giovedì 17 marzo 2016

Dhyana



17 MARZO 2016
 
Dhyana [in sanscrito] vuol dire stato di meditazione, il divino stato di meditazione. La parola “meditazione” non è un’adeguata traduzione di dhyana, perché in Occidente non è mai esistito qualcosa di simile a dhyana e per questo motivo nessuna lingua occidentale ha un termine appropriato per definire questo stato. 

Meditazione è la parola che gli si avvicina di più, ma manca comunque il bersaglio. Meditazione significa contemplazione e riflessione, mentre dhyana vuol dire non pensare affatto, essere semplicemente. La meditazione è un’attività e dhyana uno stato dell’essere. La meditazione indica ancora il pensare, magari in forma più concentrata. I cristiani dicono: “Meditate su dio”. 

Noi in Oriente non possiamo dire una cosa del genere, perché se mediti su qualcosa non è più meditazione. Sarà un pensare a dio, cos’altro puoi fare? Quando c’è un oggetto, tu pensi a quell’oggetto. In Oriente diciamo che dhyana è uno stato di non-pensiero – in cui sei pienamente consapevole, sveglio, non immerso nel sonno – ma privo di un oggetto, senza alcun oggetto nella tua consapevolezza. 

Dhyana è uno stato di consapevolezza non-pensante, una consapevolezza priva di contenuto. Sei e basta. Non c’è attività, né mentale né fisica. È assoluta passività, niente accade, niente viene fatto: sei, e questo è tutto. 

Da questa parola sanscrita, dhyana, derivarono le parole “chan” in Cina e “zen” in Giappone, entrambe derivano dalla stessa radice “dhyana”.

OSHO

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