22 luglio 2013 by
Luca Speranza
I
vari nutrizionisti, eseguendo test, analisi chimiche e ricerche di
laboratorio, ci dicono come dovremmo nutrirci: ad esempio quanto calcio
dovremmo assumere giornalmente, quali vitamine, quante proteine, omega
3, ecc.. E così le persone più interessate alla propria salute cercano
di informarsi e di mettere in pratica quanto leggono, tentando di
consumare tutti i cibi consigliati, nelle giuste quantità, non omettendo
di assumere i vari supplementi, integratori, polveri, pillole, in modo
da essere sicuri di non incorrere in alcuna carenza.
E questo porta all’idea di “dieta equilibrata”… che nessun animale, che si trovi allo stato naturale, segue!
Come si può sapere allora ciò che dovremmo mangiare? Sembra che solo
gli esperti di laboratorio possano dircelo. La nutrizione sembra un
argomento così complicato… infinite teorie, così contrastanti, infinite
conoscenze da acquisire…
Eppure, per gli animali in natura, il fatto di nutrirsi non è per niente complicato!
Essi si cibano di ciò che la Natura ha predisposto per loro, allo
stato crudo, non manipolato in alcun modo. Ci sarebbe da chiedersi come
mai l’uomo non faccia più altrettanto!
D’altro canto gli antropologi cercano di darci una mano a risolvere
la questione formulando ipotesi, basate sulle loro scoperte, riguardo al
cibo di cui l’uomo si sarebbe nutrito per milioni di anni prima
dell’invenzione del fuoco e della nascita dell’agricoltura, in modo da
individuare il nostro regime dietetico originario, quello che Madre
Natura avrebbe stabilito per la nostra specie.
Per esempio il grande igienista australiano Ross Horne, nel suo
bestseller, “Improving on Pritikin”, cita le conclusioni
dell’antropologo Dr. Alan Walker (9), il quale riferisce che alcuni
scienziati hanno dimostrato, attraverso l’esame dei denti fossilizzati
appartenuti ad esemplari delle prime creature umane e pre-umane, che la
nostra linea ancestrale si è evoluta, anatomicamente e fisiologicamente,
seguendo una dieta composta principalmente di frutta. E siccome,
prosegue Horne, il corpo umano non è cambiato, né in senso anatomico né
in quello fisiologico, in tutti i milioni di anni della nostra
evoluzione, si può assumere che questa dieta sarebbe ancora oggi la più
adatta a noi.
Ma anche nel campo evoluzionistico, come ovunque, vi sono molteplici
teorie, talvolta contrastanti, che suggeriscono ovviamente differenti
deduzioni. C’è chi sostiene che l’uomo sia nato onnivoro (cacciatore e
raccoglitore dei vari frutti, semi e foglie presenti in natura) e che
quindi dovremmo mangiare un po’ di tutto, cioè carne, pesce, latte e
formaggi, cereali, legumi, frutta e verdura. Bisognerebbe, in questo
caso, tenere comunque presente che latte e derivati, e cereali, sono
apparsi solo recentemente nella storia evolutiva dell’uomo, poiché la
nascita dell’agricoltura è avvenuta circa 10000 anni fa, e con essa
anche l’inizio dell’allevamento di animali e quindi la disponibilità di
latte.
C’è invece chi asserisce che l’uomo non si sia cibato di carne in
origine, se non in condizioni di emergenza, e che la dieta più
appropriata dovrebbe quindi essere quella vegetariana, a base di
vegetali (frutta, verdure, legumi, cereali) e prodotti di origine
animale, che non ne comportino però l’uccisione (uova, latte
e derivati).
C’è chi, sulle stesse basi, sostiene che dovremmo seguire una dieta
vegana, che esclude qualsiasi prodotto di origine animale, perciò anche
uova, latte e derivati.
Altri ancora dichiarano che la dieta a noi più consona, quella
originaria con cui l’uomo si sarebbe evoluto, è quella fruttariana, a
base cioè di sola frutta, come descritto precedentemente.
E infine c’è chi sostiene che l’uomo nasce come animale frugivoro,
mangiando cioè solo frutta, foglie e semi oleosi (noci, nocciole,
mandorle, arachidi, semi di lino, di sesamo, di girasole, di zucca,
ecc.) e perciò è a questo regime alimentare che dovremmo attenerci.
Ora, a prescindere dalle varie ipotesi, quando milioni di anni fa i
nostri antenati primordiali fecero la loro comparsa sul pianeta,
inevitabilmente, come ogni altra specie animale, dovevano essere dotati
di un proprio “software” originario di sopravvivenza. Ossia, ogni specie
avrà avuto le proprie caratteristiche ben definite, sia anatomiche
(riferite quindi alla forma del corpo) che fisiologiche (riferite alla
funzione) e comportamentali, così come avrà avuto le proprie specifiche
abitudini alimentari. A tutt’oggi sembra che non vi siano stati
cambiamenti di rilievo nel tipo di dieta seguita dalle varie specie di
animali in natura, uomo escluso: i carnivori continuano a nutrirsi
prevalentemente di carne, gli erbivori di erba e piante, i granivori di
grani, i frugivori di frutta, bacche e foglie, gli onnivori di carne e
vegetali, ecc..
E allora, in quale categoria dovremmo includere l’uomo?
Beh, sicuramente, se osserviamo la situazione attuale, definirlo
onnivoro potrebbe sembrare addirittura riduttivo, visto che non vi è
nulla che NON(!) mangi, riferito sia a cibi più o meno naturali che ai
cosiddetti “cibi spazzatura” (merendine monodose, patatine fritte, gomme
da masticare, dessert, hamburger, bibite sintetiche, caramelle, ecc.,
tutti prodotti ricchi di calorie, conservanti, coloranti e sostanze
chimiche).
Ma se è vero che l’alimentazione attuale dell’uomo può ritenersi
largamente responsabile di innumerevoli malattie (peraltro in costante
aumento sia come numero, sia come percentuale di persone colpite e sia
nell’abbassamento dell’età in cui tali patologie si manifestano), e che
tali malattie non sono riscontrabili negli animali che vivono allo stato
naturale, forse si potrebbe ipotizzare che l’uomo si sia allontanato da
ciò che la Natura aveva originariamente predisposto come suo “software
alimentare originario”. Potrebbe essere che la scoperta del fuoco abbia
portato a rendere più appetibili, e quindi a consumare, cibi che non
erano destinati all’uomo, o che comunque non lo erano in forma cotta?
Sicuramente nessun animale, allo stato naturale, si è mai cibato di
alimenti cotti e tanto meno l’uomo, prima dell’invenzione del fuoco.
È possibile forse che l’abbandono delle zone tropicali in cui la vita
dei nostri predecessori ha avuto inizio e che erano abbondanti di
frutti e foglie, ci abbia indotto a modificare le nostre abitudini
alimentari? Oppure che migrazioni di massa dovute a stravolgimenti
naturali quali glaciazioni, interglaciazioni (ritiro dei ghiacciai e
avvento di climi più caldi), periodi di forte inaridimento climatico,
diluvi, carestie, guerre, ecc., ci abbiano sospinto ad adattarci a
condizioni non ideali alla nostra sopravvivenza e a consumare
quindi cibi non destinati alla nostra specie, per esempio a nutrirci di
cibi cotti, a consumare cereali, ad alimentarci di prodotti tipici
dell’allevamento (latte) a inventare nuovi cibi (formaggi e salumi)?
E soprattutto, per tornare al giorno d’oggi, è possibile che la
manipolazione dei cibi abbia creato un totale stravolgimento delle
nostre esigenze/abitudini alimentari? (Sicuramente risulta difficile
immaginare l’uomo primitivo alle prese con pastasciutta, pane, formaggi,
salumi, brioche, biscotti, cioccolato, bibite, latte, vino, liquori,
sigarette, caffè, droghe, fast food, ecc.!) Se così fosse, allora si
potrebbe provare a “resettare” tutto, cercando di ristabilire il nostro
regime dietetico elettivo e con esso, naturalmente, la nostra salute.
Analizziamo le varie possibilità.
SIAMO CARNIVORI?
Gli animali carnivori, in realtà, differiscono da noi sia a livello
anatomico sia fisiologico, biochimico e psicologico. Essi infatti, per
esempio, “salivano” (l’equivalente della nostra “acquolina in bocca”)
alla vista della preda e non si accontentano di mangiarne solo alcuni
tagli, per lo più cucinati, come fa l’uomo, ma ne mangiano le carni
crude direttamente dalla carcassa, con gusto, leccandone il sangue
ancora caldo e gli altri fluidi con piacere, oltre a frantumare e
ingerire le piccole ossa e le loro cartilagini.
Al contrario molti di noi amano gli animali e sicuramente non ci
viene l’acquolina in bocca all’idea di ammazzare un coniglio a mani nude
e affondare i nostri denti dentro le sue carni. Così come penso che la
maggior parte di noi inorridisca al pensiero di mangiarne uno appena
morto, ancora fresco, crudo e sanguinante, masticandone ossa,
cartilagini, visceri, pezzi di grasso, nonché peli e parassiti che
inevitabilmente li accompagnano, e tanto meno ami succhiare il loro
sangue e sbrodolarsi viso, mani e corpo. Questi comportamenti non fanno
parte della nostra natura, non si attagliano ai nostri concetti di
gentilezza e compassione. Non esiste nessun modo “umano” di uccidere
un’altra creatura, di qualsiasi specie si tratti.
Se vogliamo entrare nel merito delle differenze anatomiche tra noi e
gli animali carnivori, tanto per citarne alcune, siamo diversi nel modo
di camminare (siamo bipedi e non quadrupedi), non abbiamo la coda, la
nostra lingua è liscia e non ruvida, non abbiamo artigli per lacerare la
pelle e le carni della preda, bensì pollici opponibili che ci
permettono, ad esempio, di raccogliere in pochi istanti frutti a
sufficienza per un pasto. Abbiamo solo un paio di ghiandole mammarie sul
petto, a differenza delle molteplici paia sull’addome dei carnivori,
dormiamo circa un terzo del ciclo di 24 ore, mentre i carnivori dormono e
riposano per 18-20 ore al giorno. La maggior parte dei carnivori può
digerire microbi che sarebbero mortali per noi, come quelli che causano
botulismo (malattia dovuta a intossicazione alimentare che conduce a
paralisi muscolare progressiva).
Noi sudiamo attraverso i pori di tutta la pelle mentre i carnivori
solo dalla lingua. I carnivori possono fabbricare la loro vitamina C
mentre noi dobbiamo assumerla col cibo. Il nostro movimento laterale
della mascella ci permette di frantumare il cibo, caratteristica unica
degli animali che si nutrono di cibi vegetali, mentre i carnivori non
hanno la masticazione laterale. I molari dei carnivori sono appuntiti e
affilati mentre i nostri sono principalmente piatti, per ridurre in
poltiglia il cibo.
Tutti gli esemplari di animali che si nutrono di vegetali, compresi
gli uomini se sono sani, hanno saliva e urina alcaline, mentre esse sono
acide nei carnivori ed inoltre mentre questi ultimi prosperano con una
dieta di cibi acidificanti, tale dieta è molto nociva, se non letale,
per l’uomo perché lo predispone ad un’ampia gamma di stati patologici.
Il pH dell’acido cloridrico (che permette di digerire le proteine
animali) dei carnivori è almeno 10 volte maggiore del nostro ed inoltre i
carnivori secernono un enzima chiamato “uricasi” che può degradare
l’acido urico derivante dalla digestione della carne mentre noi, non
possedendolo, dobbiamo ricorrere a minerali alcalini che ne
neutralizzino l’acidità (prevalentemente usiamo il calcio, che viene
prelevato dal nostro scheletro). Come conseguenza si formano i cristalli
di acido urico (che sono solo uno dei tanti inconvenienti derivanti dal
nutrirsi di carne), che danno origine, o contribuiscono, all’insorgere
di gotta (infiammazione molto dolorosa a livello articolare che può
evolvere in forme di artrite cronica deformante), artrite, reumatismi e
borsiti. Inoltre, i depositi di cristalli di acido urico possono anche
formarsi nei reni, causando calcolosi renale, oppure nel tessuto
sottocutaneo, con la formazione di noduli. (L’acido urico viene
normalmente filtrato dai reni ed eliminato con l’urina, ma se presente
in quantità eccessiva nel sangue, i reni non riescono ad eliminarlo
tutto e così si formano dei cristalli aghiformi insolubili – detti anche
cristalli di urato – che si depositano nel fluido attorno alle
articolazioni, provocandone l’infiammazione).
I nostri enzimi digestivi sono invece attrezzati per la digestione
della frutta, grazie alla “ptialina” (o amilasi) contenuta nella saliva.
Inoltre, mentre glucosio e fruttosio (gli zuccheri della frutta)
forniscono carburante alle nostre cellule senza affaticare il pancreas
(a patto di consumare pochi grassi nella dieta, come vedremo più
avanti), i carnivori possono contrarre il diabete se la loro dieta è
predominata da frutta.
Infine, per tutti coloro che, anche considerate tutte queste
differenze anatomiche e fisiologiche, insistessero nel volersi nutrire
di carne, vi è un’altra differenza fondamentale di cui tenere conto.
Infatti, mentre il nostro tratto intestinale misura all’incirca 12
volte la lunghezza del nostro torso, il che permette l’assorbimento
lento di zuccheri ed altri nutrienti contenuti nell’acqua della frutta,
quello dei carnivori misura solo 3 volte circa la lunghezza del loro
torso e questo per evitare che la carne vada in putrefazione all’interno
dell’animale.
E nonostante le secrezioni fortemente acide, degli animali carnivori,
per digerire ed assorbire la carne mangiata, nonché la ridotta
lunghezza del tubo digerente, le loro feci dimostrano la putrefazione
delle proteine e l’irrancidimento dei grassi. Facile immaginare cosa
succede nel nostro intestino, quando ci cibiamo di prodotti animali!
Un’ obiezione può nascere spontanea: “Ma anche se fosse vero che
l’uomo non era originariamente carnivoro (o comunque onnivoro), bisogna
pur considerare che essendosi nutrito di carne per così tanto tempo,
avrà sicuramente sviluppato un adattamento tale per cui la carne deve
essere ora parte imprescindibile della sua dieta!”.
A tale proposito cito un’interessante osservazione del Prof. Armando
D’Elia (punto di riferimento scientifico e pioniere del vegetarianesimo
italiano), che nell’articolo “Fruttariani” (1), asserisce: “Abbiamo
prima affermato che l’uomo della foresta, dove aveva vissuto per milioni
di anni, dovette passare nella savana. Ora, nella foresta era
fruttariano, mentre nella savana, difettando la frutta, dovette divenire
carnivoro; forse l’organismo umano, adattandosi alla alimentazione
carnea,
assunse le caratteristiche anatomiche e fisiologiche tipiche dei
carnivori? NO, conservò le caratteristiche del fruttariano. Oggi,
infatti, dopo milioni di anni di innaturale alimentazione carnea, le
nostre unghie non si sono trasformate in artigli, il nostro intestino
non si è accorciato, i nostri canini non si sono allungati
trasformandosi in zanne, il nostro succo gastrico non ha aumentato la
sua originale e debole acidità tipica dei fruttariani, il fegato non ha
esaltato la sua capacità antitossica, ne è scomparsa l’istintiva
attrazione esercitata sull’uomo in età infantile dalla frutta e neppure è
scomparsa la altrettanto istintiva repulsione esercitata dalla carne
sul bambino appena svezzato. Tutti segni, questi, che le proteine
eccessive che, assieme ad altre caratteristiche negative, sono presenti
nella carne, pur provocando danni enormi, non sono riuscite a modificare
la struttura fisiopsichica dell’uomo: ciò dimostra che l’alimentazione
carnea è così estranea agli interessi nutrizionali e biologici dell’uomo
che questi non riesce ad adattarvisi, pur subendo le pesanti
conseguenze di un innaturale carnivorismo per lunghissimo tempo.”
Un’ulteriore riflessione personale: l’uomo è il più intelligente di
tutti gli animali e credo che potrebbe sfruttare questo dono per aiutare
i suoi simili, umani e non, a vivere al meglio, nella maggiore
armonia possibile. Se è vero, come sostengono taluni, che in natura
“pesce grande mangia pesce piccolo”, per indicare una legge naturale di
sopravvivenza, è anche vero che l’uomo ha sviluppato una consapevolezza
maggiore di quella di tutti gli altri animali, che non si trova più in
natura e che, salvo casi eccezionali, ha tutte le possibilità per
nutrirsi di tutti i cibi che vuole senza dover ricorrere all’uccisione
dell’animale.
Oltretutto, nella grande maggioranza dei casi, aborriamo l’idea di
ammazzare personalmente l’animale, così pure come la vista e l’odore del
macello e dobbiamo delegare qualcun altro a uccidere in nostra vece, in
quanto la maggior parte di noi, se dovesse togliere la vita all’animale
in prima persona, dovendo assistere al suo terrore prima della morte,
smetterebbe di mangiare la carne all’istante.
Inoltre dobbiamo mimetizzare la carne animale mangiandone solo alcuni
“tagli” del muscolo e di alcuni organi, nonché cucinarla e camuffarla
con condimenti. Diciamo che il nostro “gustare una bella bistecca” si è
fermato, fino ad oggi, al solo piacere sensoriale (ottenuto comunque con
cottura e condimenti), senza fino ad ora riflettere su ciò che questo
comporta in termini di crudeltà gratuita e disumanità.
Ma questo è l’iter attraverso cui tutti quanti, anche chi come me è
diventato vegano, sono passati. Magari non abbiamo mai riflettuto
abbastanza su quanto letto finora, magari fino ad oggi non ce la siamo
sentita di effettuare il cambiamento di un’abitudine così inveterata,
forse non abbiamo avuto la forza di opporci al modo di pensare e di
nutrirsi di chi ci sta intorno, non abbiamo avuto il coraggio di
erigerci ad esempio e abbiamo preferito seguire la massa.
Oppure abbiamo temuto di incorrere in qualche carenza nutrizionale
privandoci di un’alimentazione a base carnea, o di non potere prosperare
fisicamente in termini di vigore, salute ed estetica, come ognuno di
noi giustamente si augura o, ancora, che diventeremmo anemici se ce ne
privassimo, ecc..
Mille possono essere le motivazioni ma… c’è sempre tempo per un
cambiamento che, fra le altre cose, non può che giovare enormemente alla
nostra salute, fisica, mentale e spirituale.
Una delle principali ragioni addotte, a sostegno della propria
scelta, da chi si ciba di carne, è che la carne è la fonte migliore di
proteine nobili, di cui abbiamo bisogno per la nostra crescita
muscolare. Ebbene sembra che questa idea, sempre più radicata, secondo
cui per costruire i propri muscoli si debba ricorrere a massicce dosi di
carni animali, non sia fondata, basti pensare ad esempio alla splendida
muscolatura dei cavalli, che si nutrono principalmente di fieno, oppure
alla massiccia ed imponente muscolatura dell’elefante (pure erbivoro).
Ogni specie è stata predestinata a prosperare con il proprio tipo di
alimentazione specifica, uomo compreso, e a trasformare, tramite il
proprio sistema digerente, il suo cibo elettivo nei costituenti di
cui ha bisogno. Così come ad esempio il cane e il gatto possono mangiare
i cibi tipici di cui si nutre l’uomo, tipo pasta o pane o biscotti,
ecc., ma finiranno inevitabilmente per deteriorare la loro salute e
contrarre malattie più o meno gravi, anche l’uomo può sopravvivere
nutrendosi di cibi non idonei alla sua specie, ma con le inevitabili
conseguenze.
L’analisi comparativa evidenzia che l’uomo ha caratteristiche
anatomiche e funzionali completamente diverse dagli animali carnivori. E
quindi sembra che la motivazione riguardante le “proteine nobili” sia
fuorviante, sia dal punto di vista di una corretta alimentazione, sia
perché il fabbisogno proteico dell’uomo non è assolutamente quello che è
stato finora astutamente asserito, al fine di convincerlo a consumare
prodotti animali, bensì molto inferiore.
In più, oltre ad essere stato provato che l’eccesso di proteine
animali è alla base di quasi tutte le malattie odierne, bisogna
considerare che la cottura della carne provoca la denaturazione delle
proteine, rendendone gli aminoacidi che le costituiscono, parzialmente o
totalmente inservibili. Questa è la ragione per cui esse sono
riconosciute dal corpo come elementi estranei e quindi vengono isolate
ed eliminate, senza essere usate minimamente, a scapito di un
superlavoro di fegato e reni che porta a molteplici patologie. Per di
più i grassi presenti nella carne sono senza dubbio i peggiori, ricchi
di acidi grassi saturi e, una volta cotti, sono responsabili di malattie
degenerative, dall’ipercolesterolemia all’infarto cardiaco, al cancro.
Un altro fatto su cui riflettere è che successivamente all’uccisione
dell’animale si manifesta il “rigor mortis”, cioè la rigidità
cadaverica, e i muscoli dell’animale si irrigidiscono. Questa è la
ragione per cui i macellai devono talvolta aspettare alcuni giorni, se
non settimane, per la “frollatura”, cioè l’ammorbidimento progressivo
delle carni, che è l’anticamera della putrefazione. In questa fase si
possono formare sostanze tossiche, a cui si aggiungono l’acido lattico,
emesso durante l’irrigidimento, e altre tossine prodotte dall’animale
per la paura della morte imminente, nonché le sostanze calmanti che gli
sono state somministrate per renderlo meno nervoso prima dell’uccisione.
Farmaci, antibiotici (somministrati non solo a titolo antinfettivo,
ma anche per aumentare l’assimilazione del foraggio da parte
dell’animale e accelerarne la crescita), mangimi chimici, colesterolo
causato dallo stile di vita sedentario a cui sono obbligati gli animali
di allevamento: sono tutte sostanze che andranno a gravare sul nostro
fegato. Inoltre la carne, essendo priva di fibre come tutti i prodotti
animali, necessita di un lungo transito intestinale, che favorisce una
lunga permanenza di feci nel colon, con conseguente putrefazione
batterica e rischio di cancro. (2) Ma proseguiamo con la nostra analisi.
SIAMO ERBIVORI?
Gli erbivori si cibano di erba, foglie, gambi e steli: è il loro cibo
naturale. Ma noi, diversamente da loro, non abbiamo le “cellulasi” ed
altri enzimi per digerire queste piante, per cui, pur cibandocene, esse
non possono costituire il nostro cibo primario, perché non possiamo da
esse assumere ciò che più ci necessita, vale a dire gli zuccheri
semplici, che sono il nostro carburante.
Sebbene le verdure contengano proteine, alcuni acidi grassi
essenziali, vitamine, sali minerali e alcuni zuccheri semplici e
costituiscano un ottimo supplemento per la nostra dieta, tuttavia esse
non possono costituire il nostro cibo principale, anche perché,
trattandosi di cibo ipocalorico, per soddisfare il nostro fabbisogno
calorico giornaliero dovremmo passare tutto il tempo a mangiare e il
dispendio energetico per la loro digestione sarebbe enorme. Consumate al
loro stato naturale, cioè crude, l’uomo può digerire tranquillamente le
verdure a foglia tenera (insalata, spinaci, ecc.), mentre per quanto
riguarda le crocifere (broccoli, cavoli, cavolfiori, verze,
barbabietole), poiché sono vegetali duri, hanno un alto contenuto di
fibre insolubili difficili da digerire. Ovviamente non siamo erbivori,
anche perché questi ultimi sono dotati di ben 4 stomaci!
E I CIBI A BASE DI AMIDI?
I cibi a base di amidi possono essere suddivisi in 3 categorie: cereali (i semi delle piante), radici e tuberi, legumi.
Cereali: (Grano, riso, avena, segale, orzo, miglio,
mais, ecc.). Molti uccelli si nutrono di cereali (la cui coltivazione si
è sviluppata su scala più grande soltanto con l’inizio
dell’agricoltura, quindi solo da circa 10000 anni nella storia evolutiva
dell’uomo) e prendono il nome di granivori.
I cereali allo stato naturale, crudo, non possono essere digeriti
dall’uomo e anche cotti richiedono un notevole sforzo digestivo per
scomporre i carboidrati complessi in essi contenuti. Diversamente, gli
uccelli possiedono un gozzo, ossia una borsa nel loro esofago, dove i
grani ingeriti possono germogliare, diventando digeribili.
A causa del loro pesante contenuto amidaceo i cereali allo stato
crudo, per esempio i chicchi di grano, ci intaserebbero anche se ne
ingerissimo solo uno o due cucchiai, completi di guscio; e anche un
cucchiaio di farina cruda di qualsiasi cereale produrrebbe lo stesso
effetto, perché è troppo asciutta.
E così, anche se la maggior parte della razza umana attuale consuma
cereali e amidi, dovremmo considerare questo cibo come non adatto per la
nostra specie. Infatti, allo stato naturale, non attrae il nostro
occhio, non stuzzica il nostro olfatto né eccita il nostro palato, a
differenza per esempio della frutta, il che sta a indicare che non
eravamo granivori prima dell’uso del fuoco.
Radici e tuberi amidacei: gli animali designati a
nutrirsi di tali cibi hanno proboscidi per scavare e dissotterrare, a
differenza dell’uomo che, oltre a non essere anatomicamente attrezzato
per il compito, non troverebbe sicuramente di suo gusto i cibi che si
trovano sotto terra, solo alcuni dei quali possono essere digeriti.
Sebbene rape, patate, barbabietole, carote possano essere mangiate
crude, la maggior parte delle volte esse vengono cucinate e se l’uomo si
trovasse allo stato naturale, primitivo, senza apparati per la cottura
né attrezzi adeguati per dissotterrarle, queste verdure, tra l’altro
piene di terra, avrebbero ben poco fascino se comparate alla frutta, in
ogni caso più facilmente fruibile.
Legumi: uccelli e maiali si nutrono di legumi,
mentre per l’uomo questi, se crudi, non solo non sono gradevoli, ma sono
addirittura tossici, a meno che non vengano consumati prima della
maturazione, quindi come germogli, ma in ogni caso la loro composizione
non sembra essere congeniale all’uomo.
I legumi vengono decantati per il loro alto contenuto proteico ma,
come vedremo più avanti, questo non è un vantaggio per l’uomo ed
inoltre, parimenti a carne, formaggi e uova, queste proteine sono ricche
dell’aminoacido metionina, che contiene quantità eccessive di zolfo,
che a sua volta è un minerale acidificante (e l’acidità deve essere
neutralizzata dal calcio prelevato dallo scheletro). (3)
Inoltre la grande quantità di carboidrati, sommata all’alta
percentuale di proteine (entrambi presenti nei legumi), complica la
digestione provocando fermentazione dei primi, con sviluppo di gas, che è
un’indicazione che la digestione è stata compromessa. La mancanza di
vitamina C, essenziale per l’uomo, fa di questo alimento un cibo
scarsamente nutritivo.
Per riassumere, sembra che i cibi amidacei, di qualunque natura, non
siano adatti all’uomo, perché oltre a non essere soddisfacenti da un
punto di vista nutrizionale e a non costituire, nel loro stato naturale,
fonte di attrazione per i nostri sensi (da un punto di vista visivo,
olfattivo e gustativo), noi non abbiamo comunque abbastanza amilasi per
digerirli. Infatti, possediamo solamente un po’ di ptialina nella saliva
(più che altro sufficiente a digerire piccole quantità di amidi come
quelli che si trovano nella frutta non completamente matura) e piccole
quantità di amilasi pancreatica, per una limitata digestione degli amidi
negli intestini.__
CIBI FERMENTATI
Devo premettere che, come ripeto, questo libro è frutto di un lavoro
di ricerca e documentazione effettuato abbastanza recentemente, cioè da
quando ho iniziato a seguire la DEA, e che quindi, pur essendo
vegetariano da tanti anni, anche io mi sono nutrito comunque di prodotti
fermentati, tipo i formaggi, fino a poco più di un anno fa.
Ebbene, la dieta che ho intrapreso mi soddisfa al 100% e non
rimpiango nulla dei cibi che ho eliminato, soprattutto alla luce dei
vantaggi spettacolari che ho potuto conseguire in termini di energia,
benessere, forma fisica e scomparsa di diversi problemi e dolori fisici.
Ma, a maggior ragione, dopo essere venuto recentemente a conoscenza
delle notizie che sto per riportare, mi considero davvero fortunato per
avere intrapreso questa scelta alimentare. È diventato ormai uso comune
consumare sostanze fermentate o altrimenti decomposte derivate dai
cereali (superalcolici, birra), dal latte (formaggi), dalla frutta (vino
e certi tipi di aceto), dai legumi (in particolare dai fagioli di soia,
ad esempio tamari, shoyu, miso e tempeh, o carne di soia) e dalle carni
(salami, salsicce). Vediamo cosa accade ai macronutrienti presenti in
tali cibi, una volta fermentati per opera di funghi e batteri. I
carboidrati fermentati producono alcol, acido acetico (aceto), acido
lattico, metano e anidride carbonica. Le proteine decomposte vanno in
putrefazione dando luogo, come prodotti terminali, a molteplici sostanze
tossiche (tra cui ammoniaca, cadaverina, putrescina, metano, ecc.). I
grassi decomposti diventano rancidi e disgustosi. Ad esempio il
formaggio, che si ottiene facendo putrefare la caseina del latte,
rappresenta tutti e tre i tipi di decomposizione in un unico
cibo: proteine putrefatte, carboidrati fermentati e grassi
irranciditi. Che cosa potranno produrre tutti questi veleni una volta
che entrano nel nostro organismo? Disturbi, malattie e debilitazione
sono solo una risposta molto parziale; tumori e cancro sono spesso la
realtà. Poiché l’uomo in natura non potrebbe mai consumare prodotti
decomposti, senza attrezzature e container adeguati, essi si
possono catalogare come innaturali e sicuramente non inclusi tra i cibi
destinati alla nostra specie.
LATTE
Una cosa è certa: nessun altro animale in natura beve il latte di
un’altra specie, e già questo dovrebbe far riflettere. Gli animali sanno
istintivamente che il latte della loro madre è il cibo ideale per
supportarli durante la loro crescita, con il perfetto mix di sostanze
nutritive.
Come si avrà modo di leggere successivamente, se smettessimo di
ingerire latte e derivati la maggior parte di noi guarirebbe da malanni e
patologie anche gravi in breve tempo. Ecco, di seguito, alcuni passi
interessanti tratti dal best-seller americano “Fit for life”, di Harvey e
Marilyn Diamond: “Gli enzimi necessari per digerire il latte sono la
renina e la lattasi. Entrambi scompaiono nella maggioranza degli umani
all’età di tre anni. C’è un elemento in tutti i tipi di latte,
conosciuto come caseina. La caseina presente nel latte di mucca è
trecento volte superiore a quella che si trova nel latte umano. La
ragione è che si devono sviluppare ossa enormi. La caseina coagula nello
stomaco e forma grossi grumi, duri, densi e difficili da digerire, che
sono adatti per l’apparato digestivo di una mucca, fornito di quattro
stomaci. Una volta all’interno del sistema umano, questa massa, spessa,
bagnata e appiccicosa, pone un tremendo fardello sull’organismo che
deve, in qualche modo, sbarazzarsene. In altre parole, un’immensa
quantità di energia deve essere spesa per sistemare questo problema.
Sfortunatamente, parte di questa sostanza appiccicosa si indurisce e
aderisce al rivestimento dell’intestino e impedisce l’assorbimento dei
nutrienti nel corpo. Risultato: letargia. Inoltre, i sottoprodotti della
digestione del latte lasciano una gran quantità di muco tossico nel
corpo. Esso è molto acidificante e parte di questo viene immagazzinato
nel corpo fino a che il corpo stesso potrà sbarazzarsene, più avanti nel
tempo. La prossima volta che stai per spolverare casa tua, prova a
versare della colla sopra ogni cosa e poi guarda quanto è facile pulire.
I prodotti caseari producono lo stesso effetto all’interno del tuo
organismo. Questo si traduce in un aumento di peso corporeo, invece che
in una perdita. La caseina, a proposito, è la base di una delle più
forti colle usate in falegnameria.”
Diamond prosegue avvertendo che la pratica assai diffusa di
somministrare antibiotici al bestiame per velocizzarne la crescita crea
batteri potenzialmente mortali che possono infettare gli umani.
E, ancora, riporta che il muco che si forma riveste tutte le mucose,
cosicché la traspirazione di tutto diventa estremamente lenta e
stagnante e l’energia vitale viene ad essere dissipata. “Avete mai
parlato a persone che più o meno ogni dieci parole emettono una sorta di
suono gutturale mentre cercano di liberare muco da dietro il loro naso?
… La prossima volta che incontrate una persona del genere, indagate
sulla quantità di prodotti caseari che essa consuma. Le probabilità che
tale persona risponda ‘raramente’ o ‘mai’ sono molto scarse.” (4)
SEMI OLEOSI E ALTRI CIBI VEGETALI GRASSI
Per quanto riguarda i semi oleosi (noci, nocciole, mandorle, noci del
Brasile, pistacchi, anacardi, semi di lino, di girasole, di sesamo, di
zucca, ecc.) vale sempre il discorso per cui solo mangiandoli allo stato
crudo possiamo ricavarne il massimo beneficio, in quanto i grassi e le
proteine, contenute in eccesso in questi cibi, se riscaldati diventano
cancerogeni. Il problema è che noci e semi non vengono in realtà quasi
mai consumati crudi, perché per evitare che ammuffiscano vengono
disidratati al forno a “basse” temperature spesso per giorni, in modo
che si possano conservare a lungo. Si tratta comunque di cibi che, sia
crudi che disidratati o riscaldati, sono difficilmente digeribili per il
loro altissimo contenuto di grassi, e che possono rimanere
nell’intestino tenue per ore prima che la vescicola biliare secerna la
bile con cui emulsionarli (scomporli).
Diverso è il discorso per i frutti grassi, come l’avocado e le olive,
per esempio, che quando sono maturi sono ricchi in grassi facilmente
digeribili, mentre la polpa del cocco lo è quando si trova nel suo stato
gelatinoso, ma quando è matura e indurita è quasi impossibile da
digerire. Foglie verdi e altri vegetali, se freschi e crudi contengono
una modesta percentuale di acidi grassi utilizzabili, mentre le
crocifere (cavoli, broccoli, barbabietole, ecc.) contengono composti
sulfurei indesiderabili.
E quindi i grassi non rientrano tra i cibi della nostra specie se
non, occasionalmente e come complemento, una manciata di noci o altri
semi oleosi, oppure un po’ di olive, o un po’ di avocado (non più di
mezzo al giorno se non si consumano altri grassi), come complemento. In
realtà il nostro cibo elettivo è rappresentato dai carboidrati semplici.
SIAMO ONNIVORI?
“Attualmente sì!”, è la risposta, a cui segue la domanda: “Ma lo
saremmo anche, alla luce di quanto asserito finora, se ci trovassimo in
natura, senza forni e fornelli, attrezzi vari, frigoriferi e container,
tecnologia, condimenti, eccitanti del gusto, spezie e aromi, che
camuffano la natura effettiva dei cibi?” Oppure dovremmo forse
accontentarci di mangiare i cibi di stagione, allo stato crudo, in base a
quanto essi allettano i nostri sensi (vista, olfatto e gusto)? Allora
ci ritroveremmo ben presto a perdere la nostra “natura onnivora”
(insieme a chissà quali e quante malattie degenerative dovute agli
errori alimentari) e ci riscopriremmo a gustare sempre più… la dolce,
succosa, fresca e matura frutta! È vero, si potrebbe obiettare, che
vivere “in natura”, come spesso citato nel presente testo, potrebbe
voler dire soffrire la fame durante l’inverno e i mesi freddi, per
penuria di cibo, oppure ritrovarsi a morire di fame perché magari il
maltempo o altre cause naturali hanno distrutto i raccolti, oppure
perché si vive in aree geografiche dove la natura è scarsa di cibo.
È vero che anche gli animali si possono ritrovare a patire la fame,
che alcuni muoiono, che altri vanno in letargo, che alcuni attaccano
addirittura l’uomo, nella disperata ricerca di cibo. È tutto vero.
Quindi colgo l’occasione per specificare che, in questo caso, non si
tratta di voler asserire una teoria forzandone la correttezza a tutti i
costi. Diciamo che innumerevoli sono comunque, da sempre, gli ostacoli
che si frappongono tra noi (e, più in generale, tutti gli animali) e la
nostra/loro sopravvivenza. E diciamo anche che l’uomo, essendo il più
intelligente tra le varie creature, è quello che si è garantito, almeno
teoricamente, le maggiori probabilità di sopravvivenza. Ma, come
ribadisco, solo teoricamente. Perché se è vero che è riuscito a
sopravvivere in condizioni proibitive nel corso della sua storia, grazie
alla coltivazione dei cereali e all’immagazzinamento di varie forme di
cibo, è anche vero che le statistiche attuali parlano chiaro:
l’alimentazione standard dell’uomo occidentale lo sta decimando con
malattie, invecchiamento e morti premature. Così, quando mi riferisco
agli animali, o all’uomo, “in natura”, il senso di tale affermazione
dovrebbe essere interpretato come la condizione ideale in cui l’uomo
possa cibarsi di ciò che la natura ha predisposto originariamente come
suo cibo ideale, quando, all’alba della nascita della nostra specie,
egli abitava nelle zone tropicali o subtropicali, ricche di vegetazione,
frutta, germogli, foglie e semi.
Ecco, allora, che parlare di alimentazione ideale significa cercare
di capire che il nostro sistema digerente non è cambiato e che quindi
non è predisposto a digerire indenne cibi che, seppure gli hanno
garantito la sopravvivenza in condizioni di emergenza, non lo hanno
fatto, e non lo fanno, senza averlo penalizzato gravemente. E così, come
tutti gli animali che vivono in prossimità dell’uomo possono essere
facilmente indotti ad assumere alimenti non consoni alla loro specie, ma
graditi al loro palato, che causeranno però patologie più o meno gravi
anche ad essi, lo stesso destino non viene evitato alla nostra specie.
Mi viene in mente, a tale proposito, come durante un viaggio compiuto
anni fa in Egitto, venisse raccomandato a tutti i turisti di non dare
pane da mangiare ai pesci del Mar Rosso. Questo perché essi lo avrebbero
mangiato con gusto… fino a morirne! “L’occasione fa l’uomo ladro!”,
recita il proverbio. Parlando di alimentazione, l’occasione e la
necessità inducono l’uomo, e i vari animali, a nutrirsi dei cibi
sbagliati, fino a morirne!
SIAMO FRUGIVORI?
Sì, siamo frugivori! (Sono frugivori gli animali che si nutrono
principalmente di frutta, con l’aggiunta di tenere foglie verdi, inclusi
anche i frutti non dolci come pomodori, cetrioli, peperoni, zucchine,
zucche, ecc., e i semi oleosi.) Questa la risposta su cui concordano i
diversi autori igienisti a cui mi sono riferito per l’elaborazione di
questo libro. O, almeno, frugivori saremmo se ci trovassimo in natura
con le sole nostre forze, così come i nostri predecessori ancestrali si
trovarono nella notte dei tempi.
E questo a sottolineare che, teorie nutrizionistiche e mode
alimentari a parte, questo fu con tutta probabilità il cibo grazie al
quale la nostra specie si è evoluta durante tutta la sua storia, fino a
prima dell’invenzione del fuoco e, successivamente, alla comparsa
dell’agricoltura e dell’allevamento.
Infatti, prima dell’invenzione del fuoco, quando l’uomo era costretto
a sopravvivere nutrendosi esclusivamente di quello che trovava, si
cibava prevalentemente di frutta e verdura allo stato naturale, quindi
fresca, cruda e matura. L’uomo si cibava cioè di quello di cui ancora
oggi si alimentano gli animali più simili a lui da un punto di vista
anatomico, fisiologico, ematologico e intellettivo e che, insieme
all’uomo stesso, fanno parte dell’ordine dei “Primati”, superfamiglia
“Ominoidi”, vale a dire le scimmie antropomorfe (dal greco: ànthropos,
“uomo” e morphè, “forma”) rappresentate da orango, scimpanzé, gorilla e
gibboni. Esse si nutrono principalmente di frutti, vegetali e semi
((solo alcune di esse mangiano insetti, piccoli vertebrati o, in alcune
occasioni, anche carne, ma in percentuale minima e come cibo di
emergenza) e non conoscono le malattie degenerative dell’uomo.
Questo, dunque, è il cibo espressamente ideato da Madre Natura per
noi, con il quale sopravvivere e prosperare. Certo, come ripeto,
possiamo arrangiarci a mangiare qualsiasi cosa, è nella natura animale
la capacità di adattarsi per sopravvivere, ma a quale prezzo?
Se davvero ci fossimo adattati ad essere onnivori (intendendo qui,
per “adattamento”, il cambiamento delle nostre caratteristiche
anatomiche e funzionali per adeguarsi a nuove condizioni di vita
richieste dall’ambiente), allora anche i nostri organi, nel corso di
tutto questo tempo, avrebbero dovuto modificarsi, per lo meno per
agevolare la digestione.
Quindi il nostro intestino dovrebbe essere molto corto per ridurre i
tempi di transito della carne, come avviene nei carnivori, ma è rimasto
lungo. E la nostra secrezione gastrica dovrebbe essere estremamene più
acida, per meglio digerire i cibi carnei, ma è rimasta uguale, così come
continuiamo ad avere un solo stomaco e non quattro, come gli erbivori e
non ci è ancora spuntato alcun gozzo per predigerire i semi, come gli
uccelli, segno che i cereali non sono adatti a noi. Nulla sembra essere
cambiato né a livello anatomico, né fisiologico, né chimico, né
psicologico e noi continuiamo a differire, come abbiamo visto, dagli
animali delle altre specie. L’unica cosa che è cambiata è che siamo una
razza sempre più debole e sempre più ammalata, segno di una
degenerazione progressiva e anche se l’età media è aumentata, lo è per
le migliori condizioni igieniche e qualità di vita, per il progresso
della medicina, ecc., ma se ci guardiamo intorno ad osservare tutte le
malattie di cui soffrono le persone da una certa età in poi, soprattutto
le ultime generazioni, dovremmo prendere coscienza che qualcosa non va.
Ebbene un conto è sopravvivere, un altro conto, completamente diverso, è
fiorire, prosperare, vivere al pieno delle proprie possibilità, senza
malattie, col massimo dell’energia. Sì, è vero che anche fumando,
bevendo alcolici, assumendo droghe, prendendo medicinali, facendo uso di
tutte le sostanze stimolanti per arrivare alla fine della giornata
(caffè, cioccolato, carne, bevande eccitanti, alcol, ecc.), si può
sopravvivere, ma non vivere al meglio, come è nostro diritto.
Ma torniamo al nostro cibo elettivo: ebbene la frutta è, fra tutti i
cibi, quello che più si approssima a soddisfare tutte le nostre
necessità, così come la carne lo è per i carnivori. Quando la frutta è
matura, grazie ai propri enzimi, converte i propri carboidrati in
glucosio e fruttosio, zuccheri semplici che possiamo usare senza
ulteriore digestione; le sue proteine vengono convertite in aminoacidi e
i suoi grassi in acidi grassi e glicerolo. E così tutto quello che ci
resta da fare è… gustarne la bontà!
Per quanto riguarda la verdura, la ragione per cui è meglio nutrirsi
di quella a foglie (lattuga, radicchio, scarola, rucola, spinaci, ecc.) e
non di crocifere (broccoli, cavoli, barbabietole, ecc.), né tantomeno
di quella più fibrosa (carote, finocchi, ecc.) è che mentre la prima
contiene fibra solubile, come quella presente nella frutta, le altre
contengono cellulosa e altre fibre difficilmente digeribili o del
tutto indigeribili. E queste ultime sono talmente dure da graffiare la
nostra mucosa digestiva quando passano per essere eliminate, anche se in
minor misura di quanto avvenga per le fibre dei cereali.
Dal libro “DEA” di Marco Urbisci.
http://www.fruttalia.it/blog/2013/07/22/la-dieta-ideale-per-luomo/