Finora nulla aveva potuto scalfire la figura di Zelensky nella narrazione codarda e e infame orchestrata da Washington, in cui questo guitto cresciuto all’ombra degli oligarchi appare come un eroe, quando invece manda a morire inutilmente gli ucraini solo per ubbidire agli ordini degli Usa. Non erano bastate le stragi perpetrate, per esempio a Bucha allo scopo di incolparne i russi, né la tortura e l’uccisione dei prigionieri, né le rappresaglie contro i civili del Donbass, né la protervia di mandare al sacrificio le proprie truppe in vista di una vittoria palesemente impossibile: nulla di tutto ciò ha mai scalfito la coscienza impermeabile dei narratori, la cui fortuna è forse quella di essere così stupidi da non rendersi conto fino in fondo delle enormità che scrivono e dicono. Ma quando il piccolo duce di Kiev ha inviato due missili sulla Polonia per cercare di spingere la Nato alla guerra totale, qualcuno ha cominciato a capire che Zelensky è pericoloso proprio perché recita un copione dettato da altri, mentre le libertà che si prende, sono estremamente pericolose per tutti, compresi quelli che stilano tutti i giorni cronache bugiarde. La paura fa 90, ovvero arriva done la ragione non riesce a penetrare e risce miracolosamente a trovare qualche residuo di verità.
Qualcuno forse si sta svegliando e sta comprendendo che il problema non è come appoggiare Zelensky nonostante Zelensky , ma come toglierlo di mezzo perché è fin troppo chiaro che proprio lui costituisce il principale ostacolo verso una trattativa che non vuole e non può intraprendere. non soltanto perché il suo padrone cerca ad ogni costo la guerra , ma anche perché non ne sarebbe in grado: recita solo la parte simbolica dell’eroe, ma probabilmente non ha alcuna idea di come creare le basi per un accordo. Tuttavia proprio questa sua natura ne rede difficile il “licenziamento” dal tragico cast della guerra in Ucraina, proprio perché è stato trasformato in un simbolo tra il militaresco e il glamour e la sua caduta sarebbe quella stessa della narrativa vittoriosa o, come dicono i gli imbecilli, resiliente. Certo tutto questo è grottesco, perché chiunque che non abbia nelle orecchie l’ottuso e ipnotico chiacchiericcio del mainstream, vede bene che l’ucraina è ormai un Paese fantasma. Adesso non ha più energia elettrica e dunque nemmeno rifornimento idrico e in moltissimi casi riscaldamento, il che tuttavia cambia radicalmente la situazione: finora il regime di Kiev è vissuto proprio grazie all’ impostazione putiniana della guerra che prevedeva di non far pagare troppo il peso del conflitto ai civili, risparmiando bombardamenti sulle città, a parte tiri di precisione su strutture militari, evitando la distruzione di infrastrutture vitali come, per esempio strade e ferrovie che pure avrebbe potuto essere attuata fin dal primo giorno delle operazioni: così nelle città della parte occidentale del Paese, compresa la capitale, la vita è andata avanti più o meno come sempre, non determinando una rivolta contro il governo a trazione nazista, anche viste le atroci conseguenze che essere scoperti comporta.
Ora però anche gli abitanti delle città cominciano ad avere vita grama e da qui in poi sarà sempre peggio a meno di non credere che l’Ucraina possa davvero riprendersi e cacciare i russi: per quante armi possano arrivare non saranno reparti sparsi, sostanzialmente privi di mezzi consistenti a cambiare le carte in tavola e nemmeno i mercenari occidentali: dunque è possibile che accada l’impossibile, ovvero che Zelensky e la sua cricca a stelle, strisce e croci uncinate venga cacciato dagli ucraini stessi. Ovviamente gli Usa, qualora avvertissero campanelli d’allarme sarebbero i primi a guidare un eventuale putsch con i loro fedelissimi, anzi una simile ipotesi li attira perché le condizioni mentali di Zelensky che per la maggior parte del tempo è sotto l’effetto di droghe, potrebbero anche portare a un conflitto nucleare con la Russia che gli Usa non possono sostenere: molto della loro potenza è, come dire, figurativa, come dimostra per esempio il tracotante invio in Qatar dei bombardieri strategici B 52 che magari possono impressionare, ma che sono un’arma di quattro generazioni fa, un arma fossile, rivelatasi estremamente vulnerabile già nella guerra del Vietnam e che oggi sarebbe oggetto di tiro al piccione se utilizzata contro un nemico dotato di armamenti evoluti. Tuttavia con le sue dimensioni ha un effetto psicologico che gli Usa sfruttano a più non posso Ad ogni modo se fossero gli ucraini, sia pure invischiati con gli Usa a cacciare Zelensky la cosa sarebbe meno scioccante, ma il nuovo esecutivo si troverebbe comunque nella necessità di trattare con Mosca e dunque di mettere in luce la sconfitta occidentale. Davvero si è in una strada senza uscita o meglio ancora che ha molte e ovvie uscite: senza Washington e la Nato la pace sarebbe fatta in pochi giorni.
«Quando sei solo, ricordati che la mente è solo un meccanismo di servizio.
Osservala: è molto antica, mentre il tuo silenzio è molto nuovo. Il tuo silenzio è quasi come una rosa e la tua mente chiacchierona è come una roccia, molto antica, molto vecchia.
Può schiacciare il fiore della rosa in qualsiasi momento, a meno che tu non sia consapevole, a meno che tu non impari una lezione: la mente può continuare a chiacchierare, a chiacchierare, ma tu non devi diventare parte di essa
Certamente non sei la mente, così come non sei il corpo. Sei all'interno del corpo, all'interno della mente, ma il tuo centro è separato dal ciclone. Ha una qualità completamente diversa. Il silenzio, l'immobilità gli sono naturali; è la sua fioritura.
Ci siamo confusi. Essendo troppo legati alla mente, lavorando ventiquattro ore su ventiquattro con il meccanismo, ci si è dimenticati la distinzione.
È successo proprio questo, che si è dimenticato qualcosa di molto essenziale.
È necessaria una strategia semplice; io la chiamo meditazione. Tu puoi chiamarla in qualsiasi modo: consapevolezza, attenzione, ricordo, vigilanza; i nomi non hanno importanza.
L'importante è riuscire a non farsi prendere dal chiacchiericcio della mente. Sii semplicemente un osservatore. Non partecipare. Stai in disparte e osserva.
Non valutare, resta solo un osservatore indifferente.
Stai attento. Ma non esprimere alcun giudizio, né per fermarlo, né per aiutarlo, né per prevenirlo. In nessun altro senso devi muoverti dalla tua indifferenza.
Sarai sorpreso: un miracolo ti sta aspettando.
Nel momento in cui sei completamente indifferente, in piedi sul ciglio, il traffico sulla strada rallenta. Arrivano meno pensieri, si creano spazi più ampi tra un pensiero e l'altro. E questi spazi più ampi ti daranno una pace così bella, un tale silenzio.
Osservando, alla fine si arriva a un punto in cui un pensiero se ne va e non ne arriva un altro per ore. Si sta semplicemente osservando e la strada è vuota.»
“Se qualcuno dall’esterno dovesse interferire in Ucraina, dovrebbe saperlo: se ci minacceranno… risponderemo immediatamente. Abbiamo tutti gli strumenti necessari per farlo e tutte le decisioni in merito sono già state prese.”
Il presidente russo Vladimir Putin
Non c’è dubbio che la ritirata da Kherson sia stata uno smacco per l’esercito russo. È altrettanto indubbio che il generale che ha ordinato l’evacuazione abbia preso la decisione giusta. È vero, l’apparenza è terribile, ma con le apparenze non si vincono le guerre. Strategia, valore e potenza di fuoco vincono le guerre. Il generale russo Sergey Surovikin sembra averlo compreso ed è per questo che ha preso l’impopolare decisione di ritirarsi.
Surovikin avrebbe potuto fare una scelta politicamente più accettabile e difendere Kherson a tutti i costi, ma i rischi sarebbero stati di gran lunga superiori ai benefici. A detta di tutti, i 25.000 soldati russi presenti in città avrebbero potuto essere facilmente accerchiati e annientati dall’artiglieria ucraina. Inoltre, Surovikin sarebbe stato costretto ad impegnare altre truppe in una missione di salvataggio che non avrebbe minimamente giovato alla strategia militare complessiva della Russia. L’obiettivo immediato della Russia è quello di completare la liberazione del Donbass, un compito che non è ancora terminato e che richiede un numero maggiore di truppe, anche quelle che erano state bloccate a Kherson.
A tutti gli effetti, ritirarsi da Kherson era una scelta obbligata. Se si fosse verificato lo scenario da incubo – come molti si aspettavano – e migliaia di soldati russi fossero finiti circondati e massacrati per difendere una città di scarso valore strategico, in Russia il sostegno popolare alla guerra sarebbe svanito da un giorno all’altro. Né Putin né Surovikin potevano permettersi di correre questo rischio. Così, invece, hanno scelto di fare le valigie e di evacuare finché erano in tempo, scatenando ovviamente la furia dei loro critici. La buona notizia, tuttavia, è che il disastro mediatico della ritirata di Kherson non avrà alcun impatto significativo sull’esito della guerra. La Russia è ancora sulla buona strada per raggiungere tutti i suoi obiettivi strategici, nonostante le insidie incontrate lungo il cammino. Ecco un breve riassunto del ritiro russo tratto da un’intervista con il colonnello Douglas MacGregor:
“Quando il generale Surovikin ha assunto il comando… è stato deciso che la Russia avrebbe atteso un’operazione decisiva per porre fine alla guerra. In altre parole, basta con la difesa dell’Ucraina meridionale e del territorio annesso, basta con le aspettative di negoziati con chiunque – quei tempi sono finiti – dobbiamo porre fine alla guerra.
Come si pone fine alla guerra? Beh, si lanciano operazioni talmente devastanti nella loro distruttività che il nemico non può resistere. Tuttavia, se si vuole fare una cosa del genere, bisogna ridimensionare le attività in corso (come a Kherson). In altre parole, bisogna fare dei cambiamenti sul terreno, spostare le truppe, cambiare l’impegno delle risorse, perché ora si stanno facendo preparativi per forze che non sono ancora nel sud dell’Ucraina… ma che arriveranno dalla mobilitazione di 300.000 uomini integrati in questa nuova forza per le operazioni future… che arriveranno quest’inverno, una volta che il terreno sarà gelato…. Quindi, considererei (il ritiro) una decisione operativa con benefici a breve termine a sostegno di una strategia a lungo termine volta a costruire questa enorme potenza d’urto… I Russi non ripongono più alcuna fiducia nei negoziati. Non credo che, a questo punto, potremmo dire ai Russi qualcosa che li convinca a fermarsi.” (“EVERYTHING changes in 4 weeks: Interview with Colonel Douglas MacGregor”, Youtube; da 50 secondi in poi)
Quindi, secondo MacGregor, il riposizionamento delle truppe è fondamentale per la strategia generale, che è cambiata sotto Surovikin. Con il nuovo comandante, l’obiettivo principale delle operazioni militari è l’annientamento di tutte le forze e i mezzi che permettono al nemico di continuare a combattere. Ho il sospetto che questo significhi la rimozione del regime di Zelensky e dei suoi servizi di sicurezza, ma potrei sbagliarmi. In ogni caso, l’imminente offensiva russa sarà molto più in linea con una guerra terrestre convenzionale ad armi combinate che con le operazioni militari speciali che abbiamo visto fino a questo momento. Mosca è determinata a risolvere la questione il più rapidamente possibile e con la forza necessaria. Non ci sarà più da scherzare.
Detto questo, recenti rapporti (vedi sotto) suggeriscono che l’amministrazione Biden potrebbe dispiegare nel teatro ucraino truppe da combattimento statunitensi in risposta ad una escalation russa che minacciasse di alterare il corso della guerra. Se queste notizie si riveleranno esatte, la tanto attesa offensiva invernale potrebbe innescare una conflagrazione diretta tra Stati Uniti e Russia. Visto come si sono messe le cose fino a questo punto, pensiamo che sia solo una questione di tempo prima che Washington emerga da dietro i suoi mercenari e ingaggi le truppe russe sul campo di battaglia. Molti segnali indicano che il Pentagono si sta già preparando a questa eventualità.
Le comunicazioni segrete tra il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e l’ex ambasciatore russo a Washington, Yuri Yushakov, e l’ex capo dell’FSB, Nikolai Patrushev, suggeriscono che Sullivan abbia avvertito le sue controparti russe che gli Stati Uniti non avrebbero permesso alla Russia di risolvere il conflitto alle sue condizioni, ma che avrebbero preso qualsiasi misura necessaria per impedire una vittoria russa decisiva. Guardate questo estratto di un’altra intervista con il colonnello Douglas MacGregor:
MacGregor – “Jake Sullivan ha parlato dei pericoli di un’escalation… Ha semplicemente detto che ‘vediamo le prove che voi, Russia, vi state preparando ad un’escalation del conflitto’. Il che è vero; abbiamo parlato di questa (imminente) offensiva invernale russa. ‘E noi vi mettiamo in guardia da questo’ (ha detto Sullivan). La tacita implicazione, a questo punto, è che siamo pronti ad entrare in qualche modo in questo conflitto perché non vi permetteremo di dividere l’Ucraina. Non vi permetteremo di combattere e vincere questa guerra alle vostre condizioni……
Napolitano – Lei sa se Sullivan ha menzionato la presenza di 40.000 truppe statunitensi (la 101esima aviotrasportata) in Polonia?
MacGregor – Non lo sappiamo, ma pensiamo – sulla base del linguaggio che è trapelato nel paragrafo che ho ricevuto da un’altra fonte – che lui (Sullivan) abbia fatto intendere che (gli USA) hanno 90.000 truppe in Polonia e in Romania e che, potenzialmente, se la Russia dovesse provocare un’escalation – presumibilmente nella misura in cui pensiamo che i Russi potrebbero escalare – noi (gli Stati Uniti) potremmo essere pronti ad intervenire. E interverremmo con 40.000 soldati statunitensi, 30.000 polacchi e 20.000 rumeni….. Sullivan ha chiarito che siamo in grado di intervenire.”
… “Quello che non sappiamo è cosa hanno risposto i Russi, perché se siete russi, la linea rossa è chiara: ‘Se vi muovete in Ucraina, sarete in guerra con la Russia.’ Sembra che noi ci rifiutiamo di capirlo.”
Napolitano – “Mi faccia capire bene: Lei è convinto che Jake Sullivan… abbia minacciato i Russi che, se avessero oltrepassato questa linea rossa, avrebbero incontrato la resistenza militare degli Stati Uniti in Ucraina?”
MacGregor – Credo che questa allusione sia stata fatta. Questa è l’impressione che ho e non credo che dovremmo esserne sorpresi, perché la posizione dell’Ucraina si sta deteriorando molto rapidamente… E siamo molto preoccupati per un collasso dell’Ucraina. Alcune stime indicano che l’intera economia e la struttura sociale potrebbero crollare entro 60 giorni. Alcuni dicono che, proprio ora, in Ucraina si sta procedendo alla mobilitazione generale, che potrebbe includere le donne, perché la base di reclutamento è esaurita. E, ricordate, sempre più gente continua a lasciare l’Ucraina, perché nessuno vuole rimanere bloccato in un Paese che a breve non avrà energia, né elettricità e dove ci saranno problemi a reperire acqua e cibo. La situazione in Ucraina è terribile.”
Napolitano – Cosa ci fanno 40.000 truppe statunitensi della 101esima aviotrasportata in Polonia?
MacGregor– Si stanno preparando per le operazioni di combattimento….
Napolitano – Il Dipartimento della Difesa ha fornito al Presidente degli Stati Uniti i piani per l’ingresso delle truppe americane in Ucraina? È stato fatto?
MacGregor – Penso che questi piani siano stati certamente discussi, anche se non comunicati a Jake Sullivan. Certamente il Segretario di Stato (Anthony Blinken) ne è a conoscenza. Non so cosa abbiano detto al Presidente. Spero che (il presidente) abbia ricevuto qualche informazione. Ancora una volta, tutto questo è molto grave perché siamo nel bel mezzo di un’elezione e questo potrebbe accadere senza alcuna consultazione con il Congresso.
Napolitano – Qual è la situazione dei 300.000 riservisti che Putin ha richiamato un mese fa?
MacGregor – La maggior parte di loro è già stata integrata in formazioni e unità – molti di loro sono andati in unità che erano a ranghi ridotti e che ora sono tornate a “piena forza.” Alcuni sono entrati in nuove unità. [Nota: credo che MacGregor possa sbagliarsi su questo punto. Secondo altri analisti, finora sono stati inviati in Ucraina solo 80.000 riservisti. Potrebbero volerci alcuni mesi prima che l’intero dispiegamento venga portato a termine]. È quasi completo, ma il punto è che, attualmente, la temperatura minima in Ucraina è di circa 2 gradi sopra zero, il che significa che sarete ancora bloccati nel fango, sia che stiate attaccando o difendendovi. Finché il terreno non ghiaccerà, non credo che accadrà nulla… Ma quando arriverà l’inverno e il terreno ghiaccerà, sarà allora che i Russi attaccheranno. E ne vediamo le premesse da almeno tre direzioni diverse, tra cui l’est, il sud-est e il nord. E, a giudicare dal concentramento (militare), dai sistemi di armamento in atto e dalle forniture disponibili, si tratterà di un’offensiva destinata a porre fine alla guerra. Non sappiamo se ci riuscirà o meno. Ma credo che l’idea sia questa.
MacGregor – C’è un’ultima cosa che vorrei dirvi: quando il generale Surovikin, il comandante del teatro occidentale, aveva accettato la nomina, aveva fatto questa breve dichiarazione. Aveva detto: ‘Una soluzione siriana per l’Ucraina è inaccettabile.’ In altre parole, non permetteremo che l’Ucraina cada sotto l’influenza di attori che manterrebbero l’Ucraina in uno stato di agitazione e di guerra permanente. Questo è un segnale molto chiaro: quando lanceranno (l’offensiva invernale) lo faranno per porre fine al conflitto. Quindi, sarebbe molto poco saggio da parte nostra ostacolarli….. Semplicemente, non abbiamo il livello di sostegno necessario per garantire il successo.” (“This is a Red Line in Ukraine”, Colonel Douglas MacGregor, Judging Freedom)
La Russia ora è pronta a fare tutto ciò che è necessario per vincere la guerra in tempi brevi e sgominare un esercito ostile che rappresenta una minaccia per la sua sicurezza nazionale. Se le forze statunitensi si uniranno ai combattimenti, i tempi per la vittoria potrebbero cambiare drasticamente, ma gli obiettivi strategici rimarrebbero gli stessi. Non ci si può aspettare che una nazione viva in pace quando le viene puntata una pistola alla testa. È per questo che Putin si è opposto all’adesione dell’Ucraina alla NATO ed è per questo che si sta combattendo la guerra attuale.
Senza tanto apparire – anche perché i media occidentali hanno tutto l’interesse di nasconderlo – ma qualcosa sta realmente cambiando nella guerra in Ucraina. Si stanno delineando due linee di frattura, potenzialmente capaci di incrinare, forse definitivamente, la resistenza di Kyev, e quindi aprire una prospettiva – quantomeno – di cessazione delle ostilità. Perché ciò possa eventualmente determinarsi, sarà però necessario attendere almeno sino all’estate del prossimo anno.
Un cambio di passo
A partire dall’autunno, il conflitto ucraino ha registrato una serie di eventi significativi, ma di cui forse non s’è sinora colto il senso complessivo, distratti più che altro dal loro valore immediato, diciamo pure dal loro impatto mediatico. Eppure è proprio mettendoli in prospettiva che si riesce a coglierne il valore strategico, e quindi il loro impatto bellico. I principali tra questi eventi sono stati, indubbiamente, la mobilitazione parziale in Russia, gli attacchi al ponte di Kerch ed alla base navale di Sebastopoli, l’intensa campagna missilistica sull’Ucraina. La mobilitazione russa, che subito i media legati alla NATO hanno presentato come un fattore di debolezza, addirittura parlando di chissà quali fughe di massa dei reclutandi (1), è in effetti uno degli elementi che peseranno profondamente sull’andamento del conflitto, ma che ancora non ha dispiegato il suo potenziale. Com’è nella sua tradizione militare, e come ha dimostrato costantemente in questi mesi di guerra, la Russia non si muove mai di fretta. Per quanto il momento in cui è stata assunta la decisione fosse di difficoltà sul terreno (con il forte arretramento e la perdita di Lyman, nell’oblast di Kharkiv, ed il permanere della notevole pressione ucraina sul fronte di Kherson), la scelta è stata quella di completare per bene l’addestramento dei mobilitati – che, ricordiamolo, sono comunque tutti ex militari – tant’è che ad oggi, su 300.000 uomini richiamati alle armi, solo 87.000 sono stati schierati lungo il fronte, di cui meno della metà in prima linea. Ciò significa che, come del resto avevamo ampiamente previsto, il pieno dispiegamento operativo di questa forza non si registrerà prima della fine del mese / inizi di dicembre. Di conseguenza, tenendo anche conto che ormai l’inverno lì è già pienamente arrivato, con nevicate anche in pianura, non c’è da attendersi a breve termine grandi rovesciamenti del fronte, e soprattutto grandi e veloci manovre di sfondamento. Di fatto, però, con il sostanziale ribaltamento dei rapporti numerici, la lenta progressione russa sull’intero fronte è da ascrivere alle lecite aspettative.
Le due spettacolari azioni contro la Crimea, per quanto appunto siano state mediaticamente – e se vogliamo anche simbolicamente – tali, non hanno però conseguito risultati militari. Il ponte è rimasto in piedi, nel giro di poche ore aveva già ripreso a funzionare, sia pure a traffico limitato, e già dopo un paio di giorni era stato ripristinato il traffico ferroviario. Del resto, per quanto sicuramente la Crimea abbia funzionato, e tuttora funzioni, come retrovia profonda della prima linea meridionale, l’eventuale interruzione del ponte non avrebbe determinato alcun significativo stop al flusso logistico, che avrebbe potuto comodamente continuare a giungere attraverso il Donetsk. A sua volta, l’attacco con droni alla base di Sebastopoli – portato a termine sfruttando anche il canale navale sicuro per il trasporto del grano – non ha a sua volta prodotto danni significativi, semmai dimostrando che le difese russe nel settore sono state messe a punto decisamente meglio, rispetto ai giorni dell’affondamento del Moskva. In entrambe i casi, peraltro, è risultato chiaro il coinvolgimento diretto dei servizi e delle forze speciali britanniche, che del resto sembrerebbero coinvolte direttamente anche nel sabotaggio degli oleodotti North Stream 1 e 2. Le operazioni ucro-britanniche contro la Crimea, però, non sono un buon segnale, né per Kyev né per la NATO; ciò non solo per lo scarso o nullo risultato bellico, ma soprattutto perché sono indice di una difficoltà ad ottenere risultati sul campo di battaglia. Pur nella modestia degli esiti, infatti, avrebbero potuto assumere un diverso peso se fossero avvenute in concomitanza con una incisiva capacità operativa delle truppe sul terreno, mentre così attestano più che altro la necessità di bilanciare altrimenti le difficoltà lungo la linea di contatto, e soprattutto la dipendenza pressoché totale dal supporto NATO pur di giungere ad una qualche risultato, sia pure solo propagandistico.
La campagna d’attacco contro l’intero territorio ucraino, condotta con un massiccio impiego di missili balistici e da crociera, da terra dall’aria e dal mare, nonché da un considerevole numero di loitering munitions (munizioni circuitanti, i cosiddetti droni kamikaze), che in un primo momento era sembrata essere una risposta all’attacco contro il ponte, va invece avanti da un mese ed ha una doppia valenza: da un lato, strettamente militare, mettendo in difficoltà la logistica ucraina, e dall’altro psicologica, mettendo la popolazione delle principali città del paese di fronte alla realtà brutale della guerra, quella che gli abitanti del Donbass affrontano da otto anni. Questa campagna, per quanto ancora limitata, sta determinando grosse difficoltà per l’Ucraina, destinate a riflettersi anche sulle relazioni politiche con i paesi amici che la sostengono. Non è un caso che, mentre da un lato Kyev rivendica quotidianamente di aver abbattuto più vettori di quanti ne siano stati lanciati, richieda disperatamente a tutti l’invio di sistemi anti-missile. Va rilevato che questo quotidiano martellamento sta prendendo di mira sostanzialmente la rete di distribuzione elettrica del paese, soprattutto le sottostazioni. In tal modo, anche se l’impatto è notevole – e visibile… – la capacità produttiva di energia elettrica (del resto in parte sostenuta dalle centrali nucleari di Rivne e Khmelnytskyi) rimane essenzialmente integra. I maggiori effetti, infatti, si riverberano sull’illuminazione pubblica e privata, sull’alimentazione delle industrie, ed in parte sulla rete internet, oltre che sulla distribuzione idrica. Sul piano militare, l’impatto è soprattutto sulla capacità di trasporto ferroviario, soprattutto perché l’Ucraina scarseggia di motrici diesel. In ogni caso, non si può non sottolineare che, ancora una volta, la modalità offensiva russa eviti di colpire massicciamente obiettivi che avrebbero un ben più importante impatto sul piano bellico, ma che al tempo stesso danneggerebbero pesantemente le infrastrutture del paese. Non vi è sostanzialmente traccia, infatti, di attacchi a ponti stradali e ferroviari, a stazioni e nodi ferroviari, alle maggiori linee stradali di comunicazione.
Collasso?
Fondamentalmente, l’attacco all’infrastruttura elettrica dell’Ucraina si ripercuote su svariati piani, ben oltre quello strettamente militare. Innanzitutto, com’è ovvio, va a stressare la resistenza psicologica della popolazione, su cui già mordono le successive mobilitazioni (anche delle donne) militari, e ovviamente le enormi perdite registrate al fronte. E questo è un fattore decisivo per la leadership di Zelensky, perché nonostante il supporto statunitense, lo scarto enorme tra la sua propaganda vittoriosa e la realtà effettiva della guerra si fa più evidente, e non può che incrinarne il consenso. Incide inoltre sulla capacità economica del paese, perché rallenta o ferma le attività produttive, rende impossibile continuare con l’esportazione verso l’Europa di energia elettrica, e sostanzialmente mette a dura prova una struttura statale – già profondamente segnata dalla corruzione ben prima del conflitto – che al crescere delle difficoltà, nonché all’allontanarsi delle illusorie prospettive di vittoria, scivolerà sempre più verso il si salvi chi può. Le sempre più numerose e precise segnalazioni sul traffico d’armi (da ultimo, la scoperta di un elicottero da combattimento pronto per essere imbarcato ad Odessa), stanno ad indicare che anche adesso, e persino nelle forze armate, la ricerca del profitto personale, pur in una condizione di grave carenza di mezzi, prevale sul patriottismo.
Se, com’è prevedibile, la campagna missilistica continuerà anche durante i prossimi mesi, l’inverno approfondirà tutte le contraddizioni presenti all’interno della società e dello stato ucraino, potendo potenzialmente portare a spaccature ben più profonde e visibili. Ad oggi, le fonti ufficiali ucraine stimano che gli attacchi russi abbiano messo fuori uso il 40% del sistema elettrico nazionale. A questi ritmi, un altro mese significa arrivare al 70/80%, in pratica lo stop totale. Quanto potrebbe resistere il paese, in pieno inverno, in queste condizioni? Quali e quante potrebbero essere le spinte che si manifesterebbero, all’interno degli apparati statali e militari, oltre che nella società civile? È evidente che, in mancanza di risposte concrete, o quanto meno di credibili speranze, gli oltranzisti si troverebbero in difficoltà; e se da un lato comincerebbero ad affacciarsi pressioni per andare verso una trattativa, dall’altro è ben possibile che gli irriducibili nazionalisti potrebbero provare a scalzare l’attuale dirigenza politica, assumendo direttamente il controllo del paese e spingendolo ancora più oltre – probabilmente, con l’appoggio degli ultras della NATO, britannici in testa.
Senza denari non si canta messa
In tutto ciò, c’è come un grande assente, qualcosa che c’è e non c’è come la fata Morgana… Che fine ha fatto l’offensiva ucraina su Kherson? La davano tutti per scontata per il mese di ottobre, comunque certamente prima delle elezioni di mid-term, ed effettivamente le premesse sembravano esserci tutte. I 10.000 militari ucraini addestrati in Gran Bretagna erano rientrati, c’era una grande concentrazione di mercenari in quel settore del fronte, le operazioni di reparti DRG (2) ucraini si susseguivano… persino – cosa ancor più significativa – i russi hanno evacuato gli abitanti della riva destra della città di Kherson e – pare – ora stiano evacuando anche quelli della riva sinistra. Insomma, tutto i segnali sul terreno indurrebbero ad aspettarsi che l’attacco fosse sferrato già da un po’. Invece nulla. In effetti, era trapelato un certo malumore da parte delle formazioni di mercenari, che dovrebbero costituire la prima linea, a quanto pare insoddisfatte della copertura prevista. Ma, secondo le ultime indiscrezioni, parrebbe che l’offensiva non ci sarà proprio più – e ciò nonostante Kherson sia il nodo più strategico di tutti, in questa fase della guerra, e tutto sommato anche il più esposto, trovandosi a pochi chilometri dalla linea del fronte.
La notizia va presa con le molle, perché ovviamente potrebbe essere parte di una strategia di disinformazione, messa in atto proprio per favorire l’attacco; così come, del resto, anche l’evacuazione di Kherson potrebbe rispondere ad una strategia simile ma speculare, per indurre gli ucraini ad attaccare, attirandoli invece in una trappola. Di questo, avremo contezza nel giro di un paio di settimane al massimo. Di certo, l’unico fattore su cui potevano contare gli ucraini era quello della superiorità numerica, oltretutto – per una volta – con una buona quantità di truppe ben addestrate. Temporeggiare ha dato modo ai russi di far confluire un primo robusto contingente di truppe fresche, mentre nel giro di qualche settimana arriverà il grosso dei mobilitati e dei volontari – equivalenti a circa 225/230.000 mila uomini. In pratica, un raddoppio netto – sull’intera linea di contatto. È vero che, nel frattempo, i russi hanno ripreso l’iniziativa, sia verso nord, dove stanno rosicchiando un po’ alla volta il terreno perso quest’estate, puntando a riprendersi Lyman, sia soprattutto sul fronte centrale, dove stanno per accerchiare Ugledar, combattono casa per casa a Bakhmut, e stanno per arrivare a Malinka, un’altra delle cittadelle fortificate che difendono quel settore. Gli ucraini hanno dovuto spostare lì delle riserve, per contenere l’avanzata russa, consapevoli che si tratta un po’ del loro ventre molle; se infatti i russi dovessero sfondare in quel settore del fronte, non avrebbero praticamente più ostacoli, e potrebbero dilagare verso ovest, tagliando fuori tutto il concentramento di truppe che premono su Kherson.
Secondo quanto si apprende, come detto prima, la ragione del mancato avvio dell’offensiva – anzi, del suo definitivo accantonamento – sarebbe molto semplice, e troverebbe riscontro con quanto si sapeva precedentemente, riguardo le reticenze dei mercenari. In effetti, gli ucraini non sarebbero in grado di concentrare lì una quantità sufficiente di artiglieria, e di sistemi anti-missile di copertura, necessari sia alla preparazione dell’attacco, sia al fuoco di controbatteria. Com’è noto, invece, la Russia mette in campo una notevole quantità di unità d’artiglieria, e soprattutto è in grado di reggere un volume di fuoco continuativo straordinario. Senza una sufficiente copertura, quindi, un eventuale attacco ucraino sarebbe destinato al massacro. Il punto è che, come già segnalato in passato, ormai l’armamento delle forze armate di Kyev dipende interamente dalle forniture occidentali, che sono ormai pressoché giunte ad esaurimento. In certi casi, ci sono reparti ucraini equipaggiati con cannoni trainati della seconda guerra mondiale… Inoltre ci sono grossi problemi con il munizionamento. I tedeschi, sia pure a malincuore, hanno fornito i carri antiaerei Gepard, ma il munizionamento è prodotto dalla Svizzera, che rifiuta la consegna all’Ucraina per via della propria neutralità. L’Italia sta inviando i suoi obici semoventi M109L, ma non ha sufficienti munizioni da inviare. La grande varietà di proiettili da 155mm, non tutti utilizzabili da qualsiasi obice di quel calibro, sta generando grande confusione nella logistica, che non è abbastanza preparata a gestire gli standard NATO, col risultato di ridurre fortemente la capacità di utilizzo…
Insomma, i nodi stanno venendo al pettine. La verità, qui più volte segnalata, che la NATO non è attualmente attrezzata per una guerra d’attrito con la Russia, sta venendo prepotentemente alla luce. E senza armi non si combatte. Anche gli Stati Uniti, i più generosi in assoluto, per ovvi motivi, hanno esaurito la propria disponibilità in molti settori chiave, ed ormai ogni annuncio di nuove forniture è in effetti una promessa, poiché si tratta di armamenti e mezzi che vengono ordinati all’industria bellica americana, e che verranno consegnati – quando va bene – nel corso del 2023. L’Italia è già arrivata al capolinea, e non è più in grado di inviare null’altro che armamento leggero. La Germania nicchia, e comunque il parlamento ha votato per non aumentare le forniture – in pratica, per non dare null’altro che mezzi non offensivi. E questo è il secondo, enorme problema che si pone all’Ucraina ed alla NATO. Il ritmo di consumo del conflitto è così intenso ed elevato, che la capacità occidentale di sostenerlo s’è già esaurita, mentre quella russa non accenna minimamente ad allentare. Inevitabilmente, quindi, per gli ucraini non resta che rinunciare a qualsiasi offensiva significativa, perché avrebbe comunque un costo insostenibile, e ripiegare su una strategia difensiva lungo tutta la linea, sperando che l’inverno li aiuti a contenere la pressione russa, destinata ad aumentare considerevolmente tra gennaio e febbraio, almeno fintanto che arrivino i primi ordinativi da parte dell’industria bellica americana.
I russi, per parte loro, sono chiaramente intenzionati a voltare pagina quanto prima. Naturalmente, ormai sono in ballo e non si tireranno indietro, ma la partita preferirebbero chiuderla prima della prossima estate. Per questo, nonostante tutto, continuano a mandare segnali di disponibilità. Difficilmente la NATO potrà evitare che, con l’arrivo della primavera, e la ripresa della piena mobilità sul campo, il raddoppio del potenziale russo sul fronte – che non è solo di uomini, ma anche di mezzi – non faccia sentire il suo peso schiacciante, così come sarà assai difficile, per l’Ucraina, reggere a mesi e mesi di tracollo strutturale, quale si sta delineando in conseguenza della distruzione progressiva della rete elettrica nazionale. È probabile che continuino a cercare di colpire la Crimea, in quanto terra di cerniera, che i russi considerano suolo patrio più del Donbass, ma che Kyev può rivendicare come territorio da riconquistare. Oltretutto, per la NATO è strategicamente importante indebolire la posizione russa nel mar Nero. Ma l’unica vera chance, per l’occidente, a parte l’intervento diretto, sarebbe l’apertura di un secondo fronte, opzione al momento abbastanza difficile. Mentre la Russia impugna la spada di Damocle della concentrazione in Bielorussia, e la pur sempre possibile offensiva su Odessa. In ogni caso, è nel corso del prossimo anno che vedremo probabilmente il passaggio decisivo. Resta solo da vedere in che direzione.
1 – In questi giorni, la Duma russa ha confermato che non c’è alcuna necessità di emanare provvedimenti specifici per sanzionare la renitenza alla chiamata alle armi, proprio in virtù del fatto che l’incidenza del fenomeno è stata insignificante. Del resto, e contemporaneamente alla mobilitazione, ben altri 15.000 uomini si sono presentati volontari. 2 – Con il termine gruppo di sabotaggio e ricognizione (in russo: Диверсионно-разведывательная группа, ДРГ?, traslitterato: Diversionno-razvedyvatel’naâ gruppa, DRG) si intende una formazione militare creata temporaneamente nella struttura delle forze speciali, utilizzata per il sabotaggio e la ricognizione dietro le linee nemiche in situazioni di guerra, con l’obiettivo di disorganizzare le retrovie, distruggere o disabilitare temporaneamente strutture industriali-militari, trasporti e comunicazioni, e raccogliere informazioni sul nemico.