martedì 31 dicembre 2013

Come creare una sfera di energia



La sfera energetica (psi-ball o ki-ball) è uno dei primi approcci al mondo della magia, un semplice esercizio che unisce visualizzazione e percezione dell'energia bioelettrica che si concentra nei palmi delle mani.

Si tratta anche di un semplice metodo usato per valutare quanta bioelettricità (qi o ki) riusciamo a sviluppare.

Sappiamo bene che 
l’energia va dove la mente vuole, quindi concentrandoci possiamo spostarla dove vogliamo e possiamo fare in modo da aumentare la sua concentrazione tra le mani.

La prima cosa da fare è 
sviluppare il proprio potenziale bioettrico. Il nostro corpo è strutturato come un circuito con due poli + e - che si trovano indicativamente a livello di primo e settimo chakra. 

La seconda cosa è 
visualizzare una sfera di energia. Possiamo visualizzarla di un colore blu elettrico o bianca, a livello dell'addome, sotto l'ombelico. Una sfera di energia condensata con raggi luminosi che si muovono in modo apparentemente disordinato.

Puoi immaginare di sentire il crepitìo dell'energia e la sensazione di pressione a livello dell'addome. Respira profondamente mentre percepisci il suo addensarsi.
Metti un sottofondo musicale che ti aiuti a rilassarti.
Dovresti iniziare a percepire una leggera 
sensazione magnetica o vibrazione,pressione, caldo o freddo.
A questo punto metti le tue mani nella posizione di preghiera  con i palmi dellemani l'un contro l'altro.

Poi allontana le mani di 30-40 cm tenendole parallele tra di loro.Muovi lentamente le mani di 3-5 cm una verso l'altra e poi ancora allontanale. Ripeti il movimento diverse volte.
 Concentrati sui palmi delle mani. Devi diventare capace di sentire mentalmente i palmi delle mani senza toccarli. Devi sentire una leggera vibrazione flusso dienergia magnetica da un palmo all'altro. Puoi sentire questa energia fin dal primo tentativo oppure dopo un po' di pratica ed esercizio.
Normalmente si è capaci di sentire l'energia fin dalla prima volta che si prova l'esercizio. Ma se si incontrano difficoltà è bene iniziare concentrandosi su un palmo alla volta, sentendo l'aria che tocca il palmo della mano.
Ci sono almeno 15° di differenza tra la temperatura del corpo e la temperatura della stanza, così è sufficiente un po' di concentrazione per percepire l'aria. Poi concentrati sulla sensazione di flusso dell'energia da palmo a palmo.
Piano piano ti troverai a sentire questo flusso energetico anche allargando le tue mani, di più e di più, l'una dall'altra. 
MA LA SFERA SI VEDE?

Una domanda classica che mi viene fatta più volte è: "Posso vederla?"
A questo posso solo rispondere che se sviluppi le capacità di chiaroveggenza, anche solo base, quale 
vedere le aure, potrai vederla.
Certo non ti aspettare un fuoco come quello nella foto, ma piuttosto una leggera nebbiolina, biancastra o colorata tra le tue mani.

Prova questo Test prima e dopo qualsiasi tecnica energetica o di qigong e noterai una grande differenza.
Puoi testare anche lo sviluppo complessivo del corpo bioenergetico su un compagno oppure da solo.
AUTO-TEST BIOENERGETICO

Valuta da te stesso lo stato di densità del tuo campo bioenergetico e della tua capacità di percezione.
Avvicinando tra loro i palmi delle mani a quale distanza li percepisci?
Avvicinando un palmo al braccio a quale distanza lo percepisci?
Avvicinando un palmo all'addome a quale distanza lo percepisci?
Avvicinando un palmo al viso a quale distanza lo percepisci?
Avvicinando un palmo dall'alto alla sommità della testa a quale distanza lo percepisci?
Avvicinana ed allontana le mani avanti e indietro fin quando non percepisci una sensazione di vibrazione, formicolio o pressione.
Valuta le distanze e registrale su un quadernetto. Piano piano potrai notare come cambia il tuo campo elettromagnetico.



Questo esercizio è propedeutico all'attività di telecinesi, il movimento di oggetti fisici senza toccarli.
COSA NE FACCIO DI QUESTA SFERA?

Una domanda molto intelligente che mi viene fatta più volte è: "Ma quando ho imparato a percepire la sfera, cosa ne faccio? A cosa mi può servire?"
La sfera può servire a molte cose e pertanto aggiornerò spesso questo articolo con nuovi utilizzi.

#1. Attivazione e sviluppo del corpo energetico
La manipolazione dell'energia aiuta ad aumentare la densità e la percezione della bioenergia emessa dal campo magnetico delle cellule, requisito fondamentale su cui si basa ogni ulteriore sviluppo della pratica.

giovedì 26 dicembre 2013

Godersi la propria mente





 Non cercare di arrestar e la mente. È una parte di
te del tutto naturale; se tenti di fermarla, impazzirai.
Sarebbe come se un albero tentasse di bloccare le
proprie foglie, impazzirebbe! Le foglie sono una sua
parte assolutamente naturale.
Dunque, come prima cosa, non tentare mai di arrestare
il tuo processo di pensiero. È qualcosa di
perfetto che va bene così.

 La seconda cosa: il semplice non arrestare quel
continuo moto mentale non basterà; lo devi godere.
Gioca con il flusso dei tuoi pensieri! È un gioco bellissimo.


 Giocando con loro, divertendoti, accogliendoli,
inizierai a diventarne sempre più consapevole, sarai
attento e presente al loro sopraggiungere.

 Si tratterà di una consapevolezza assolutamente
indiretta, non dovrai fare alcuno sforzo per diventarne
consapevole.

 Nel momento in cui cerchi, ti sforzi di essere consapevole,
la mente ti distrae e tu vai in collera con
essa. Hai la sensazione che si tratti di una mente orribile,
abnorme; non fa altro che chiacchierare, continuamente!
Tu vuoi essere silenzioso e la tua mente
non te lo permette, ragion per cui inizi a sentirti in
antagonismo con essa.
 Non va bene! In questo modo ti dividi in due: tu
e la tua mente diventate due entità, e si scatena un
conflitto, prende vita una perenne frizione. Qualsiasi
contrasto con te stesso è suicida, poiché si
tratta sempre della tua energia che viene sprecata
inutilmente: non ne abbiamo così tanta da permetterci
di sprecarla inutilmente, lottando contro noi
stessi. Quella stessa energia dev'essere utilizzata
per gioire.

 Dunque, come prima cosa inizia a goderti il flusso
dei tuoi pensieri. Osservane le sfumature, i giri
che compiono, come un pensiero porti a un altro,
come si agganciano tra di loro. È un vero miracolo,
qualcosa di incredibile che vale la pena osservare!


Un semplice pensiero, piccolissimo, può portarti
verso un orizzonte oltremodo remoto, e se scruti in
profondità, non esiste alcun legame tra quel lampo
iniziale e la meta raggiunta.

 Godi quel moto ondoso, lascia che sia un gioco;
giocaci volutamente, con passione e rimarrai sorpreso:
a volte, semplicemente godendo di quel flusso,
scoprirai pause bellissime. All'improvviso scoprirai
che un cane sta abbaiando, ma nella tua
mente non affiora alcun pensiero, quell'abbaiare
non scatena alcuna catena di pensieri: il cane continua
ad abbaiare, tu continui ad ascoltare, e non affiora
alcun pensiero.

 Affioreranno intervalli impercettibili... ma non
devono essere generati. Giungono spontaneamente,
e quando affiorano, sono incredibilmente belli. In
quei piccolissimi intervalli di silenzio inizierai a osservare
colui che osserva, ma si tratterà di un fenomeno
del tutto naturale.

 Di nuovo i pensieri riprenderanno a scorrere e tu
tornerai a goderne il flusso. Procedi con leggerezza,
senza tensioni o pretese, prendi le cose con calma.
La consapevolezza giungerà a te, ma sarà un evento
del tutto indiretto.

 Osservando, godendo il flusso dei pensieri, vedendo
il loro procedere, il loro concatenarsi, le svolte
che prendono... è bello come vedere il mare e il riflusso
di milioni di onde. Anche questo è un mare, e
i pensieri sono onde; eppure la gente continua a godersi
il gioco delle onde dell'oceano e non si diverte
nell'osservare le onde all'interno della propria consapevolezza.
 Osho: La verità che cura.

lunedì 23 dicembre 2013

Il segreto della felicità



“Non c’è dovere più sottovalutato di quello di essere felici.
Quando siamo felici, seminiamo nel mondo anonimi benefici.”
(Robert Louis Stevenson)

“Il segreto della felicità sta nella scelta dei nostri pensieri, o piuttosto nella direzione della nostra attenzione, istante dopo istante. L’infelicità viene dall’automatico concatemento dei pensieri infelici, istante dopo istante. L’infelicità consiste nel giudicarsi felice o infelice, nel domandarsi se si è felici o infelici. Si è felici se si vive nell’istante, in piena coscienza, fuori da ogni giudizio.

L’occhio della coscienza discriminante discerne senza sosta l’assenza completa della “realtà oggettiva” delle cause del nostro dolore e il carattere illusorio della sofferenza stessa: il concatenamento meccanico dei nostri turbamenti e dei nostri pensieri.[…]

Ciò che ci fa male non sono i nostri pensieri ma, ancora di più, i giudizi che diamo sui nostri giudizi. Diamo un taglio netto alle associazioni automatiche di pensiero, ai concatenamenti di pensieri dolorosi e torniamo sul campo alla semplicità dell’istante.

Non si scelgono i propri pensieri, ma si può decidere di non crederci. Colpevolizzarsi per un pensiero cattivo significa aggiungere sofferenza alla sofferenza. Siamo responsabili dei nostri sogni? No. Ma quando l’incubo diventa troppo doloroso è bene svegliarsi: non era altro che un pensiero.

I nostri pensieri, le nostre emozioni: agitazioni di neuroni, flusso di ormoni. Niente di solido. Perché fidarsi?

Emozioni come la gelosia, per esempio, o alcuni fantasmi dolorosi, rinascono instancabilmente, come la gramigna. Come estirparli? Come cacciare questi demoni divoranti? Come acquistare la pace dell’anima? Ricordati che si tratta di illusioni formate dalla tua mente, di un prodotto del tuo pensiero.

Potresti dirigere la tua attenzione verso altre rappresentazioni oppure aprirti a ciò che i tuoi sensi ti offrono in questo istante. Immaginando un dolore che presumi falsamente provenire dagli altri, paragonando ciò che è a ciò che dovrebbe essere, ti stai torturando. Non smettiamo mai di produrre immagini, pensieri, emozioni che ci fanno soffrire.

Siamo il nostro carnefice, il nostro carceriere, per di più illusionisti e bugiardi. I muri e gli strumenti di questa stanza di tortura personale che a volte è la nostra mente non sono che pensieri, ricordi, timori, immagini che non corrispondono a niente di attuale, niente di veramente presente qui e ora.

È facile dissolvere l’invidia. Ricordati che nessuno possiede mai un oggetto. Ognuno vive solo di istanti successivi. Non possediamo mai altro che secondi d’esperienza che svaniscono non appena vissuti. L’invidia è dunque, alla lettera, senza oggetto, poiché la persona invidiata esperisce solo un secondo dopo l’altro, proprio come te e come tutti.

L’unica differenza tra gli esseri sta nella loro capacità di aderire con gioia al divenire. Risiede nella loro più o meno grande propensione a comparare costantemente l’esperienza a “ciò che dovrebbe essere.” Invidiano produci la tua stessa sofferenza a partire da niente.

La sofferenza non deriva dal fatto che non hai ciò che un altro possiede (a questa stregua saresti sempre e necessariamente infelice, poiché c’è sempre qualcuno che possiede qualcosa che tu non hai.) La sofferenza proviene dal fatto che pensi che lui, o lei, possiede ciò che tu non hai.

Quand’anche otteniamo ciò che desideriamo di più, possiamo ancora soffrire terribilmente, non fosse altro che a causa del ricordo della nostra frustrazione precedente. A causa dell’idea che non abbiamo avuto l’oggetto nel momento in cui abbiamo iniziato a desiderarlo, a causa di tutto il risentimento, tutto il dolore che la mancanza e il desiderio insoddisfatto hanno provocato.

A causa della rappresentazione che una parte della nostra vita è stata irrimediabilmente privata di ciò di cui avevamo bisogno… o a causa della nascita di un nuovo desiderio. Ma in realtà il passato non esiste e ora soffriamo mentre dovremmo godere. E nel passato dobbiamo la nostra infelicità solo alla nostra assenza poiché ci siamo consumati nel desiderio invece di godere dell’istante.

Lui possiede ciò che io non ho. Io possiedo ciò che loro non hanno. Lui è più bello, più forte, più felice di me. Si divertono mentre io lavoro. Io valgo meno di … Valgo più di … Sono più felice di … Sono più intelligente di … Sono migliore di … Per ognuno di questi pensieri le nostre anime sanguinano. Il paragone è l’artiglio del diavolo.

Il paragone e l’accumulo sono riflessi intimi della mente. Ogni volta che li osserviamo funzionare ricordiamoci che l’istante presente è l’unica cosa che esiste realmente e che non si cede né all’uno né all’altro. Senza sosta, nella nostra testa, una piccola voce quasi impercettibile, ma instancabile, ostinata, ci critica, ci semina il dubbio.

Passiamo il nostro tempo a scalzarci insidiosamente. Non che occorra esaminarsi, prestare attenzione ai nostri atti e ai nostri stati mentali ma, per l’appunto, sembra che questa voce di critica incessante ci sottragga all’attenzione. Il che le permette di compiere con più tranquillità il suo lavoro di demolizione.

Sfugge all’attenzione perché “l’io” è proprio ciò che non smette di dire a mezza voce: “Non dovresti … fai male … dovresti invece … etc..” Questa voce maledetta che si è stabilita al centro del nostro essere usurpa il posto dell’anima, si fa passare per lei. Ma invece di una natura di scintilla ha il carattere di una doccia fredda che ci sfinisce. Siamo diventati questa doccia fredda.

Ci stupiamo di non incontrare più il calore e la luce del fuoco quando l’ego che abbiamo alle spalle, quando il parassita che ci abita nel petto fa professione di spegnerlo. Tutti coloro che ci criticano, ci colpevolizzano, ci demoralizzano si appoggiano su questa voce che tradisce la nostra vita dall’interno.

Peggio: le circostanze e le persone che ci opprimono traducono questa voce nel mondo “esterno” e la materializzano. Inutile farla tacere. Accontentiamoci di sentirla in maniera distinta e di riconoscerla per ciò che è: il nostro incubo nemico. Perde il suo potere dal momento in cui viene riconosciuta.

Ascolta il tuo discorso intimo. Cosa c’è di nobile nel coprirsi di vergogna, nel giustiificarsi, nel criticare gli altri, nel calcolare i propri beni? Molla la presa su tutto questo e comincia ad amarti, ad amarti esattamente per come sei. Abbandona la sofferenza.

Che atmosfera domina nel tuo intimo? Osserva senza sosta. Senti l’odore della tua anima. […] Quasi sempre la sofferenza è astratta, viene dal paragonare ciò che è e ciò che non è, ciò che abbiamo e ciò che hanno gli altri, il presente, il futuro o il passato. Ricordi che fanno male, fantasmi torturanti, scene immaginarie o instancabilmente rimuginate …

Eppure respiriamo, sentiamo, pensiamo, partecipiamo al miracolo della vita. se solo potessimo fare attenzione per un attimo alla grazia di vivere. Il pensiero ci porta a soffrire. Ci porta all’avidità, all’aggressione, alla paura, alla speranza, all’illusione … Se ci accontentassimo di sentire eviteremmo molto naturalmente la sofferenza. Affrancandoci dai nostri pensieri ci liberiamo dalla paura.

Il problema non sta nel raggiungere il risveglio. Questo comporterebbe immediatamente la speranza di arrivarci, la frustrazione di non esserci ancora, la paura di esserne separati per sempre. Il problema sta nello smettere di soffrire ora e, dunque, per esempio, di smettere di nutrire questo pensiero che non siamo risvegliati.

Non appena lasciamo cadere un pensiero, un problema, un dubbio, una paura, per tornare al presente, siamo risvegliati. Il risveglio consiste nel mollare la presa anche sul risveglio.” (Pierre Lévy - Il fuoco liberatore - Sassella ed., 2006)
http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2013/11/il-segreto-della-felicita.html

martedì 17 dicembre 2013

LA DANZA TRIBALE


Questo esercizio divertente e rilassante – accompagnato da un brano musicale che duri almeno trenta minuti con un ritmo continuo ma non martellante (per esempio il “Bodyjazz” di Gabrielle Roth) – ha lo scopo di renderci più consapevoli delle varie parti del corpo, di sciogliere le tensioni anche nelle parti di cui siamo più inconsapevoli e di riportare l’energia in un flusso più omogeneo.
La cosa più importante è di non seguire un’idea o di prefigurarci un movimento, ma di accettare il più possibile gli impulsi che provengono dal corpo sotto il suggerimento della musica.
Si inizia con la testa: seguendo il ritmo della musica, lasciamola ciondolare in avanti e indietro, ai due lati verso le spalle, con moto rotatorio in senso orario e in senso antiorario. I movimenti sono dolci, senza sforzi e senza strappi, movimenti piacevoli in cui si percepisce un leggero stiramento dei muscoli del collo e dell’occipite. Tutta questa fascia muscolare di solito è abbastanza “bloccata”, perciò dobbiamo allentarla non mediante movimenti controllati, ma piuttosto con movimenti sensuali, dolci, dilettevoli.
Iniziamo poi a girare gli occhi, a muoverli in su e in giù, a destra e a sinistra, a ruotarli senza muovere la testa. Muovere gli occhi produce diverse reazioni: ad alcune persone provoca giramenti di testa, ad altre procura un certo fastidio, altre ancora lo trovano piacevole, altre dicono che aiuta a rilassare tutta la faccia, altre ancora diventano aggressive. Osserviamo liberamente quali sensazioni e quali sentimenti scaturiscono quando, muovendo gli occhi, sciogliamo tensioni molto sottili e lo “schema di controllo” (molto delicato) collegato a questa muscolatura.


Continuiamo con il movimento, ma ora passiamo alla bocca: facciamo tutte le smorfie e le boccacce che ci vengono in mente, accompagnandole con il respiro, respirando a bocca aperta, contraendo e tendendo i muscoli facciali e smuovendo la mascella. Immaginiamo di essere un mostro dei cartoni animati o un essere che è appena uscito da un film di fantascienza, o una divinità feroce di un thanka tibetano.
A poco a poco, combiniamo tutti e tre i movimenti (della testa, degli occhi e della bocca) con il ritmo della musica in modo che il capo ballonzoli a suo piacere seguendo sia la musica che il ritmo del nostro respiro. Quando ci accorgiamo che non respiriamo profondamente ma solo superficialmente, oppure quando il movimento diventa meccanico, interrompiamo con tre o quattro respiri profondi e riprendiamo il ballo.
Sempre seguendo questa tecnica, passiamo alle spalle, poi ai gomiti e infine alle mani. A poco a poco, parte per parte, arriviamo a far ballare anche le anche, il bacino, le ginocchia, i piedi. Un buon trucco per ottenere questo risultato consiste nel suddividere il brano musicale in parti uguali per ogni parte del tuo corpo, concedendo un po’ più di tempo alla testa. Per esempio, se il brano dura trenta minuti, dedichiamo dodici minuti ai quattro movimenti della testa, e tre minuti a ogni altra parte del corpo.
I vantaggi di questa danza sono anche pratici: ci sentiremo ispirati a inventare movimenti che sono nuovi per noi, e a dare un raggio più ampio a giunture che solitamente muoviamo soltanto in una direzione o in un’angolazione molto stretta (per esempio i gomiti e le ginocchia). Muovendo ogni parte del corpo singolarmente, inoltre, portiamo anche la nostra attenzione in ognuna di queste parti, e con l’attenzione arriva la vitalità e l’energia, fattori che per la nostra crescita sono molto più importanti dell’allenamento fisico o di una buona forma.
Ovviamente possiamo fare questa danza anche insieme al nostro partner, prendendo contatto fra le rispettive parti del corpo – le tue mani ballano con le sue mani e le tue anche toccano le sue anche – ma l’attenzione rimane e deve sempre essere riferita al nostro corpo, non salta al corpo dell’altro, ma resta focalizzata sul nostro movimento. 


fonte Tantra di Elmar e Mchaela Zadra
http://divinetools-raja.blogspot.it/2012/01/la-danza-tribale.html

lunedì 2 dicembre 2013

Comincia tutto con un bel respiro

Devapath ci parla di sé e del suo lavoro.

Comincia tutto con un bel respiro, la vita, l’amore,  la celebrazione, la meditazione.

Da giovane avevo una vita intensa, ma intrisa di serietà: la prima relazione importante, gli esperimenti di vita comunitaria, il movimento degli studenti, gli studi di medicina e la specializzazione in psicosomatica. Presto mi ritrovai senza fiato, con una grande sensazione di vuoto. Il viaggio in India e l’incontro con Osho, nel 1979, cambiò tutto. Immergersi nell’amore e nella meditazione e non sapere cosa sarebbe successo il momento dopo mi dava un gran senso di benessere. C’era una moltitudine di persone che danzavano, si abbracciavano, ridevano o piangevano, celebravano. Una sensazione travolgente, un’intensità mai provata prima. Saltare in questa mia nuova vita era troppo bello ed emozionante... sì, c’era la paura, ma non il tempo di avere paura: c’era da celebrare e meditare.

Dall’attacco di cuore all’attacco d’amore

Molti anni dopo, nel 1990, sono di nuovo in India e celebro il mio compleanno. Osho arriva in Buddha Hall, dove partecipiamo tutti alla meditazione serale, per un breve saluto, poi ci lascia ad ascoltare in silenzio un suo videodiscorso. Sono sei mesi che la sua salute si sta deteriorando e questa sera appare ancora più fragile del solito.
Era l’ultima volta che lo vedevo nel corpo!
La sera successiva, sempre seduto nella Buddha Hall, vengo a sapere che il mio amato maestro ha lasciato il corpo. Sono scioccato, paralizzato, mi si ferma il respiro, la mente si rattrappisce: “Questa è la fine!”. Quando mi riprendo, ricordo che Osho ha detto che la risata e la danza sono più appropriate delle lacrime per celebrare la liberazione di un amico dalla prigione del corpo. Mamma mia, è di nuovo tempo di celebrare!
La celebrazione della morte di Osho è il paradosso supremo della mia vita. In realtà è il momento che mi ha insegnato di più sull’arte di celebrare. Sento ancora la sua risata cosmica da qualche parte in questo vasto universo. La gioia sembra davvero molto più appropriata di una sofferenza infinita.
Perché non prendere la vita, il lavoro, la relazione come un gioco? Perché non giocare con le nevrosi, invece di subirle? Perché non respirare profondamente e imparare a godere di quel che ci regala la vita, invece di lamentarci per quello che in tutti i casi ci porta via? Perché avere un attacco di cuore, quando se ne può avere uno d’amore? Ma come faccio a superare la mia serietà, la competizione, la gelosia e tutto il resto... e ricominciare a giocare?

Prezioso come un diamante

Se lo chiedete a me, vi dirò che la chiave è il respiro! Ci ho impiegato un bel po’ a rendermene conto...
Viaggio molto, ho una vita interessante e incontro centinaia di persone durante training, workshop o eventi in tutto il mondo. Ma sempre in compagnia di un buon amico: il respiro! Respirare a New York, o su una spiaggia caraibica – o in Messico o nella meravigliosa campagna toscana quando d’estate sono a Miasto – durante una meditazione dinamica o kundalini, mi aiuta sempre a godere del mio corpo, a rientrare in contatto con la mia vitalità, a mantenermi in forma... e magari ad aprire il petto con un bell’urlo primario.
È incredibile come il respiro rimanga a tutt’oggi un diamante nascosto nella nostra vita. Travolti dalla fretta e dalla frenesia, rimaniamo insensibili al gioiello più bello che abbiamo in noi. Che con tanta facilità ci può donare salute, ricchezza e bellezza, se solo impariamo a sentirlo, e ci rilassiamo di nuovo. Respirare bene ci ripulisce, ossigena ed energizza il corpo. Ci mantiene in salute e di buon umore. È medicina preventiva! Respirare bene ci schiarisce la mente e riporta in equilibrio le emozioni. Uno degli effetti più ignorati del lavoro psicologico è il ritorno a una respirazione libera, non impedita dalle tensioni. Se respiriamo bene, la nostra sensibilità si affina e possiamo iniziare il nostro viaggio di scoperta interiore. Il modo in cui respiriamo mostra come viviamo e ci relazioniamo.

Respirare è amore

Inspirare ed espirare è come nascere e morire. Respirare in armonia e in equilibrio mi riporta in contatto con un profondo senso di fiducia. Crea un’atmosfera d’amore dentro e fuori, che anche gli altri avvertono. Il neonato si sente al sicuro se respira in armonia con la madre. L’amore della madre lo aiuta a respirare nella pancia in modo profondo e rilassato. Il respiro naturale accade all’inizio con la ma­dre e diventa il cordone ombelicale che ci collega alla vita.
Nelle relazioni, il respirare in ar­monia è per me la chiave dell’intimità. Le protezioni scompaiono e l’amore di­venta il mio respiro interiore. Mi sembra che la potenza dell’amore scaturisca da quella del respiro. Senza il respiro mi sento come un albero senza radici sbattuto dal vento, timoroso di crollare da un momento all’altro. L’amore è terapeutico, ma ha bi­sogno del sostegno del respiro. Il corpo, il respiro, il sesso sono l’inizio del cammino dell’amore e della meditazione. Cercare di amare senza aver prima conosciuto i piaceri del corpo è come cercare di cavalcare senza il cavallo. Rientrare in contatto con il corpo, sentirne la bellezza e aprirsi al ritmo naturale del respiro ci permette di abbandonare vecchie paure e goderci la vita a tutti i livelli, da un orgasmo sessuale alla gioia orgasmica della meditazione.
“All you need is love!” Questa indimenticabile canzone dei Beatles tocca ancora i nostri cuori. Tutti cerchiamo la magia dell’amore, al di là dei drammi emotivi e dei milioni di illusioni che complicano le nostre relazioni. Secoli di respiro trattenuto e di falsi miti sull’amore ci hanno regalato solo problemi. Più di ogni altra cosa, il mondo moderno ha bisogno di una nuova dimensione dell’amore che coinvolga tutta la Terra. Per me, un abbraccio d’amore, uno sguardo d’amore e un respiro d’amore sono alchemici!

Fate un bel respiro e preparatevi a innamorarvi di nuovo della vita!
http://www.oshoba.it/oshotimes/index.php?option=com_content&view=article&id=847&Itemid=67

venerdì 8 novembre 2013

Non mi interessa cosa fai per vivere...

ricordi indiani
Voglio sapere per cosa sospiri e se rischi tutto per trovare i sogni del tuo cuore.
Non mi interessa quanti anni hai.
Voglio sapere se ancora vuoi rischiare di sembrare stupido per amore, per i sogni, per l’avventura di essere vivo.
Non voglio sapere quali pianeti minacciano la tua luna.
Voglio sapere se hai toccato il centro del tuo dolore, se sei rimasto aperto dopo i tradimenti della vita, o se ti sei rinchiuso per paura del dolore futuro.
Voglio sapere se puoi sederti con il dolore, il mio o il tuo, se puoi ballare pazzamente e lasciarti andare all’estasi che ti riempie fino alla punta delle dita senza prevenirti di cautela, di essere realista, o di ricordarti le limitazioni degli esseri umani.
Non voglio sapere se la storia che mi stai raccontando sia vera.
Voglio sapere se sei capace di deludere un altro per essere autentico a te stesso, se puoi subire l’accusa di un tradimento e non tradire la tua anima.
Voglio sapere se sei fedele, e quindi di fiducia.
Voglio sapere se sai vedere la bellezza anche quando non è bella tutti i giorni, se sei capace di far sorgere la vita con la tua sola presenza.
Voglio sapere se puoi vivere con il tuo fracasso, tuo o mio, e continuare a gridare all’argento di una luna piena.
Non mi interessa sapere dove abiti o quanti soldi hai.
Mi interessa sapere se ti puoi alzare dopo una notte di dolore, triste e spaccato in due, e fare quel che si deve per i bambini.
Non mi interessa chi sei, o come hai fatto per arrivare fin qui.
Voglio sapere se sapresti restare in mezzo al fuoco, con me, e non retrocedere.

Non voglio sapere cosa hai studiato, o con chi o dove.
Voglio sapere cosa ti sostiene dentro, quando tutto il resto di te non l’ha fatto.
Voglio sapere se sai stare da solo con te stesso, e se veramente ti piace la compagnia che hai nei momenti più vuoti.”
Donna indiana della tribù Oriah, tratto da ”Una Psicologia Antica” di Mario Mastropaolo, Liguori Editore

http://www.visionealchemica.com/non-mi-interessa-cosa-fai-per-vivere/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=non-mi-interessa-cosa-fai-per-vivere

lunedì 4 novembre 2013

Anche gli alberi hanno un cervello


 



di
 Damiano Fedeli su Panorama


 


Le piante hanno una «testa pensante» con la quale comunicano, prendono decisioni, ricordano perfino. Alcuni ricercatori italiani sono stati tra i primi a scoprirlo.
La prossima volta che vi capiterà di osservare un albero, o anche solo un cactus della terrazza, certo li guarderete con occhio diverso. Perché le piante, dalla quercia più imponente al fiore più esile, hanno una «testa pensante»: riflettono, si scambiano informazioni o avvertimenti, prendono decisioni. E il loro cervello segreto è nelle radici.

Una verità che Charles Darwin aveva già sospettato e che viene confermata dalla scienza. Su ogni singola punta delle radici (il nome è apice radicale) c'è un gruppo di cellule che comunica usando neurotrasmettitori, proprio come i nostri neuroni; e queste cellule elaborano e rispondono alle informazioni che arrivano qui da tutta la pianta.

Ciascun apice è autonomo, ma può anche coordinarsi con gli altri. Un vero e proprio cervello diffuso il cui funzionamento a rete ricorda quello di internet, e che permette agli alberi non solo di comunicare, ma persino di avere una memoria e una sorta di autocoscienza.

La scoperta è di un gruppo di ricercatori delle Università di Firenze e di Bonn e rappresenta una svolta in ciò che finora si sapeva sui vegetali. È nata persino una nuova scienza, la neurobiologia vegetale, di cui si è tenuto di recente a Firenze il primo congresso internazionale.

Gli studiosi della nuova disciplina hanno dato vita alla Society for plant neurobiology e a una rivista, Plant signaling & behavior (comunicazione e comportamento delle piante). Nel capoluogo toscano sta poi per nascere il primo laboratorio al mondo per questa materia, destinato a diventarne centro di riferimento.

«Le ricerche degli ultimi quattro anni hanno portato prove che le piante si comportano come esseri intelligenti. Il rischio per noi è stato che si equivocasse una ricerca scientifica solida con credenze popolari che hanno diffuso una serie incredibile di sciocchezze» avverte Stefano Mancuso, del dipartimento di ortoflorofrutticoltura dell'Università di Firenze.

«La neurobiologia vegetale è nata qui e all'Università di Bonn, con il team di Frantisek Baluska, dell'Istituto di botanica molecolare e cellulare. Abbiamo scoperto che in ciascun apice radicale c'è una zona, detta di transizione, le cui cellule hanno caratteristiche neuronali. Mettono cioè in atto una trasmissione sinaptica identica a quella dei tessuti neurali animali».

L'impulso scorre nel cervello della pianta attraverso molecole, i neurotrasmettitori, molti dei quali sono gli stessi con cui comunicano i neuroni animali. «In questi apici troviamo glutammato, glicina, sinaptotagmina, gaba, acetilcolina. Ci siamo chiesti: che cosa ci stanno a fare, se le piante non hanno una trasmissione sinaptica?» racconta il ricercatore. Se era noto che i vegetali producono sostanze attive neurologicamente, come caffeina, teina o cannabina, la scoperta di neurotrasmettitori ha evidenziato l'attività neurale.

Anche il ruolo del più importante ormone vegetale finora conosciuto, l'auxina, è stato ridefinito. Baluska: «Permette alla pianta di accrescersi o di emettere nuove radici ed è un neurotrasmettitore specifico dei vegetali, molto simile alle nostre melatonina o serotonina».

«È tempo di dare il benvenuto alle piante nel novero degli organismi intelligenti» afferma Peter Barlow, della School of biological science dell'Università di Bonn. Una prova di «intelligenza vegetale», del resto, è il comportamento in caso di difficoltà. Le piante agiscono infatti con lo stesso sistema prova-errore degli animali: davanti a un problema procedono per tentativi fino a trovare la soluzione ottimale di cui, poi, si ricordano quando si presenta una situazione simile.
Se per esempio manca acqua, aumentano lo spessore dell'epidermide, ne chiudono le aperture, gli stomi, evitando la traspirazione. Riducono poi il numero di foglie aumentando quello delle radici per esplorare zone vicine.

Viene da chiedersi, però, se non si tratti di stimoli puramente meccanici. «No, si tratta di un comportamento intelligente» sostiene Mancuso. «Se le radici dovessero solo trovare acqua, potrebbe essere automatico. Ma devono anche cercare ossigeno, nutrienti minerali, crescere secondo il senso della gravità, evitare attacchi.

E valutare quindi contemporaneamente le comunicazioni chimiche che le piante si scambiano attraverso l'aria e la terra: messaggi sullo stato di salute o sui parassiti. Se sono attaccate da patogeni, comunicano alle simili della stessa specie con gas e sostanze volatili che c'è un pericolo, invitandole ad aumentare le difese immunitarie. I vegetali, così, dimostrano di essere anche sociali».

Sociali ma non necessariamente socievoli. Essendo esseri territoriali, le piante si mandano segnali del tipo «qui ci sono io», emettendo sostanze disciolte nel terreno. Le radici intercettano le comunicazioni, capiscono se hanno vicino una pianta della stessa specie, e in tal caso la reazione è blanda, oppure se è un'avversaria, e allora diventano aggressive fino a lanciare sostanze velenose.

Tenendo conto di tutti questi stimoli l'apice decide cosa fare. Decisione che viene anche dal ricordo: una pianta che ha già affrontato un certo problema è in grado di rispondere in modo più efficiente. «Questa caratteristica» ricorda Mancuso «era nota: si parlava di acclimatazione. Per esempio, l'olivo a ottobre-novembre si modifica per affrontare l'inverno. Finora lo si spiegava come una risposta meccanica alle variazioni ambientali. In realtà la pianta decide di farlo quando sente le condizioni che ha memorizzato».

Le piante hanno anche una certa coscienza di sé. Diversi esperimenti hanno mostrato che, prendendone due geneticamente identiche, due cloni, e mettendole accanto, quella che è messa in ombra dall'altra si muove alla ricerca di luce. Se invece si accorge di essere essa stessa a farsi ombra con un ramo, nulla accade.

Ma tutte le piante sono ugualmente dotate? Un filo d'erba ha lo stesso Q.I. di una quercia centenaria? «È possibile che ci siano piante più intelligenti, ma ancora non lo sappiamo» riconosce Mancuso. «Per misurare il quoziente intellettivo di un ratto lo si mette in un labirinto e si guarda quanto impiega ad arrivare al cibo.
Si è visto che una radice di mais inserita in un labirinto la cui meta era dell'azoto ci arrivava senza sbagliare, trovando la via più corta: in questo caso si tratta di organi di senso più raffinati».

«Siamo appena all'inizio di una rivoluzione nel nostro modo di pensare alle piante» commenta Dieter Volkmann, del gruppo di Bonn. Questi studi, oltre a rivoluzionare le conoscenze sulle piante, hanno ricadute anche sull'uomo. I neuroni verdi possono fungere da modello per sperimentare terapie contro malattie degenerative del sistema nervoso, come il morbo di Parkinson e di Alzheimer.

«Gli animali vengono utilizzati, e con successo, in questo tipo di studi. Usare le piante non è però un regresso nella scala evolutiva» dice Mancuso. «Una cellula neuronale vegetale è sì un modello semplificato di neurone, ma proprio per questo consente di individuarne più facilmente i meccanismi.
Non ci sono problemi di vivisezione e le cellule delle piante sono facilmente trasformabili geneticamente, caratteristiche che potrebbero farne un materiale da laboratorio valido dalla ricerca di base alle applicazioni terapeutiche.

Il Medical research council di Cambridge, il laboratorio di biologia molecolare fucina di premi Nobel, collabora con noi in questo campo». Non è finita: i neuroni delle piante potrebbero presto diventare un modello anche per gli studi sull'intelligenza artificiale.



venerdì 4 ottobre 2013

UNA QUESTIONE DI SENSIBILITA'.Osho e l'alimentazione.



Una questione di sensibilità



Rispondendo alla domanda: “I tuoi discepoli sono tutti vegetariani?”, Osho parla della relazione tra meditazione e azione, sottolineando ancora una volta che le abitudini, anche alimentari, si modificano solo attraverso una crescita in consapevolezza.



Non credo nel vegetarianismo, perché non credo in niente. I miei discepoli sono vegetariani non perché seguaci di una setta, non perché fedeli a una dottrina. Sono vegetariani, perché le loro meditazioni li rendono più umani, più vicini al cuore, e così vedono la totale stupidità di coloro che uccidono esseri viventi per cibarsene. È la loro sensibilità, la loro consapevolezza estetica, che li rende vegetariani. Io non insegno il vegetarianismo: è una conseguenza della meditazione. Ovunque sia accaduta la meditazione, le persone sono diventate vegetariane; sempre, da migliaia di anni.

Non puoi uccidere gli animali per mangiarli, non puoi distruggere la vita. Quando hai a disposizione cibi deliziosi di ogni tipo, che bisogno hai di uccidere degli esseri viventi? Non c’entra niente con la religione. Si tratta semplicemente di sensibilità, di comprensione estetica.

Giainismo e Buddhismo sono le uniche religioni senza dio e senza preghiera, ed entrambe sono automaticamente diventate vegetariane. Il Cristianesimo non è vegetariano, l’Islamismo non è vegetariano, l’Ebraismo non è vegetariano – per la semplice ragione che queste religioni non hanno mai attraversato la rivoluzione generata dalla meditazione. Non sono mai diventate consapevoli della meditazione. Hanno continuato a pregare un dio fittizio – il quale non genera alcuna trasformazione nella vita, perché non esiste. Le tue preghiere sono rivolte solo al cielo vuoto. Non arrivano mai da nessuna parte, non vengono mai ascoltate da nessuno, non saranno mai esaudite. Non c’è nessuno che risponda. Tutte le religioni che sono rimaste attaccate all’idea di dio sono rimaste carnivore. È un fenomeno semplice da capire.

Perché i miei sannyasin sono vegetariani? Non è la mia filosofia, è semplicemente una conseguenza. Non insisto su quello. Io insisto sulla meditazione. Sii più vigile, più silenzioso, più gioioso, più estatico, e troverai il tuo centro più profondo. Molte cose seguiranno per conto proprio… e quando accadono in questo modo, non c’è repressione, non c’è lotta, non c’è privazione, non c’è tortura.

Ma se vivi il vegetarianismo come una religione o una filosofia, desidererai continuamente la carne; avrai sempre in mente la carne, la sognerai, e il tuo vegetarianismo sarà solo un abbellimento per il tuo ego.

Con me, la meditazione è l’unica religione essenziale. Non ho niente a che fare col vegetarianismo, ma so che se mediti arriverai a una nuova sensibilità – un nuovo modo di vedere le cose – e non potrai uccidere animali.

Hai mai notato come le società vegetariane abbiano i cibi più deliziosi? I buddhisti, i giainisti… hanno la migliore cucina del mondo, per la semplice ragione che attraverso la meditazione hanno dovuto abbandonare il consumo di carne. E hanno cominciato a sperimentare con questi cibi appetitosi, così da non sentire la mancanza dei piatti a base di carne. Ci sono milioni di persone che non hanno mai pensato al vegetarianismo. Fin da piccoli hanno ucciso animali viventi. Non si tratta di qualcosa di diverso dal cannibalismo. È un fatto assolutamente scientifico, dopo le scoperte di Darwin, che l’uomo discende – si è evoluto – dagli animali: quindi stai uccidendo i tuoi antenati e mangiandoteli allegramente. Non fare una cosa così orribile![…]

L’intero regno animale fa parte di noi, e anche gli alberi. Solo ora gli scienziati hanno concluso per certo che gli alberi sono parte degli esseri viventi. E non solo questo, ma che possiedono anche una grande sensibilità, molto più grande della tua. Hanno messo dei macchinari attorno agli alberi, inserito dei fili negli alberi – macchinari come un cardiografo, che mostra il battito del cuore, fa vedere il battito del cuore di un albero. E se qualcuno si avvicina per tagliare un albero, il tracciato del cardiogramma immediatamente impazzisce: l’albero ha davvero paura e trema. Non solo quell’albero, anche gli altri alberi intorno impazziscono, nonostante non stiano per essere tagliati. Ma qualcuno, un amico, sta per essere tagliato e lo sentono.

La cosa più strana che è stata scoperta dagli scienziati è che se la persona che si avvicina con un’ascia sta solo facendo finta – non ha veramente intenzione di tagliare l’albero – il grafico rimane stabile. Questo è qualcosa di incredibile, che gli alberi sappiano se un individuo intende tagliarli o sta solo facendo finta. Sono molto più sensibili di te. Tu non riusciresti a capirlo: se qualcuno ti si avvicina con una spada, non ti rendi conto se sta per colpirti o sta solo facendo finta, recitando. Non puoi capirlo attraverso la tua sensibilità. La ragione è che l’uomo ha vissuto per milioni di anni in modo così insensibile, che ha perduto una delle più grandi qualità del suo essere. La meditazione piano piano ti ridà la sensibilità; e un uomo che è arrivato all’estasi suprema della meditazione, è sensibile come ogni albero, animale, qualsiasi cosa in tutta l’esistenza.

È questa sensibilità a rendere vegetariana la mia gente. E si tratta di un guadagno, non di una perdita. Ti renderà anche più amorevole, più compassionevole, più sensibile, più in grado di apprezzare la bellezza.

Ti renderà consapevole di una grande musica: la musica che si sente quando il vento soffia tra i pini, o il suono dell’acqua che scorre… la musica che c’è in questo momento, in questo silenzio.

Il silenzio è la musica più grande. È senza suono, ma può essere percepito.

Non senti che silenzio c’è qui? Non senti che le persone qui sono un tutt’uno, vibrano allo stesso ritmo, i loro cuori battono allo stesso tempo? Il vegetarianismo è una piccola cosa. Noi dobbiamo creare un mondo di persone veramente sensibili, che possano apprezzare la musica, la poesia, la pittura, che possano comprendere la natura, che possano capire la bellezza umana, il mondo che le circonda: le stelle, la luna, il sole.

L’umanità ha perduto il suo cuore, e noi dobbiamo ridarlo… a chiunque lo rivoglia.

tratto da : Osho, From Death to Deathlessness #32