30/04/2017
Viviamo di più oggi che un tempo, vero, ma grazie a maggior tecnologia, farmaci e igiene, non perché mangiamo meglio. La realtà è che siamo sempre più ammalati (e sempre prima nel tempo).
“La prevalenza estesa di problemi di salute legata alla dieta, soprattutto nelle nazioni industrializzate, suggerisce che molti esseri umani non stanno mangiando in modo compatibile alla loro biologia” (Milton 1999).
I nostri denti, il nostro intestino, il pH del nostro stomaco, la lunghezza del nostro intestino, la nostra incapacità di sintetizzare da soli la vitamina C o di gestire bene il colesterolo è rimasta invariata. La nostra saliva è ancora alcalina, proprio come quella degli oranghi (perché non servono grandi acidi se non si ingerisce un pezzo di animale morto!).
La saliva degli erbivori e dei carnivori invece è acida. Insomma, sotto sotto siamo sempre rimasti gli stessi esseri primitivi che eravamo… Come spiega il Dr. Michael Greger, dagli studi archeologici del paleolitico si evince che “mentre mangiare le verdure verdi è importante, sembrerebbe che lo status dietetico naturale della specie umana sia primariamente quella di un mangiatore frugivoro”.
FRUGIVORI NEL DNA…
Le femmine di grandi scimmie, così geneticamente e morfologicamente simili a noi, sono classificate come animali frugivori. Sono più di 2.000 le specie di vegetali di cui si nutrono gli oranghi nel Borneo, e per un 70-90% si tratta di frutti.
Negli aspetti nutrizionali e sociali, anche “l’alimentazione dei proto-ominidi sarebbe stata simile a quella essenzialmente vegetariana delle scimmie antropomorfe attuali”.
Anche i nostri denti lo confermano. O meglio, i denti degli ominidi africani studiati da Alan Walker: “Ogni dente esaminato, a partire dai fossili di ominidi di 12 milioni di anni fa, presenta le striature tipiche dei mangiatori di frutta, senza eccezione alcuna“.
Ormai vari dati provenienti da varie linee di evidenza (anatomica, fisiologica, paleontologica) “supportano la visione che la linea ancestrale che ha dato vita all’Homo spp. fosse fortemente basata sul consumo di vegetali. La dieta giornaliera probabilmente era costituita largamente da frutti selvatici”. Le diete dell’Eden “dovevano essere ricche di fibre, di proteine vegetali, di fitonutrienti e povere di grassi saturi” (Jenkins 2003).
“Ma le scene di caccia dipinte nelle caverne?” si chiede la mia vicina di casa Betta… “Perché non hanno disegnato una mela invece?”.
“Beh, se dovessi disegnare tu su un muro per i posteri il pasto più memorabile della tua vita…”, le ha risposto il mio amico Renzo appassionato di antropologia, “ti ritrarresti mentre prepari una pastasciutta o mentre ti gusti un glorioso banchetto di nozze?”.
Touchè!
Ancora oggi il lavoro quotidiano delle donne è sottovalutato, ma era proprio questa paziente opera di raccolta di donne e bambini a sfamare la gente (proprio come ancora oggi nelle tribù più antiche). Gli uomini andavano a caccia una tantum ma poi non parlavano d’altro, come fa riflettere lo scrittore Jim Mason, nel suo stupendo libro “Un Mondo Sbagliato”.
CACCIATORI DI CAROGNE
“La teoria dell’uomo cacciatore riflette una serie di pregiudizi, anziché basarsi sulla documentazione fossile e sull’ecologia della ricerca del cibo”
Robert Blumenschine e John Cavallo
Che i nostri più antichi antenati non fossero affatto i grandi cacciatori che si pensava è un fatto ormai assodato in antropologia. La caccia organizzata si è consolidata solo 25.000 anni fa, un battito di ciglia galattico nella lunghissima storia dell’Homo.
I primi “cacciatori” non erano altro che degli occasionali “ladri di carogne”, rubavano qualche morso di animale già ucciso da altri, ma “chi non preferisce assomigliare al leone, più che all’avvoltoio?”, si chiedevano gli esperti Robert Blumenschine e John Cavallo. Cacciare è nobile, andar per carogne meno. Ed ecco che il mito dell’uomo carnivoro e cacciatore resiste nei secoli.
Questo cibarsi di avanzi tra l’altro “non avrebbe potuto procurare l’ECCEDENZA di carne necessaria per la spartizione del cibo”, fece notare il famoso archeologo L. Binford già negli anni ’80. Bisognava fare in fretta. Non c’era tempo di fermarsi a banchettare insieme e socializzare:
“Ognuno per sé e viva il Re!”.
Non è quindi grazie alla caccia se gli ominidi hanno imparato a collaborare, a socializzare tra loro, a parlare.
E non era la grandezza del cervello a contraddistinguerci dalle altre grandi scimmie quando ci siamo separati da loro, ma l’aver acquisito la capacità di assumere una postura eretta.
Il perché abbiamo cominciato ad andare in giro “su due zampe” dipende se vogliamo pensare il peggio o il meglio della nostra specie.
Se pensate il peggio, darete ragione alla famosa teoria di Charles Darwin: “Finché dovevano abitualmente usare le mani per camminare non avremmo mai potuto perfezionarle per fabbricare armi o per tirare sassi e lance con la mira giusta”.
In pratica, avremmo imparato a camminare per poterci armare e fare del male agli altri: Homo Cattivus!
Peccato, dicono gli esperti antropologi, che “non vi sia traccia alcuna di attrezzi del genere ai tempi dei primi bipedi”, e non si cacciava ancora assolutamente nulla, né vi era il fuoco per cucinare carne (Wayman 2012). L’Homo Abilis verrà molti milioni di anni dopo. A cosa ci servivano entrambe le mani libere quindi? Cosa potevamo mai afferrare a mani nude?
LA SOPRAVVIVENZA DEL PIÚ … DOLCE
La nostra mano è perfettamente adattata per raccogliere la frutta, non per uccidere un animale. Più mani libere ho, più frutta riesco a raccogliere e portare via al sicuro. Questa è esattamente la teoria degli scienziati fin dagli anni ’60: abbiamo imparato a camminare e correre per poter TRASPORTARE la frutta in posti sicuri quando il clima ha cominciato a farsi più freddo con le prime glaciazioni e la frutta ha cominciato a scarseggiare.
Ci sono prove di questa affascinante ipotesi?
Sì, fresche fresche e di tutto rispetto…
2012, Guinea.
Alcuni scimpanzé ritrovatisi in mezzo all’aperta savana, nel vedere davanti a loro delle papaye e altra frutta preziosa (messa a loro disposizione dai ricercatori nascosti) hanno cominciato a riempirsene mani e bocca e poi camminando eretti(Carvalho 2012). Le foto sono impressionanti (e le trovate cliccando a destra dell’articolo scientifico sopra citato, alla voce ‘Download images’).
Gli scimpanzé che andavano via “su due piedi” riuscivano a trasportare più del doppio di frutta, rispetto a quelli che invece andavano via a tre o quattro zampe.
E più il frutto era prezioso (cioè poco disponibile dove vivevano), più se ne portavano via camminando su due piedi.
In pratica, camminare eretti ha molto più a che fare con il nostro essere frugivori di quanto non si pensasse.
Quest’ evoluzione ci ha permesso di mangiare più frutta o poterla condividere con altri.
A sua volta, questa evoluzione ha molto a che fare con la grandezza del nostro cervello…
DIETA FRUGIVORA = CERVELLO GRANDE
Gli antropologi più esperti ormai negano che sia stata la carne a far ingrandire il cervello, perché i dati non lo supportano.
Il nostro cervello si è triplicato molto prima che l’Homo cominciasse a cacciare in gruppo o a utilizzare il fuoco per cuocere carne regolarmente.
Il cervello poi ha bisogno di glucosio per funzionare. Ne deve ricevere in abbondanza tutti i giorni. Niente scorte. Ha bisogno di zuccheri buoni, a gogò, e la prima fonte di zuccheri è sempre stata la frutta.
Il cervello si è ingrandito proprio nel periodo storico in cui la frutta, alla base della nostra dieta, cominciava a scarseggiare, o a essere più difficile da scovare per via dei cambiamenti climatici.
“Il bisogno aguzza l’ingegno”, dice il detto.
“La necessità è la madre di tutte le invenzioni”, dicono gli inglesi. Avete presente cosa consigliano i veterinari per stimolare la mente di cani e gatti nei canili ?
Di nascondere loro il cibo e costringerli a cercarlo tirandolo fuori da contenitori di gomma studiati apposta.
Può essere che sia stato il doversi scervellare per trovare la frutta a far ingrandire il cervello?
Sembra proprio andata così…
Fin dagli anni ’90, studiose come K. Milton hanno postulato che “la pressione favorevole degli alimenti vegetali di alta qualità, relativamente difficili da trovare, incoraggia lo sviluppo di complessità mentale (ripagata da una maggiore efficienza di foraggiamento)”.
La parte del nostro cervello più sviluppata è proprio la corteccia frontale, quella che ha a che fare con il dover risolvere i problemi. E il problema più pressante per gli esseri umani di allora? Trovare la frutta!
Mentre altre scimmie hanno imparato a consumare molte più verdure e cortecce, noi siamo rimasti frugivori nel midollo, e ci siamo dovuti “spremere le meningi” per trovarla…
Sempre la Milton, osservando le scimmie Atele e Aluatta, notò per prima una relazione significativa tra dieta e grandezza del cervello.
Tra le famiglie dei primati, “quelli che mangiano frutta hanno un cervello più grande in proporzione al loro corpo, rispetto a quelli che mangiano foglie”. Vale anche per i pipistrelli: “quelli che si nutrono di frutta hanno cervello considerevolmente più grande di quelli che mangiano insetti”. E vale anche tra i gli scoiattoli! (Harvey 1983).
Proprio recentemente, un prestigioso team di ricercatori ha confermato che “i frugivori mostrano cervelli più grandi dei mangiatori di foglie” (DeCasien, 2017). Mangiare frutta è stato il motore dell’evoluzione del cervello nei primati, gli animali a noi più simili. In base alla loro ricerca basata su più di 140 specie di primati hanno potuto concludere che la grandezza del cervello si può dedurre in primis proprio dalla dieta: “Chi mangia frutta, rispetto agli erbivori che si cibano di foglie, ha un cervello più grande in media del 25%”.
Una notizia che ha stupito tutto il mondo (tranne i fruttariani)…
http://darshanshaktipat.blogspot.it/2017/04/gli-uomini-sono-frugivori-eccone-la.html