martedì 12 marzo 2013

"Il mio regno per un cavallo" tuona Bersani. Ma ha sbagliato ippodromo.




di Sergio Di Cori Modigliani


Il perdurante silenzio della direzione del PD, incapace e muta di fronte all’attacco berlusconiano contro la magistratura, chiude –di fatto- ogni possibile illusione di una potenziale trattativa politica al fine di formare un governo per il bene del paese.
Le chiacchiere stanno a zero.
L’impossibilità naturale del PD, versione Bersani-D’Alema-Letta, di porsi come opposizione al malaffare legalizzato, denuncia la debolezza strutturale dei piddini smascherandone il vero tragico volto, quello che, poco a poco, l’intera cittadinanza pensante aveva già capito, da tempo, per conto proprio: l’esistenza di un sistema politico consociativo di mutuo soccorso tra il PD e il PDL.
E’ per questo motivo che i cosiddetti “8 punti” di Bersani non valgono nulla.
La debolezza intrinseca e subdola di tale proposta viene evidenziata dal silenzio chiassoso della direzione nazionale di un partito ormai allo sfascio. Come del resto il PDL, dove le opposizioni interne vengono richiamate all’ordine schiavista per salvare il caro leader, in tal modo evitando la benché minima discussione relativa al fatto di aver perso 6 milioni di voti alle elezioni.
Sono l’uno il rispecchiamento dell’altro.
Così come pochissimi, tra i giornalisti, (per non dire proprio nessuno) ha sottolineato ed evidenziato la tragica e dittatoriale decisione della segreteria della Lega Nord, dove il boss Roberto Maroni ha presentato le dimissioni prendendo atto della sconfitta elettorale (-56% dei voti) ma tutti i dirigenti (eletti da lui) hanno respinto la sua scelta. Con un’unica eccezione: Umberto Bossi, che ha definito la scelta di Maroni di rifiutare la realtà “una dimostrazione di inaffidabilità, di mancanza di lealtà, coraggio e rispetto per la parola data; in campagna elettorale aveva detto che se ne sarebbe andato anche se avesse perso un solo voto”. Nessun commento è stato fatto a proposito della manifestazione illegale del PDL, che aggiunge gravità a sconcerto, essendo Maroni il presidente della Regione Lombardia, dove Milano è sotto l’attacco frontale del crimine organizzato, e delle clientele politiche corrotte, per impedire che la magistratura vada avanti a svolgere il proprio lavoro.
Se davvero Bersani avesse voluto trovare un accordo con il M5s, la realtà di ieri gli aveva regalato  un’occasione d’oro da non perdere.
Sarebbe bastato, ieri notte, denunciare la posizione eversiva dei parlamentari del PDL, dichiarare pubblicamente che la costituzione della Repubblica Italiana impone a tutti gli eletti in parlamento il rispetto della suddivisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) e quindi impone l’assoluto divieto per chi appartiene a una di queste tre forme di aggredire pubblicamente gli appartenenti alle altre due. Essere deputati in parlamento vuol dire applicare la procedura legale istituzionale, seguendo l’iter previsto.
Era l’occasione storica per il PD, Bersani, Letta, D’Alema, di fare una dichiarazione sostenendo l’assoluta, improrogabile, necessaria e immediata scelta di volere fortemente l’applicazione della legge sul conflitto di interesse, dicendo pubblicamente e a chiare lettere che “Silvio Berlusconi è ineleggibile e la sua sola presenza in parlamento è di per sé una violazione dell’articolo 69 della costituzione” chiedendo un accordo su questo punto. Macchè: silenzio assoluto.
Perché non lo hanno fatto?
Perché sono poco intelligenti? Non sono sagaci? Non sanno leggere la realtà?
No.
Non lo hanno fatto perché non lo possono fare.
Altrimenti l’avrebbero già fatto quando erano al governo.
E se non lo hanno fatto non è perché erano pigri o incompetenti, o inadempienti. Erano collusi.
Tutto qui.
La scelta di non varare quella legge ha comportato la condivisione d’esercizio nelle presidenze delle fondazioni bancarie, nella commistione consociativa nei consigli di amministrazione delle grandi banche italiane, nella suddivisione partitica dei dirigenti degli enti locali, nella lottizzazione delle mansioni professionali nella Rai, nelle grandi aziende editoriali, nei giornali, in ogni settore d’attività mediatico, nella scelta di amministrare le città e il patrimonio pubblico come se fosse una entità astratta e privata. Privatissima. Cosa loro.
Cosa Nostra. Perché lo hanno fatto con i soldi nostri.
Il PD non è in grado di attaccare “politicamente” il PDL perché sono ammanettati insieme alla stessa greppia: è stata la loro scelta di sempre, come aveva spiegato –reo confesso- nel lontano 1997, in parlamento, in diretta televisiva, l’onorevole Luciano Violante, quando ricordò a tutti: “Silvio Berlusconi sa benissimo che c’era stato un accordo tra le parti in base al quale noi avevamo garantito al cavaliere la salvaguardia delle sue aziende” senza rendersi conto di ciò che stava dicendo, senza accorgersi che stava pubblicamente confessando che la dirigenza politica della sinistra italiana aveva scelto di sostituirsi alla volontà popolare e soprattutto al Diritto, di fatto prendendo il posto della Corte Costituzionale e della magistratura.
E’ per questo che gli 8 punti di Bersani non valgono nulla.
E’ simile all’urlo angoscioso di Riccardo III che offre un cavallo in cambio del suo regno.
Ma non si accorgono che la realtà è cambiata e hanno sbagliato ippodromo.
Dice Dario Fo in una intervista rilasciata a La Stampa di Torino “So che il Pd si ritrova con conflitti interni grandissimi ma la vecchia guardia che ha fatto tanti casini resiste proterva. Un accordo con questi qui? Con chi per vent’anni ha rimandato il conflitto di interessi? No, e’ stata una porcata imperdonabile. Ed e’ solo una delle tante. Se andiamo col compromesso andiamo a rifare tutto daccapo. Troppa intransigenza? Ma e’ per mancanza di intransigenza che siamo arrivati a questo punto: leggi ad hoc, vendita di deputati a sei a sei. Per il Pd, c’e’ una possibilità d’essere credibile agli occhi dei 5 Stelle, se invece di reagire a Renzi, Fassina avesse detto: da domani il Pd rinuncia ai rimborsi integralmente. Se proponesse un taglio delle sovvenzioni alla scuola privata in favore di quella pubblica. Invece le proposte che ha fatto sono deboli. La proposta sul conflitto di interessi e’ piena di scappatoie. Ci vorrebbero promesse vere, sottoscritte davanti a un notaio, magari. Non mi fido del Pd. Come fai a fidarti di un partito dove spadroneggia ancora un furbastro come D’Alema?”.
Pretendere che venga considerata attendibile una proposta lanciata da chi –come nel caso di D’Alema- ha già ingannato la cittadinanza gestendo (alla fine degli anni’90) la cosiddetta bicamerale, ovvero una serie di riunioni segrete tra lui e Berlusconi, durate quattordici mesi, vuol dire considerare oggi i propri interlocutori degli autentici babbei. Quelle riunioni e quegli incontri portarono a scegliere di non varare alcuna legge, consegnando su un piatto d’argento il paese alle destre e a quel Giulio Tremonti che già nel 2001 si mise al servizio dei grossi colossi finanziari internazionali, per riempire di soldi le banche e distruggere l’industria nazionale.
Ecco perché gli 8 punti di Bersani non valgono nulla.
Ecco perché non possono accettare di rinunciare subito a 45 milioni di euro del finanziamento ai partiti.
Perché sono soldi che servono immediatamente per seguitare ad alimentare una pletora di funzionari incompetenti il cui unico compito consiste nel seguitare a garantire il mantenimento dello status quo.
Non è che non vogliano farlo.
Non possono.
Tutte le discussioni, zuffe, dibattiti su facebook e chiacchiere varie, relative a questi 8 punti e a un preteso accordo per poter governare sono tempo perso.
Il PD non è in grado di fare nulla, questa è la realtà lapalissiana sotto gli occhi di tutti.
Il PD è voluto salire sulla barca dorata di Silvio Berlusconi fingendo che così non fosse.
Ora che la barca fa acqua, va in giro per il parlamento a chiedere l’elemosina di una zattera con la pretesa surreale di restare però ben piazzati su quella stessa barca che sta andando a fondo.
E allora, invia –notizia del giorno- i “mediatori in grado di poter colloquiare a livello politico con gli eletti del M5s”.
E’ l’ultima grande truffa.
Sbugiardata immediatamente non da Che Guevara o da Casaleggio, bensì da Filippo Civati, un solido compagno di merende piddine, il quale ha dichiarato qualche ora fa “
"Bersani ha nominato i mitici ‘pontieri’ verso il M5S.
Nessuno di loro è stato eletto con le primarie.
Nessuno di loro ha rapporti con il M5S.
Nessuno di loro rappresenta la discontinuità, anzi è stato scelto in ragione di una più o meno completa continuità con il gruppo precedente o la segreteria uscente.
Nessuno di loro è stato scelto dall’assemblea degli eletti, ma indicato da Bersani: non nell’introduzione, ma nelle conclusioni, senza dibattito né voto.
Sono persone scelte insieme a D’Alema. Mi chiedo sinceramente: dove vogliamo arrivare, in questo modo? Perché forse non ci stiamo rendendo conto. Senza forse"
.
E’ un sistema che implode.
Sono alla disperazione, è fin troppo ovvio.
Da parte PDL portano le mummie in piazza, senza comprendere che la gente li spaccia ormai per comparse di un film horror.
Da parte PD prosegue la malafede. Mentono sapendo di mentire.
Tutto il resto è chiacchiera inutile.
Basta armarsi di pazienza e attendere. Si scanneranno tra di loro.
L’aspetto inquietante e davvero sconvolgente di questa vicenda politica attuale consiste nella manifestazione di totale irresponsabilità e arroganza, da parte di una classe dirigente politica che si è lanciata nella loro ultima giocata d’azzardo al grido di muoia Sanson con tutti i filistei pur di non mollare l’esercizio del potere. La tragedia consiste nel fatto che i filistei dentro al palazzo siamo noi, i 60 milioni di cittadini che subiamo le loro angherie, la loro protervia, la loro impossibilità a considerarci membri di una comunità di eguali. Per loro siamo sudditi passivi da far imbonire dai vari Giovanni Floris, Michele Santoro, Bruno Vespa, Fabio Fazio e compagnia cantante accreditata, con in prima fila i sedicenti intellettuali, artisti a go go di vario genere, che si muovono tra un appello e l’altro alla disperata caccia di una zattera di sopravvivenza, nel tentativo disperato di far dimenticare agli italiani la semplice verità dei fatti che li condanna come servi sciocchi, sempre pronti a eseguire gli ordini di chi li mantiene da decenni con i soldi delle nostre tasse.
Grazie alla crisi, siamo alla resa dei conti.
Non ci sarà nessuno che porterà un cavallo a Riccardo III.
Bersani, D’Alema, Cicchitto, e il resto dell’amena brigata, non lo hanno capito.
Noi sì.
Capire questo, vuol dire essere cittadini liberi.
Libero Pensiero: la casa degli italiani esuli in patria: "Il mio regno per un cavallo" tuona Bersani. Ma ha...

Nessun commento :

Posta un commento