lunedì 27 maggio 2013

Fare Anima




Di anima non si parla più: manca il tempo per farlo.
La fretta, la furia, il frastuono, le vicissitudini quotidiane
annullano inesorabilmente il nostro tempo,
non lasciano tempo alcuno da dedicare a se stessi. E,
paradossalmente, allorché ci si ritrova di fronte al
cosiddetto "tempo libero" tutta la tensione accumulata
in quel vivere frenetico, l'adrenalina in circolo,
il rimosso a causa di norme, doveri e costrizioni, impongono
di ricercare svaghi che sono di nuovo fonte
di tensione: si vive in coda sull'autostrada per
ore, si fa la fila al cinema, ci si stordisce in discoteca,
ci si svacca sul divano con la tv accesa.
 È un processo di accumulo, stordimento e assopimento
che può solo produrre disarmonia, di certo
non aiuta a entrare in contatto con se stessi, e impedisce
sicuramente di mettere a fuoco i problemi,
frutti inevitabili di tanta incoscienza. Che dire della
ricerca di un significato esistenziale e della realizzazione
del proprio destino di esseri umani?
 Di converso, quella confusione si ripercuote nel
rapporto di coppia, nel contesto sociale, negli abusi
fatti all'ambiente in cui viviamo. Ne consegue un clima
di autodistruzione oggi più che evidente: la parola
fine è scritta ormai a chiare lettere su un orizzonte che
ingloba ancora una o due generazioni al massimo.
 Tra i tanti suggerimenti per cambiare rotta, il più
importante a me sembra quello forse più scontato:
tornare al semplice, rientrare in se stessi, familiarizzare
e iniziare a dialogare con la propria intimità,
senza farsi terrorizzare da ciò che si incontrerà all'inizio.
Infatti di fronte a noi esploderà un caos primordiale,
frutto di accumuli a tutti i livelli: dalle tante
cose non dette, non vissute, non fatte, all'infinito
magma di istinti tenuti e da tenere sotto controllo;
dal volume di esperienze non elaborate, al bombardamento
di notizie, informazioni e sapere mai assimilato;
dai divieti sociali alle norme religiose, con
tutte le conseguenze repressive che questo comporta.
 Non sarà facile districarsi, ma soprattutto non
sarà semplice accettare quello stato di cose: forse è
per questo che, di fronte a un simile disordine, si
cerca oggi una soluzione drastica di annichilimento,
attraverso le droghe, il cui consumo è soggetto a un
aumento esponenziale. Purtroppo senza poter dare
risultati reali: artificialmente non sarà mai possibile
rilassare mente e corpo; chimicamente non sarà mai
possibile riprendere contatto con la propria energia
vitale e, soprattutto, non si potrà mai mettere reali
radici nell'esistenza. Ebbene, è tempo di tornare a
parlare di anima. Infatti, solo tornando a percepire
la propria energia vitale, solo iniziando a sentirsi vivi,
e al tempo stesso liberi da ruoli ed etichette, slegati
da personalità e identità proiettate, solo percependo
la nostra fiamma di vita, nella sua purezza e
semplicità, potremo dare una nuova rotta a noi stessi
e, di conseguenza, al pianeta che ci ospita.
 Tutto questo è "fare anima". Ma è bene comprendere
che, senza un processo di pulizia interiore, e soprattutto
senza il percorso di attenzione che un uso
cosciente della propria energia richiede, l'anima non
esiste: è troppo dispersa in singoli frammenti, formati
da bisogni e desideri, istinti e pulsioni, nuvole di
pensieri e tempeste emotive. È ancora meno di un riflesso
della luna sull'acqua, increspata dalle onde.
 A ciascuno spetta il compito di rendersi conto di
quanto è andato oltre i limiti, ma soprattutto di non
autocommiserarsi per averlo fatto: piangersi addosso
è una forma di autocompiacimento perverso che
annulla ogni possibile presa di coscienza, e di conseguenza
qualsiasi cambiamento: di rotta, di paradigma,
di vita.
 Di nuovo, si potrebbe scegliere una via più semplice
o sbrigativa: ci sono persone che, di fronte all'evidente
fallimento della propria vita, si abbattono,
lasciandosi morire; altre che, non potendo realizzare
alcunché delle proprie aspirazioni, si fanno travolgere
da una furia distruttiva che annienta gli altri e/o
se stessi, a piacere. Altre ancora che mollano tutto e
ricominciano da capo... portando, purtroppo, con sé
il seme di quel malessere che poi, con il tempo, tornerà
a germogliare.
 Un consiglio semplice, che vuole essere il fondamento
dei "rimedi per l'anima" qui proposti: se si
ha coscienza di aver toccato il fondo, è meglio risalire.
E se il contesto in cui ci si trova mette a fuoco un
disagio insopportabile, è meglio ripartire da lì, elaborando
l'insieme della situazione: quello stato di
cose esplosivo può essere usato come uno specchio
in cui viene riflesso ciò che si è.
 Purtroppo, ci si rende conto del proprio disagio
esistenziale quando è troppo tardi: a quel punto è
già diventato un disturbo, oppure una malattia vera
e propria. Non si può quindi pretendere di trovare
qui la cura in senso assoluto: a ogni livello di gravita,
è bene contrapporre il rimedio più appropriato.
Vero è che, qualsiasi sia lo stato di disagio e di
confusione in cui ci si trova, un po' di chiarezza aiuta
sempre a trovare il giusto percorso di guarigione.
 Crearsi lo spazio per acquisire un po' di chiarezza
è quindi la cura preventiva per eccellenza, ed è un rimedio
che si può affiancare senza pericolo di controindicazioni
a qualsiasi cura si stia facendo. In breve:
abituarsi a stare un po' soli con se stessi è un
prendersi cura di sé che non si dovrebbe mai dimenticare,
neppure in assenza di sintomi. Non farlo significa
creare i presupposti, o addirittura alimentare uno
stato di nevrosi che, essendo diventato normalità,
non viene neppure più riconosciuto come malsano.
Oggigiorno, per assurdo, "malata" è la persona che
non riesce ad adeguarsi al malessere collettivo: questo
è un altro dei paradossi con cui ci dobbiamo confrontare,
decidendo di prenderci cura di noi.
 Ebbene, da questo punto di vista, siamo soli, lasciati
a noi stessi: staccare la spina, riconoscere la fatica
o l'incapacità di adeguarsi ai nuovi ritmi, imposti
da un mondo che cambia vertiginosamente,
implica perdere il contatto con il gruppo di appartenenza,
mettere in discussione la propria immagine,
non poter corrispondere a ritmi di vita e bisogni altrui,
ridiscutere le proprie priorità, ridisegnare la
propria vita quotidiana.
 È una scelta drastica, difficile e complessa, ed è
comprensibile che venga rimandata, ignorata, disdegnata,
se non addirittura temuta: i più fortunati la
prendono in considerazione ai primi segnali che
qualcosa si sta inceppando (tensioni muscolari, facilità
a innervosirsi, cattiva digestione), altri si fermano
quando l'ingranaggio si è inceppato (per una gastrite,
un'ulcera, un'ernia), altri ancora quando la macchina
ha letteralmente grippato e non ci regge più (ed ecco
l'insonnia, i disturbi alimentari, i blocchi intestinali).
 Questi sono i livelli detti di somatizzazione sui
quali è possibile intervenire con le cure qui consigliate,
affiancate ovviamente nei casi più gravi dalle cure
mediche del caso: una sana catarsi, un ritorno alla
propria scintilla di vita, un uso consapevole della propria
energia aiuteranno a elaborare il vissuto che ha
prodotto quei sintomi e a vedere la vita come un percorso
di crescita di ben altra portata. Il tutto, ovviamente,
condito con un graduale ritorno alla normalità
in tutti i sensi: rispetto agli impegni, al modo in cui ci
nutriamo e a come usiamo il nostro organismo.

 È una normalità che va conservata e coltivata, in
quanto è fondamentale ricordare che non è qualcosa
che si conquista per sempre, solo perché si decide o
si pensa di averlo fatto!
 Anche questo è un passo che si deve decidere di fare
consapevolmente, ogni giorno, malgrado le sollecitazioni
e i possibili giudizi altrui; malgrado il mondo,
inteso come contesto globale in cui siamo immersi:
qualcosa di eccessivo, in tutti i sensi, che ci riempie di
stimoli e sollecitazioni tali da sovraccaricare il nostro
organismo, impedendo qualsiasi assimilazione:
È come se continuassi a mangiare, a rimpinzare il tuo
corpo: il cibo che il corpo non riesce a digerire si trasformerà
in veleno. E ricorda: ciò che mangi è meno
importante di ciò che ascolti o che vedi. Attraverso gli
occhi, le orecchie e tutti ì sensi, ricevi in ogni momento
mille e una informazione, e non esiste un tempo
supplementare per poterle assimilare. È come stare
seduti a tavola ventiquattr'ore su ventiquattro e continuare
a mangiare senza fermarsi mai.
 Questa è la situazione in cui vive la mente moderna:
è sovraccarica, è appesantita da moltissime
cose; non c'è da stupirsi se ha dei crolli. Ogni meccanismo
ha i propri limiti, e la mente è uno tra i meccanismi
più sottili e delicati.
 Ebbene, una persona veramente sana si prende il
cinquanta per cento del tempo per assimilare le proprie
esperienze. Il cinquanta per cento del tempo è
dedicato all'azione, l'altro cinquanta per cento è dedicato
alla non azione: questo è il giusto equilibrio.
Il cinquanta per cento del tempo è dedicato al pensiero
e l'altro cinquanta per cento è dedicato alla
meditazione: questa è la cura.
 La meditazione non è altro che il tempo in cui ti
rilassi totalmente in te stesso: quando chiudi tutte le
tue porte, tutti i tuoi sensi agli stimoli esterni. Scompari
dal mondo; dimentichi il mondo, vivi come se
non esistessero giornali, radio e televisione, ti allontani
dalla gente. Sei solo nel tuo essere più intimo,
rilassato: sei a casa.
 In questi momenti assimili tutto ciò che avevi accumulato:
assorbi ciò che ha valore, getti via tutto
ciò che non ha alcun valore. La meditazione è come
una spada a doppio taglio: da un lato ti fa assimilare
tutto ciò che può nutrirti, dall'altro scarta e getta via
tutta l'immondizia che hai accumulato.
 Purtroppo la meditazione è scomparsa dal mondo
contemporaneo. In passato, l'uomo era naturalmente
meditativo; nelle società tradizionali la vita non
era complicata e tutti avevano il tempo sufficiente
per stare seduti senza fare niente, oppure guardavano
le stelle, osservavano gli alberi o ascoltavano il
canto degli uccelli. La gente aveva intervalli di passività
profonda e, in quei momenti, l'uomo acquistava
salute e integrità, in un crescendo costante.
 Nevrosi significa che hai nella mente un peso insopportabile,
ti opprime al punto da schiacciarti. Non
riesci a muoverti, sei letteralmente paralizzato, la tua
consapevolezza non riesce più a volare; non riesci
neppure a strisciare, il peso è davvero opprimente. E
questo peso va aumentando a ogni istante che passa.
Inevitabilmente, alla fine crolli, ti spezzi; è naturale!
 Devi comprendere alcune cose. La nevrosi è il topo
che tenta e ritenta costantemente di avanzare in
una via senza uscita e che non impara mai. Certo,
nevrosi è non imparare, questa è la prima definizione.
Continui a fare tentativi in una via senza uscita.
 Sei andato in collera. Quante volte sei andato in
collera? E quante volte ti sei pentito di essere andato
in collera? Tuttavia, lascia che ci sia uno stimolo e la
tua reazione sarà di nuovo la stessa; non hai imparato
proprio niente. Sei stato avido e la cupidigia ti ha
creato un'infelicità sempre più grande. Sai che la cupidigia
non ha mai reso beato nessuno, eppure sei
ancora avido, continuerai a esserlo; non hai imparato
niente. Questo non imparare crea nevrosi, è nevrosi.
 Imparare significa assimilare. Tenti qualcosa e
scopri che non funziona. Lasci perdere. Vai in un'altra
direzione, tenti un'alternativa. Questa è saggezza,
è intelligenza. Continuare a sbattere la testa contro
un muro, dove sai benissimo che non c'è nessuna
porta: questa è nevrosi.
 La gente diventa sempre più nevrotica perché tutti
si ostinano a percorrere vie senza uscita, a tentare ripetutamente
cose che non funzionano. Chi è in grado
di imparare non diventerà mai nevrotico, è impossibile
che lo diventi: quando ha di fronte un muro, lo
comprende immediatamente e lascia perdere l'idea di
attraversarlo; si sposta in un'altra dimensione. Ci sono
altre alternative a sua disposizione. L'ha imparato.
 Questo significa imparare: tenti un esperimento
e, vedendo che non funziona, tenti un'alternativa;
vedendo che anche quella non funziona, il saggio la
lascia perdere. Lo sciocco si aggrappa.
 Lo sciocco chiama "coerenza" il suo aggrapparsi,
dice: "Ho provato ieri e ritenterò oggi. Ritenterò anche
domani". È testardo, cocciuto.
 Dice: "Perché dovrei lasciar perdere? Ho investito
tanto in questa cosa! Non posso cambiarla". Quindi
continua a insistere e spreca così tutta la vita. Quando
sarà prossimo alla morte, sarà disperato, sarà assolutamente
disilluso, la sua vita gli sembrerà un vero fallimento.
 Questo crea nevrosi. Chi è in grado di imparare
non diventerà mai nevrotico.
Osho

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