sabato 2 marzo 2013

C'è chi insegue il con-senso e chi pratica il dis-...

 
 di Sergio Di Cori Modigliani



Veniamo al Senso della Politica, finalmente.
Perché queste elezioni hanno chiarito molte cose.
Un mojito –versione ligure- offerto a meraviglia, il mio cocktail preferito.
Servito, peraltro, con i fiocchi: con tanto di poetiche olive pugliesi, vere, di stuzzichini di pesce fritto in salsa siciliana (30% dei voti e primo partito), crostini alla cacciatora in puro stile senese (24% dei voti in città, il PD perde il 14% dei voti e l’uscente sindaco commissariato getta la spugna mentre l’intera giunta annuncia che non ha il coraggio di candidarsi alle prossime elezioni comunali del prossimo maggio: si ritirano) con aggiunta di piadina marchigiana dove sono stati battuti tutti i candidati dalemiani.
Un bell’aperitivo, non c’è che dire.
Perché di aperitivo si tratta.
Il pranzo lo si sta apparecchiando.
E chi parla di sorpresa vive al di fuori della realtà.
C’è la conferma di un risveglio nazionale delle coscienze pensanti che annunciano l’imminente scomparsa di una intera classe dirigente politica incapace (oltre che di governare) di pensare, di comprendere, di capire che cosa sta accadendo.
Non si rendono conto, come al solito, di ciò che succede sotto gli occhi di tutti.
Fanno i conti, si affidano alle percentuali, calcolano le perdite, pensando che si tratti di mettere una pezza qui, tappare un buco lì, per poter fermare la diga che sta crollando.
Si tratta di una rivoluzione lessicale, così va letto l’esito della tornata elettorale.
Prima viene un nuovo linguaggio, grazie all’uso di nuove parole, nuovi sintagmi, e di conseguenza nuove sinapsi nel cervello che finiranno per modificare in misura impensabile l’immaginario collettivo della nazione.
Per una rivoluzione culturale, finalmente.
Veniamo quindi alle parole.
Chi sostiene che si sia trattato di un voto di “protesta” sbaglia di grosso: non è così.
L’uso di questo termine nasce da una manipolazione linguistica che tenta disperatamente di applicare la demagogia e la mistificazione per occultare la verità.
Le differenze tra i tre schieramenti usciti dalle urne, PD, PDL e M5s rivelano chiaramente il gigantesco spartiacque discriminante tra due modalità opposte di leggere l’esistenza.
Da una parte abbiamo i voti del PD (perde il 30% del suo elettorato) e del PDL (perde il 50% del suo elettorato) che appartengono per entrambi a ciò che loro hanno sempre perseguito, il consenso. Tradotto, vuol dire che gli elettori italiani, notoriamente pavidi e conservatori, preferiscono sottoscrivere un accordo di eutanasia soft per paura, paura del nuovo, del non conosciuto e diventano complici dichiarati di chi ha espoliato e distrutto il paese. E lo sanno anche, ne sono consapevoli. Tant’è vero che nei giorni scorsi abbiamo assistito ad affermazioni del tipo “mi turo il naso ma voto PD” come a dire: “so che non funzionano, sono al corrente della loro incompetenza, sento la puzza di marcio ma li voto lo stesso”. Quelli del PDL, mitomani confessi, si sono sperticati nelle promesse e i loro elettori hanno seguito una fantasia, una speranza, inconsapevoli della truffa.
I voti del M5s, invece, non sono affatto voti né di protesta, né tantomeno di speranza.
La “speranza” in politica è una frustrazione rimandata.
La “protesta” in politica è la manifestazione della propria incapacità propositiva e della propria dichiarata impotenza nel trovare e fornire soluzioni
Chi ha votato per il M5s appartiene alla categoria dei “realisti dissenzienti”.
Proposte realistiche all’interno di un quadro di dissociazione dalla classe politica dirigente responsabile dell’attuale dissesto italiano.
Sono voti di dis-senso. E’ una opzione completamente diversa.
Ovverossia, sono voti di cittadini che hanno scelto e deciso di assumersi la responsabilità individuale del proprio atto civico chiarendo che non intendono mai più essere complici di una classe dirigente politica che ha attuato scelte prive di Senso, che vive in un mondo che non ha Senso (se non per loro), e non hanno nessuna intenzione di seguitare ad appoggiare una classe politica che non si occupa del bene comune, dell’interesse della collettività, dei bisogni reali della nazione.
Mentre il PDL (alla spasmodica caccia di con-senso) allertava sul pericolo che le sinistre conquistassero il potere, il PD -a caccia di identico con-senso- parlava di rinnovamento  presentandosi agli elettori con Rosy Bindi in Calabria, Anna Finocchiaro in Puglia, e la stessa identica dirigenza politica del 2012 del 2011 del 2010 del 2009 del 2008 (la stessa del 2001 e del 1994) puntando sul fatto che la gente non ha memoria ed è possibile dare ad intendere qualsivoglia argomentazione a chicchessia. Chi li ha votati è finito in un’architettura dada surrealista, un po’ come quelle scale disegnate dal grande grafico Escher, con delle rampe che salgono e scendono ma non vanno da nessuna parte.
Consenso e Dissenso, quindi.
Questo è il primo risultato discriminante delle elezioni, altro che protesta.
E quindi il vero risultato è pressappoco così: da una parte abbiamo il 58% degli elettori che danno il consenso al non-Senso (quindi un suicidio dichiarato e consapevole,“una eutanasia soft”) e dall’altra abbiamo un 25% di italiani che dissentono perché hanno identificato, riconosciuto, e dolorosamente accertato la totale mancanza di senso reale in tutte le non-proposte di PD e PDL, rigettandole in toto.
Il voto al M5s è il voto di chi vuole ritrovare un Senso, ovverossia auspica che al comando delle banche ci vadano esperti di finanza e non politicanti, a dirigere e gestire gli ospedali ci vadano medici e dirigenti sanitari esperti e competenti invece che funzionari di partito, e che in ogni professione, in ogni mansione, in ogni luogo di lavoro, vengano applicati i requisiti minimi ed elementari del buon senso: il personale viene selezionato sulla base del proprio merito e grado qualitativo della propria competenza tecnica specifica invece che attraverso il filtro organizzato e gestito dalle segreterie dei partiti. Chi ha votato per il M5s pretende ed esige che venga rispettata la Legge, che venga riconosciuto lo Stato di Diritto applicando le dovute sanzioni, che venga ricostituito il reato di falso in bilancio, perché il Senso Civico consiste nel promuovere chi fa scrivere al proprio commercialista la verità dei propri affari e fa invece bocciare chi dichiara il falso. Tutto qui.
Non si tratta, quindi, di nessuna protesta, e sostenerlo è fuorviante.
Se avete votato per il M5s rifiutatevi di essere identificati come chi protesta.
Si tratta, invece,  di una banale quanto legittima richiesta di riaffermare il Senso delle cose. E’ l’estremo tentativo di riportare l’Italia da una situazione di perdurante anormalità a una condizione di normalità, di rispetto e applicazione di regole e leggi, di norme e consuetudini da applicare all’intera cittadinanza, con l’obiettivo dichiarato di costruire una comunità che si occupi di gestire, amministrare e far funzionare i beni comuni dell’intera collettività: vi sembra, questa, una protesta?
A me no.
A me sembra una affermazione di principio: la fondazione del valore del Senso.
La giornata di martedì 26 febbraio è stata fondamentale perché ha chiarito diversi aspetti, soprattutto il fatto che NON E’ VERO che l’Italia è ingovernabile.
La verità, resa evidente dal 25% dei voti al M5s (a questo servono le elezioni, e qui mi rivolgo agli astenuti) consiste nel fatto che non è possibile, a nessun prezzo, governare come hanno governato fino adesso: è una prospettiva linguistica completamente diversa.
Ecco alcuni elementi di rilievo avvenuti nelle ultime due giornate, primo fra tutti quello relativo a una delle grandi questioni –per non dire “la questione”- sulle quali si è dibattuto fino allo sfinimento negli ultimi mesi: chi c’è veramente dietro Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio? Finalmente, ieri, l’arcano è stato svelato e il mistero è risolto per sempre, mi auguro definitivamente. Si sanno anche i veri nomi dei due geniali strateghi della comunicazione che (insieme) hanno deciso e stabilito (dietro le quinte) come e perchè alle prossime e imminenti elezioni il M5s debba prendere almeno il 52% dei voti validi. Data l’abilità sconcertante dei due guru, il dato è praticamente certo.
Si chiamano Silvio Berlusconi e Anna Finocchiaro: sono loro i due geniali artefici del trionfo elettorale, prossimo venturo, che porterà il movimento cinque stelle alla inevitabile maggioranza assoluta. Sarà grazie a loro.
Ecco come i due veri guru stanno lanciando la campagna di primavera:
Martedì 26 febbraio, infatti, alle 10 del mattino, la senatrice Anna Finocchiaro, del tutto  indifferente rispetto all’esito elettorale, ha dichiarato tronfiamente “Poiché il PD è consapevole del momento che stiamo vivendo e della assoluta necessità di garantire un governo stabile alla nazione, ci assumiamo la gravosa responsabilità che ci viene dal fatto di essere la coalizione vincente alla camera e avviamo immediatamente le consultazioni iniziali ai fini del raggiungimento di un accordo di legislatura. Ho già telefonato al senatore Maurizio Lupi del PDL per incontrarci subito”.
Alle ore 10.30 su raidue, Fabrizio Cicchitto replica: “Confermo quanto detto dalla senatrice Finocchiaro, già oggi ci incontreremo con i colleghi del PD perché siamo responsabili e sentiamo come dovere civico quello di dare agli italiani immediatamente il governo che si aspettano”.
Risultato ottenuto dai due guru: rivolta interna in entrambi i partiti.
E poi Bersani,  che propone un’apertura al M5s ma presentandola in maniera smaccata come una attribuzione della responsabilità dell’attuale crisi al movimento. Nella sua mente, abituata agli squallidi tatticismi della palude del politichese italiota, intendeva senza alcun dubbio sollecitare i neo-eletti del M5s a presentargli il conto della spesa. Lui è abituato così e questa è l’unica modalità che conosce. Pensava che Casaleggio avrebbe inviato un fax con i nomi delle fondazioni bancarie di cui voleva la presidenza, dove e come piazzare i neo-eletti del movimento e su quella piattaforma economica sedersi intorno a un tavolo e trattare. Quindi è spiazzato perché non capisce. Non ce la fa proprio a comprendere il Senso di questa nuova realtà.
Dopo tre ore, alcuni tra i neo-eletti (intervistati in tutta Italia in ordine sparso, ciascuno dei quali ha spiegato che –per il momento- parlava a titolo personale) hanno replicato dicendo tutti la stessa identica cosa: “Noi siamo aperti a votare per chiunque accolga nel proprio programma di governo le nostre istanze, senza alcuna pregiudiziale, e cioè una immediata nuova legge elettorale, subito la legge sul conflitto d’interesse, una nuova legge anticorruzione,  la decurtazione dei parlamentari, il reddito di cittadinanza e l’abbattimento dei costi della politica, tanto per iniziare”.
Panico e sconcerto tra le fila del PD. E il prode Enrico Letta dichiara: “Rispettiamo il M5s e prendiamo atto del loro innegabile successo elettorale; li consideriamo degli interlocutori politici, ma sia chiaro che il PD non si fa dettare l’agenda da nessuno”.
E il prode Alfano, a Ballarò, sfrontatamente sostiene che non c’è alcun inciucio, che non ci sarà nessun incontro con il PD e tantomeno con quelli del M5s. E intanto, alla direzione del PD, Walter Veltroni e Massimo D’Alema si dichiarano ufficialmente “fortemente contrari a qualunque accordo e incontro con quelli del M5s”.
Beppe Grillo, dal canto suo, conferma ai giornalisti, la posizione dei suoi eletti: “noi non facciamo alcun accordo con nessuno, ma siamo positivamente aperti e disponibili a votare ogni singolo provvedimento che corrisponda al nostro programma: a noi interessa quello”.
Si arriva, quindi, alla giornata di oggi.
I geniali capi del PD iniziano la giornata con una sicumera arrogante, indice di totale mancanza del Senso della realtà. Dichiarano, sparpagliatamente, che non intendono sottoporsi all’esame da parte dei neo-eletti del M5s e ci aggiungono il carico da 11 (sempre Enrico Letta che sta tirando la volata a Monti per il suo bis). “Se l’Italia diventa ingovernabile, la responsabilità sarà del M5s che non è disponibile ad un accordo preventivo”. Questa frase, degna di un organigramma del Cremlino, tradotta sta per “quelli del M5s devono votarci a scatola chiusa”.
Ma a metà mattinata arriva Silvio Berlusconi, che così dichiara alla attendibile e seria professionista del corriere della sera (edizione on-line) Paola Di Caro: “Superati i primissimi giorni le cose cambieranno, adesso quelli del PD fanno i sostenuti, guardano a Grillo. Ma non ce la faranno. Quello è un rapporto che non regge, politicamente e numericamente. Avranno bisogno di noi, busseranno alla nostra porta. Vedrete, verranno a Canossa... E vi dico l'idea che mi sono fatto: non sono nemmeno sicuro che alla fine l'incarico sarà dato a Bersani”. Non è chiaro se sia un auspicio oppure una minaccia. Poco importa. Ma all’interno del PDL c’è una rivolta interna perché il gruppo dirigente non è d’accordo. E il Cavaliere, re della comunicazione italiota, poco dopo, avvertito della levata di scudi tra i suoi, non si lascia sfuggire l’occasione e dichiara: “Se non ci sarà accordo, si accomodino. Facciano pure, vediamo quanto durano. Io intanto preparerò la mia campagna elettorale sui temi che interessano i nostri elettori, mi sento alla grande, e stavolta correrei come leader”.
Infine, la dichiarazione di Beppe Grillo che sostiene: “Il M5s voterà in aula le leggi che rispecchiano il proprio programma chiunque sia a proporle…il movimento cinque stelle non darà alcun voto di fiducia al PD né ad altri. Se Bersani vorrà proporre l’abolizione dei contributi pubblici ai partiti sin dalle ultime elezioni lo voteremo di slancio (il M5s ha rinunciato ai 100 milioni di euro che gli spettano) e se metterà in calendario il reddito di cittadinanza lo voteremo con passione”.
Questo è ciò che sta accadendo.
Quelli del PD e quelli del PDL vivono ancora nello spazio mentale di un mondo senza Senso. Non si accorgono, non capiscono, non comprendono che la trattativa non viaggia sulla rotaia di presidenze, sottosegretariati, gestione di aziende, bensì sui programmi e sulle proposte. Quantomeno non quando si parla con il M5s, altrimenti non sarebbe tale.
Si tratta di una differenza lessicale, per il momento incompatibile.
Sono software mentali diversi.
Il PD e il PDL cercano l’accordo sul “con-senso” identificato in gestione consociativa privata e personale dei beni comuni e delle risorse della collettività. Quindi, come sempre.
Quelli del M5s cercano l’accordo e sono disponibili al dialogo, al confronto, e a una piattaforma governativa, sulla base del “dis-senso”, identificato come gestione pubblica delle risorse da mettere a disposizione della collettività. La qualità del dis-Senso consiste in una rottura con i precedenti fallimentari durati vent’anni, per dar mostra di un segno di discontinuità nel lavoro parlamentare.
E’ un altro mondo lessicale. E’ un diverso ordine d’idee.
Per il momento, quindi, il PD e il PDL dimostrano di non volere nessun cambiamento, nessuna riforma, nessun accordo, e di non essere in grado di saper o di poter accogliere nessuna delle istanze portate avanti dal M5s che ha raccolto il voto di 8.800.000 cittadini.
Per loro, queste voci non valgono nulla.
Personalmente consiglio ai neo-eletti di armarsi di tutta la necessaria pazienza e, invece di farsi intimorire,  di comprendere che i propri interlocutori non hanno il senso della realtà, e quindi va spiegato loro come si stanno mettendo le cose, come si fa con i bambini o con quelli fuori di testa. Forse quelli del PD capiranno che è arrivato il momento di ascoltare la nazione, le istanze dei cittadini, i bisogni collettivi e si decideranno a varare un programma che accolga i punti per i quali ha votato il 25% degli italiani.
Come notava il giornalista Andrea Scanzi, de Il Fatto Quotidiano, rivolgendosi ai neo eletti: “D'Alema e Veltroni sono contrari a un dialogo con Grillo. E' la conferma che è l'unica strada possibile. Provateci. (a margine: nel Pd hanno ancora Veltroni e D'Alema che dettano la linea. O anche solo pontificano. Sono proprio lanciati a bomba verso il proprio abisso).
Allora, non hanno ancora capito che questo è soltanto l’aperitivo, un buon mojito tra amici.
Sarà una primavera di riscossa, quindi.
A tutt’oggi, così vedo io la cosa.
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