue orazioni iniziavano prima dell’alba. Il suo amore per
Dio era sconfinato, quando pregava dai suoi occhi scorrevano
fiumi di lacrime. Nacque così un senso di distacco, generato dal suo amore per
Dio, presente in tutti i suoi inni devozionali: lui era un devoto di Dio e, ben
presto, gli altri prigionieri divennero suoi seguaci.
Il direttore del carcere e tutti i secondini iniziarono a
trattarlo con rispetto; e la sua routine di orazioni continuò arrivando a
coprire l’intera giornata e la notte. Mentre si alzava, si sedeva o camminava,
le sue labbra continuavano a ripetere: “Rama, Rama, Rama”. Tra le sue mani i
grani del rosario scorrevano ininterrottamente, persino sul suo scialle aveva
fatto stampare “Rama, Rama, Rama” ovunque!
In tutte le sue ispezioni il direttore del carcere trovava
quest’uomo intento nelle sue devozioni. Ma un giorno, quando si presentò,
scoprì che il prigioniero stava ancora dormendo della grossa, sebbene il sole
fosse ormai alto!
Il suo scialle e il suo rosario giacevano ignorati in un
angolo. Il direttore pensò che forse non si sentiva bene; ma quando si informò
presso gli altri prigionieri, gli fu detto che stava benissimo. Eppure nessuno
sapeva come mai le sue preghiere a Dio si erano interrotte all’improvviso, la
sera precedente.
Il direttore svegliò il prigioniero e gli chiese: “Il sole è
ormai sorto da tempo, non preghi più al mattino?”.
Il prigioniero replicò: “Pregare e adorare? Perché mai
dovrei farlo, adesso? Proprio ieri ho ricevuto una lettera da casa in cui mi si
informa che la pena di morte è stata commutata in sette anni di carcere.
Qualsiasi cosa volevo da Dio mi è stata concessa: non sarebbe giusto disturbare
ulteriormente quel poveretto... per nulla!”.
Osho: Crea il tuo destino
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